The Terror: Infamy
2019
The Terror: Infamy è la seconda stagione della serie tv antologica The Terror, ideata da Max Borenstein e Alexander Woo.
Avevamo lasciato il terrore, o meglio la Terror, il relitto di quella sfortunata spedizione nell’artico, con il sentore di aver visto un grande prodotto. Ed in effetti era così. La prima stagione, quella senza sottotitolo, si discostava in modo netto dalla consueta serialità televisiva sia dal punto di vista narrativo che da quello stilistico per i suoi ritmi lenti ed i suoi colpi di scena out of nowhere. Il cambio di direzione in questo secondo macro-racconto effettivamente c’è: rimane l’ambientazione storica, stavolta durante il secondo conflitto mondiale, ma gli orrori, seppur sempre ben condivisi tra uomini ed entità sovrannaturali, hanno una connotazione giocoforza differente. Non c’è più David Kajganich in sede creativa, ma il duo Borenstein-Woo con il loro approccio più mainstream e tv-friendly. Ed in effetti Infamy scorre, arriva al punto, apre la mente su cose che la maggior parte della gente ignora, ma non raggiunge obiettivamente la qualità del suo predecessore. Ed è un peccato considerando il materiale di partenza, tragicamente vero. Chester Nakayama e la sua famiglia abitano a Los Angeles: sono giapponesi di origine ma legalmente cittadini americani.
L’attacco nipponico a Pearl Harbor porta il governo degli Stati Uniti a evacuare tutti i nippo-americani dalle loro case e trasferirli in campi di prigionia. A questo destino non sfuggono neanche Chester, la sua famiglia e i suoi amici. Come se ciò non bastasse, il ragazzo sembra perseguitato, insieme a tutti i suoi conoscenti, da uno yurei, uno spirito proveniente dal mondo dei morti deciso a riparare un torto subito in vita. È ovvio che la narrazione proseguirà alternando due diversi tipi, ma non diversamente intensi, di orrore. Le due storie si intrecciano ottimamente, fornendo allo spettatore un resoconto esauriente di diverse sfaccettature sociali dell’epoca, come il razzismo nei confronti dei giapponesi di nascita, ben radicato ancor prima della guerra ma attenuato dall’utilità che essi avevano come manodopera, o il perdurare, all’interno della comunità nippo-americana, delle credenze culturali del paese d’origine, superstizioni comprese. Il tutto viene restituito con puntuale realismo, a partire da un cast interamente formato da attori asiatici cittadini o residenti in America o nel Regno Unito, come il protagonista Derek Mio o lo “startrekkiano” George Takei. Le interpretazioni sono tutte di grande livello, a partire dalla scheggia impazzita Kiki Sukezane, capace di una prova eclettica, da tragedia antica.
Anche con Infamy, dunque, The Terror conferma la possibilità di un prodotto televisivo utile, colto, transgenerico. Soprattutto di un racconto diverso che raccoglie voci differenti dal solito, specialmente per quanto riguarda il conflitto che poi portò alla tragica, atomica conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Non a caso, il prossimo mese uscirà nelle sale Midway di Roland Emmerich, alias l’ennesima strombazzata patriottica sull’eroismo dei marines americani dopo Pearl Harbor di cui non sentivamo proprio il bisogno. The Terror: Infamy è una buona risposta, certamente confezionata e infiocchettata in uno stile più appetibile ai bingewatchers, forse meno efficace nella componente horror, ma comunque di pregevole fattura. Certamente non si potrà rimanere indifferenti a Taizo, sesto episodio e vero turning point di questa stagione che mostra la perfezione dell’Inferno. Peccato davvero che di questi momenti ce ne siano troppo pochi.