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The Jinx – Stagione 1

2015
Titolo Originale:
The Jinx - The Life and Deaths of Robert Durst
REGIA:
Andrew Jarecki
CAST:
Robert Durst (se stesso)
Gary Napoli (Robert Durst)
Dick DeGuerin (se stesso)

Il nostro giudizio

The Jinx – The Life and Deaths of Robert Durst è una serie tv del 2015, inedita in Italia, ideata e diretta da Andrew Jarecki.

Il mercato è saturo, le serie tv sono brand globali venduti con campagne di marketing  più che aggressive, marziali diremmo, un pilota sprovveduto può pregiudicare un’idea favolosa, così come un titolo nefasto può silenziare gli ascolti, i videospettatori hanno bisogno di riconoscersi in quello che vedono, anche solo nominandolo. In questo contesto, fragile e schizofrenico come un furetto di cristallo, spicca il network americano HBO, che compete con Netflix in quanto a innovazione ricerca e sviluppo, con esperimenti in cui realtà, fiction e documentario convergono verso la TV, ma anche verso il cinema. Già Going Clear: Scientology and the Prison of Belief aveva tracciato la via, poi Kurt Cobain: Montage of Heck si era stagliato nel firmamento del grande e piccolo schermo, fulgido, e ora, finalmente, ecco The Jinx, che in inglese vuol dire Lo Iettatore, o anche Lo Scalognato. Titolo forse troppo pirandelliano, tanto da richiedere il sottotitolo diegetico The Life and Deaths of Robert Durst, la vita e le morti di Robert Durst. The Jinx è una serie diretta da Andrew Jarecki, 6 puntate della durata di 40 minuti ciascuna, ed è un esempio originale di come da un film mediocre possa scaturire una modo rivoluzionario di fare intrattenimento televisivo.

Si parte infatti da All Good Things, 2010, diretto dallo stesso Jarecki e interpretato in apnea da Ryan Gosling e Kirtsen Dunst, che suscitò poca meraviglia al box office, ma attrasse l’attenzione dell’uomo alle cui infami gesta si ispirava, tal Robert Durst, discendente degenere dei Durst, la famiglia di immobiliaristi più ricca del mondo, sita in Manhattan: capitalismo allo stato puro ma tangibile, non volatile come quello mellifluamente finanziario, invece ancorato al mattone, alle vetrate da cui si domina lo skyline newyorchese. Si parte dal rinvenimento di un cadavere, fatto a pezzi, avvolto nei sacchi della pattumiera e gettato nella baia di Galveston, Texas, 2001. Tutto vero. Si scopre che per l’omicidio è indagato il vicino di casa, che forse è un’amabile vecchietta ma che in realtà è proprio lui, Robert Durst Mattia Pascal sotto mentite spoglie, novello Norman Bates.

Tutto vero. Si scopre che questo Robert Durst è quel Robert Durst, la cui moglie sparì nel nulla nel 1982, e la cui migliore amica, addetta stampa e figlia di celeberrimi mafiosi di Las Vegas, fu trovata morta nel 2000, assassinata in casa, il giorno prima di deporre sui quei passati, tragici, fatti. Tutto vero, fatti reali sui quali la giustizia americana ha chiuso gli occhi per anni, manco si trattasse della strage del Cermis. Non è però la malagiustizia l’obiettivo  della macchina da presa; è che Robert Durst in carne e ossa chiede al regista di interpretare il suo one man show, un’intervista fiume in cui ricostruisce la sua versione dei fatti, prendendola da lontanissimo, dall’infanzia precisamente, dal suicidio della cara mamma sotto gli occhi suoi dolenti. Ecco quindi che The Jinx diventa altro da tutto ciò che si è visto prima, diventa un Robert Durst Self Portrait of a Serial Killer. Meglio: diventerebbe, perché chiaramente lui disconosce la paternità di quei crimini, e lo fa nel più pirandelliano dei modi, negando, semplificando, omettendo, millantando. E suscitando empatia – questo l’aspetto più sconvolgente della serie! Entrando nel cuore di chi guarda con i suoi modi flemmatici, il pulviscolo dei suoi tic, i maglioncini di angora sempre impeccabili.

Sympathy for the Devil l’avevamo già provata per Anwar Congo in The Act of Killing; qui è ancora più forte, povero Bob infelice nonostante i suoi bilioni, la madre suicida, una moglie svanita nel nulla, il disconoscimento dalla sua famiglia, tutti che ce l’hanno con lui, gomblotto!, gomblotto! Lui, in fondo, vittima della scalogna nera, che si attribuisce solo lo  smembramento di un cadavere, solo perché impaurito che qualcuno, sia mai, gli attribuisca la paternità di un delitto del tutto casuale. Bob sembra uno zio, un vecchio amico, e ricordiamo bene dove lo abbiamo già visto: in Foxcatcher di Bennet Miller, lì si chiamava John du Pont nell’interpretazione di Steve Carrel  ma la sostanza non cambiava, stessa fragilità cripto aristocratica, stessi lineamenti e, sotto, conflitti edipici e identità sessuale irrisolta. Du Pont viveva come in un incantesimo, nelle parole che amava ripetere in mantra prima di apparire in pubblico: ornithologist, philatelist, philantropist; Bob svela la sua anima in un fuorionda che vale da solo tutta la TV di inchiesta dai tempi di Frost e Nixon: «I did not knowingly purposefully lie, I did not knowingly purposefully,intentionally lie. I made mistakes». Questa di The Jinx è antropologia criminale in canone inverso, signori miei: c’è del marcio sotto i mattoni di Manhattan, ce lo svela la TV e tutti possiamo fruirne in prima serata, sedotti da una colonna sonora in stile True Detective, affascinati da un linguaggio che spazia tra il legal thriller, il crime movie e l’horror, irretiti dalla visione di una (ir)realtà fuor di sesto, in cui il racconto vince sul giudizio morale. Capolavoro.