The girlfriend experience
2009
Il nuovo film di Steven Sodebergh con la bellissima pornoattrice Sasha Grey.
The Girlfriend Experience è una elegante panoramica sullo spaesamento metropolitano (il vuoto di sicurezze che induce a una regressione infantile), tanto quanto Bubble lo era su quello delle periferie popolari (il vuoto di prospettive che genera alienati e assassini). Una settimana nella vita di Chelsea, escort di lusso a Manhattan: tra le sue braccia si abbandonano colletti bianchi stremati dall’incertezza causata dalla frana del sistema finanziario. Si può tranquillamente parlare di instant movie: girato in meno di tre settimane a inizio anno, con poco più di un milione di dollari e attori in gran parte non professionisti, il film racconta New York nei giorni che hanno preceduto le elezioni presidenziali e l’avvento di Obama. La storia che si intreccia alla Storia è il mosaico di dialoghi, gelosie, progetti, ripensamenti che lega Chelsea al suo fidanzato e personal trainer, a sua volta impegnato, nonostante la crisi, a indebitarsi per aprire una palestra.
Una fotografia calda e soffice incornicia i due durante lunghi pasti serali, e la visione progressista dei rapporti di coppia mostra le prime crepe quando la ragazza inizia a sentirsi attratta da uno dei suoi clienti, con il quale progetta di passare un intero weekend. Soderbergh, una volta di più, si dimostra regista tutto di maniera e poco di sostanza, sempre zoppicante nello scavo psicologico (che paradossalmente insegue con tanta costanza nei suoi film d’essai da farne quasi una cifra stilistica). E questo nonostante l’ammirevole tentativo dei suoi sceneggiatori di fiducia (Brian Koppelman e David Levien, gli stessi di Ocean’s 13) di mettere in scena emozioni “liquide”, continuamente mutevoli (la stessa Chelsea prova uno scatto di insofferenza quando riconosce uno dei suoi clienti fissi con un’altra escort). Poco, anzi, pochissimo da dire sul fronte voyeurista: Sasha Grey, pornostar ventunenne all’esordio fuori dal mondo dell’hard, offre la performance più casta che si possa immaginare (anzi, dato il ruolo, ben oltre), mostrando la quantità di pelle minima indispensabile.
Tanto da far pensare che la scelta sia frutto di un oculato bilanciamento tra esigenze di budget, ottimo casting (la Grey se la cava alla grande) e operazione di marketing. Più complesso il discorso riguardante la strategia distributiva, che in pratica replica quanto fatto con Bubble, con uscite in sala, su pay tv e in home video pressoché in contemporanea. Nei cinema statunitensi non ha raggiunto i 700.000 dollari (meglio comunque di Bubble, che si era attestato sui 150.000), mentre a Cannes è stato venduto poco e a fatica. Gli altri canali non hanno fruttato molto di più. Ciò che preoccupa è che la somma di questi esperimenti finisca per scoraggiare la replica e la sistematizzazione di una metodologia promettente, quando è assai probabile che la ragione del fallimento dipenda in gran parte dal tipo di prodotto offerto per testarla.