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True Detective – Stagione 3

2019
Titolo Originale:
True Detective
REGIA:
Jeremy Saulnier, Daniel Sackheim, Nic Pizzolatto
CAST:
Mahershala Ali (Wayne Hays)
Roland West (Stephen Dorff)
Carmen Ejogo (Amelia Reardon)

Il nostro giudizio

 True Detective – Stagione 3 è una serie tv del 2019, ideata da Nic Pizzolatto.

Il 2019 accoglie, dopo 4 anni di attesa dalla chiusura dell’ultima stagione, la terza opera di Nic Pizzolatto: True Detective 3. Pizzolatto abbandona l’ambientazione californiana e torna a regalarci immense distese di terreno da percorrere e lugubri realtà da conoscere. Dalla Louisiana decadente, in cui si affaccendavano Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson) nella prima stagione, si giunge fino alla funerea Ozark, tra l’Arkansas e il Missouri, popolata da desolazione e qualche zombie. Questa volta i detective protagonisti sono Wayne Hays, interpretato da Mahershala Ali e Stephen Dorff che ha il volto di Roland West chiamati a risolvere il caso della scomparsa dei due fratellini Porcell, figli di Tom e Lucy. Un’indagine lunga 35 anni che a noi si rivela attraverso tre diversi spazi temporali: il momento stesso della scomparsa dei bambini; quello in cui il caso viene riaperto 12 anni dopo e “l’oggi”, il tempo in cui la storia ci viene raccontata dal protagonista Wayne Hays, invecchiato e affetto da Alzheimer, che, come se la sua vita fosse ormai ridotta ad un lungo pomeriggio di pesca, tenta, faticosamente, di acchiappare ricordi salienti del caso e della sua stessa vita che possano supportarlo nella risoluzione tardiva del primo.

I tre momenti sono resi estremamente credibili da trucco e costumi impeccabili che già nella prima stagione erano meritevoli di standing ovation. Dopo una seconda stagione un po’ deludente, il pubblico aveva reclamato a gran voce la foschia metafisica da cui era stato conquistato nella prima stagione e Pizzolatto gli offre quanto gli viene chiesto senza accennarlo, ma celebrandolo e, a tratti, quasi evocando immagini, stile, caratteri e “fotografie” del suo primogenito. Il confronto non corre il rischio di essere ridondante, è suggerito: nella prima stagionedi True Detective il caso è intrigante per i primi due episodi, ma, tutto sommato, la vera curiosità che ci interessa risolvere è la conferma di quanto ci lasciano sospettare dal principio: se Cohle e Hart ad un certo punto non si sono più parlati perché uno dei due è andato a letto con la moglie dell’altro; in True Detective 3 ne ritroviamo la cornice cinematografica, che per questo non può essere definita originale, la maestria  delle interpretazioni, l’ottimo feeling tra i protagonisti, tuttavia, la trama è, al meno inizialmente, meno accattivante. Non mancano temi scottanti quali la pedofilia, la complessità della vita coniugale su cui si riversa l’in-gratificante vita professionale, ma tutto, questa volta, viene condito con, talvolta pedanti, riferimenti al razzismo e alla reiterata tematica post-Vietman.

Nella prima stagione, quando non pensavamo a quante sigarette avremmo dovuto vedere fumare a McConaughey prima di toglierci nauseati il vizio del fumo, era stimabile che la lentezza di alcuni episodio si ravvivasse con nichilistici e a tratti retorici dialoghi tra i due protagonisti durante le interminabili ore in auto nel bel mezzo di distese spettrali e decadenti. In True Detective 3 la speculazione ontologica viene sacrificata a vantaggio di percorsi intimi e dispersi nei tortuosi e fragili sentieri della mente dell’anziano Wayne che a volte riaffiorano nitidamente, altri si palesano in vesti pallide e sinistre. Ciò che manca in definitiva è un vero finale tra i troppi finali, un vero colpevole tra i tanti colpevoli. I finali opzionali sono pleonastici, arrangiati e messi in sequenza come una serie di email in calce. Bocciato fra tutti la conclusione romantica tra il protagonista e sua moglie defunta. Promosso invece nel finale e in itinere le allusioni immaginifiche ai percorsi nebbiosi che si intrecciano nella mente di un malato di Alzheimer che tenta ossessivamente, come fosse la sua ultima fatica, di ricordare. Il sipario, fortunatamente, si dispiega sull’immagine di un giovane e armato Wayne in Vietnam, alla ricerca della via per casa o della salvezza, metafora degli impervi cammini che il vecchio Wayne affronta nel tentativo di ricostruire mediante i ricordi la sua stessa identità.