The rise & fall of a white collar hooligan
2012
Niente hooligan, niente botte, The rise & fall of a white collar hooligan di Paul Tanter è l’esatto contrario di ciò che pubblicizza: si tenta la strada del noir per salvare capra e cavoli, ma poi ci si perde per le vie della televisione con tanto di insopportabile lieto fine.
Con The rise & fall of a white collar hooligan siamo nella tipica situazione di chi parte da alcune specifiche premesse, le modifica in corso d’opera seguendo le più incomprensibili peregrinazioni mentali, e conclude con un epilogo snaturato rispetto ai pasticciati preamboli che si erano progettati. Paul Tanter, che ha al suo attivo già un lungometraggio, il recente Jack Falls (2011), finisce per strapparti la stessa tenerezza di un alunno scemo, che pur impegnandosi sui libri studiando e sudando, giunto al dunque dimostra all’insegnante di non aver capito assolutamente nulla delle numerose nozioni inculcategli nel cervello. Così come nulla (o quasi) è dato di capire all’esterrefatto spettatore, che pur desiderando, complice l’eloquente titolo, una pellicola sugli hooligan, gli ultrà spaccatutto che funestano gli stadi dell’Inghilterra, finisce per sorseggiare una copia scimmiottata di uno scipito noir. Sì, perché il Mike Jacobs protagonista (Nick Nevern) le partite di calcio le vede solo di sfuggita, quasi come degli inserti appiccicati con la colla tra una scena e l’altra, mentre la violenza che da esse dovrebbe deflagrare è effigiata in brevissimi spezzoni in confronto dei quali il nostrano Acab sembra un kolossal di altre epoche.
Insomma, niente hooligan, niente botte, il film di Tanter è l’esatto contrario di ciò che pubblicizza; per salvare capra e cavoli, l’ormai disperato regista sperimenta l’asso del noir, e imbastisce una sottotrama allucinata che sgomita per mantenere una propria definizione strutturale, ma che si perde dopo un quarto d’ora in una risoluzione televisiva con tanto di insopportabile lieto fine. Si procede a scompartimenti, prima con lo sprovveduto Mike che si lascia irretire dalle astute lusinghe di Eddie (Simon Phillips), poi con una serie di paradigmatici esempi sulla bella vita e il guadagno facile, infine con il riconoscimento della colpa e il tentativo di riabbracciare la retta via e la fedele fidanzata. Se non siamo dalle parti dell’operetta morale con contorno di oratorio, poco ci manca, ma niente paura, perché Mike è talmente invischiato nelle sue storie di ruberia da suburra che presto si ritrova vittima sacrificale delle più spietate leggi malavitose. Allora i pestaggi sono garantiti, per la prima e unica volta, ma la manganellata è posticcia, come le facce da sgherro e le pistolettate rubacchiate al cinema dei gangster. Si prova un senso di fastidio, un prurito irritante come un eritema che ti spinge a grattarti il mento, con fare enigmatico, a corrugare i sopraccigli e chiederti che senso ha un film di questo tenore. The rise & fall of a white collar hooligan non è né carne né pesce, vorrebbe essere ciò che non è, e per tutto il tempo finge di assomigliare a qualcos’altro. Ci si stufa presto, perché si ha la sensazione di essere stati appunto derubati come gli onesti londinesi della pellicola. È tutto troppo scontato per entusiasmare, e tutto troppo didascalico perché si possa parlare di noir o di qualsiasi altro genere degno di pasteggiare nell’empireo della settima arte.
Un film da gettare, allora? No, perché si salva solo la confezione tecnica: la fotografia cupa, tenebrosa, che in qualche modo omaggia la lezione suburbana del free cinema inglese, e il cast comunque di grande preparazione attoriale. Per il resto ci si muove a distanza siderale dal cinema, in una landa brulla in cui la noia s’accompagna all’inutilità. Speriamo che Tanter vada almeno in pareggio con la sua prossima opera, già in fase di post-produzione, The Hooligan Wars. Epico, vero? Tifate per lui!