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The Room Next Door

2024
REGIA:
Pedro Almodóvar
CAST:
Tilda Swinton (Martha)
Julianne Moore (Ingrid)

Il nostro giudizio

The Room Next Door – La stanza accanto è un film del 2024, diretto da Pedro Almodóvar.

La scrittrice Julianne Moore incontra la vecchia amica Tilda Swinton, ex reporter di guerra con un cancro in stadio terminale. Tilda chiede una mano per darsi la morte: passeranno un mese in una splendida casa, finché ingerirà la pillola letale trovata nel dark web. L’una aspetterà l’altra nella stanza accanto, riconoscerà il fatto solo dalla porta chiusa. Questo il principio di The Room Next Door, il nuovo film di Pedro Almodóvar che ha vinto il Leone d’oro al Festival di Venezia: primo titolo girato in inglese dal regista spagnolo che, spiega lui stesso, non ha comportato particolari problemi di lingua i quali sono stati superati sul set in pochi minuti. Come evidente d’altronde dalla direzione delle attrici, Moore e Swinton, che suonano perfettamente le corde almodovariane ed entrano nel discorso del cineasta.

È così che Ingrid (come Ingrid Bergman) si reca al confronto finale con Martha (nome di Fassbinder…), inaugurando un vortice di parole e ricordi, dove spiccano le memorie di guerra e soprattutto una figlia lontana e perduta. Martha ha infatti figliato dopo un rapporto particolare, sui generis, e non si è mai particolarmente occupata della prole, che dunque non può convocare proprio ora in punto di morte. Le due si chiudono nella casa e cominciano ad eseguire il piano, mettendo in protezione Ingrid dall’eventuale intervento dell’autorità, perché garantirsi una “buona morte” è vietato dalla legge e tabù morale. L’unico puntello tra due è un John Turturro, ex amante di entrambe, personaggio apocalittico che estende il concetto di estinzione all’intero pianeta. Pedro Almodóvar torna al melò puro ma a 75 anni dialoga apertamente con la Morte, teorizzando e praticando l’opportunità di una dolce fine, un’eutanasia serena e dignitosa. Contro la grettezza della polizia e dei credenti, in un mondo al collasso climatico.

Come sempre, però, non è il tema l’unico cuore del film: Pedro gira magnificamente percorrendo il confronto femminile, il gioco sublime tra attrici, e lo fa in modo squisitamente cinefilo. Andiamo così da Viaggio in Italia di Rossellini ai frammenti di Buster Keaton, da Lettera da una sconosciuta al fondamentale The Dead di John Huston. Il melò corteggia il mistero e sfocia persino nel thriller intimo (quando muore davvero Martha?), del resto la fine della vita è l’enigma definitivo; alla fine irrompe Hitchcock, nell’eterno ritorno di Vertigo, e la donna vive due volte. Martha muore ma non se ne va, svanisce solo per un attimo per poi ricomparire in forma di figlia nello stesso corpo di attrice. Nell’ipotesi di pacificazione ultima si può solo parafrasare I morti di Joyce, riscrivendolo sul personale ma con lo stesso finale, la neve che ricopre tutto. Uno studio a sé meriterebbe la cinecromia del film, ovvero i colori che il regista dispone in scelte spiazzanti e provocatorie, come la fine gialla sullo sfondo verde. “Sto tenendo la morte in mano, ma la sento leggera…”: Almodóvar è sempre più estremo, struggente, finale in questo capolavoro sia doloroso che felice.