The Retreat
2021
The Retreat è un film del 2021 diretto da Pat Mills.
Renee (Tommie-Amber Pirie) e Valerie (Sarah Allen), una coppia di donne un po’ in crisi, lasciano il caos della città per trascorrere il fine settimana in una remota baita nel bosco con gli amici gay. Quando arrivano nel B&B rigorosamente LGBTQ friendly, però, non li trovano, e scoprono presto di essere spiate e minacciate da un non meglio identificato gruppo di estremisti militanti. Il soggetto del film di Pat Mills (Guidance, 2014), scritto e sceneggiato da Alyson Richards, non è nuovo, e i più sgamati del revenge movie dove girano gli snuff movie, ovvero quei filmati dove muoiono persone vere nei modi più atroci, sbadiglieranno a leggere queste prime righe, che è poi parte della sinossi ufficiale del film e che lascio così per non togliervi quel poco di sorpresa. Dicevo, un soggetto non nuovo per questo genere di film, che va da Tesis (Alejandro Amenábar, 1996) a Vacancy (Nimród Antal, 2007) e che in questo caso ha diversi punti in comune con Hostel (Eli Roth, 2005), soprattutto per una buona dose di ironia, dosata ma presente qua e là nella pellicola, disponibile attualmente sul canale di Midnight Factory.
Probabilmente, la parte più interessante del film di Mills, che viene dalla commedia e sinceramente si vede, è il sottotesto politico anti-omofobo della Richards, che vede nel mirino degli aguzzini proprio la comunità queer, qui solo in apparenza indifesa e debole. Renee e Val sono due donne, sole in un mondo di uomini (ottusi, per non dire totalmente cretini), che si trovano improvvisamente a combattere da sole nel bosco, una semplice metafora che vuole la diversità unita e “protetta” nelle metropoli, che si ritrova spaesata e indifesa fuori dai centri urbani, bersaglio di bifolchi e subnormali in uniforme mimetica. Una vulnerabilità che colpisce non solo due donne qualsiasi, ma appunto due donne queer. Mills si concentra sulle ragazze, ma non si sforza molto di dare il giusto peso al resto, riducendo i personaggi a cliché del genere: l’uomo alla stazione di servizio, grasso e sporco, la coppia gay presa in ostaggio all’inizio del film, giusto per citare qualche momento.
Mills confeziona un revenge thriller moderato, che, seppur godibile, resta contenuto anche nel gore, e costringe i suoi personaggi a ruoli funzionali – vittima-carnefice, per poi ribaltarli – ma pur sempre contenuti, probabilmente un po’ vittima lui stesso di quel pensiero politically correct che vuole attirarsi a tutti i costi le simpatie di quella frangia del pubblico LGBTQ+ poco avvezzo a violenza e orrore, per non deluderlo o addirittura offenderlo. In realtà a The Retreat non avrebbe fatto male una maggiore connotazione dei villains, dare più spazio al contenuto prima ancora che alla forma, e avrebbe giovato persino insistere un po’ di più con la violenza e il sangue, perché alla fine il film funziona e il twist finale con le prede che improvvisamente prendono coraggio per sopravvivere, tutto sommato funziona. Niente fa gridare al miracolo ed è tutto già visto (ovviamente), ma funziona e intrattiene dignitosamente, soprattutto nella seconda parte. Se vi piacciono le storie ambientate tra i boschi, senza troppo spessore, The Retreat potrebbe persino piacervi. Preparatevi solo a lunghi momenti a cercare di capire cosa accade nel buio, perché troppo spesso si fa fatica a capire cosa succede. Il buio terrorizza ancora, più di tutto il resto: del sangue, dei pazzi, delle asce in testa e degli squilibrati omofobi.