Tyrant – Stagione 1
2014
Tyrant è una serie tv del 2014, trasmessa in Italia nel 2015, ideata da Gideon Raff e Howard Gordon.
Se uno è stato già preso nelle maglie vischiose di Homeland – serie che bisognerebbe vedere almeno una volta prima di morire –, è difficile che non venga ugualmente afferrato da Tyrant. E l’hanno concepito probabilmente proprio per questo, per riacciuffare quanti ormai han generato Carrie Mathison dipendenza, gli autori di Tyrant, che sono, poi, Gideon Raff e Howard Gordon: cioè il tizio che ha creato la serie tv israeliana da cui è disceso Homeland, e lo showrunner di quest’ultima. Tyrant – qualcuno ci spieghi il titolo, che non ha ovviamente niente a che vedere con il mostro della Umbrella corporation – è quasi uno spin-off di Homeland, a voler usare un paradosso che poi sarebbe tale solo fino a un certo punto. Si ambienta in un Paese orientale inventato, più o meno ai confini con l’Arabia Saudita, governato da un regime presidenziale affrancatosi ma nemmeno poi tantissimo dalla dittatorialità. Il protagonista – uno dei due protagonisti – si chiama Bassam Al-Fayeed (Adam Rayner) è il figlio più giovane del presidente di questo regno immaginario di nome Abbudin. Un uomo di una trentacinquina d’anni, piacente, che da tempo vive in America dove si è sposato (con la eterea Jennifer Finnegan), ha due figli adolescenti e fa di professione il pediatra. A vederlo si capisce subito che Bassam, ora Barry, è un buono, una persona posata e pacata, e che è un progressista. Ad Abbudin, a vivere con il padre e la madre, è rimasto invece il fratello cadetto, Jamal Al-Fayeed, interpretato dall’ottimo Ashraf Barhom, uno dagli occhi stretti e lievemente strabici e con gli incisivi separati. Basta guardare pure lui per capire altrettanto in fretta che è la palinodia di Bassan: è un guascone, mezzo puttaniere e anche più di mezzo, uno che ama molto muovere le mani oltre che l’uccello. Basta dirla così per capire dove Tyrant voglia andare a parare.
Attenzione, però. Non è tanto la storia di Caino e Abele, quanto piuttosto quella di Romolo e Remo che potrebbe essere presa a modello, per descrivere ciò che accade quando, dovendo sposarsi il figlio di Jamal – il quale Jamal ha come consorte quella gnocca stratosferica che è diventata Moran Atias, ancora più figa imperiale di quando Dario Argento la prese come Mater Lacrimarum nella Terza madre – Barry e la sua famiglia vengono invitati al matrimonio e l’ex Bassam è costretto, dopo vent’anni di lontananza, a rimettere piede ad Abbudin. Sarà tutto breve e rapido, pensa il fratello buono che non vede l’ora di risalire sull’aereo, ma: colpo di scena, il padre ha un ictus e trapassa. E contemporaneamente Jamal, che si sta spupazzando una tizia sulla sua Ferrari testarossa viene semi-avvelenato e poco ci manca evirato dalla stessa che si rivela una terrorista kamikaze. Barry che è già con la famiglia sulla’aereo, è costretto a sbarcare e ad attendere l’esito degli eventi. Jamal, mezzo sdrucito, viene eletto nuovo presidente del Paese e vuole il fratello minore al suo fianco come consigliere. E il fratellino deve fare buon viso a cattiva sorte, per forza… A parte l’essere un piatto molto speziato, ma di quelle fragranze orientali che piacciono anche al palato degli occidentali, Tyrant come del resto Homeland, trae forza dal non essere mai quello che potrebbe sembrare; dal non accarezzare le attese e i pronostici; dallo svelare , come avrebbe detto Cicerone, si parva magnis licet componere, le latebre dell’animo umano attraverso azioni che puntualmente smentiscono quelle che si sarebbero dette le intenzioni. In altri termini, i personaggi – che sono poi i due personaggi principali, dei due fratelli – hanno un buon margine di assoluta imprevedibilità, in quel che fanno e nei rapporti che intessono reciprocamente. E direi che questo è il cuore interessante e coinvolgente della serie.
Jamal è deliziosamente fuori controllo in ogni cosa che fa: ad esempio, al matrimonio del figlio, va in camera della nuora per saggiarne l’illibatezza e finisce per sverginarla con un dito. Una delle sue amanti, una biondina della quale sembrerebbe sinceramente innamorato e con la quale avrebbe persino progettato di fuggire alle Maldive, improvvisamente e senza ragione la soffoca dopo un amplesso. Praticamente, una specie di serial killer con la follia comportamentale di un bambino capriccioso di sette anni. La grande variabile impazzita della serie al quale non si può fare a meno di affezionarsi come fa il fratello buono, anche se poi deciderà di fregarlo e spodestarlo. C’è naturalmente bisogno di metterci dentro anche dell’altro, in Tyrant – che forse, mi viene in mente ora, consuona con “tiranno”: quindi il riferimento alle recenti primavere arabe e tutto quanto il discorso aurale – che taluni, stoltamente, hanno preso come centrale – di natura politica. Quindi anche dei sub-plot da soap-opera, tipo la moglie di Jamal che è stata una ex amante del fratellino e si porta ancora dentro i segni dell’antica fiamma; o il figlio di Barry che è felicemente gay anche se balla sul ciglio dell’abisso quando stringe una tenera amicizia con il figlio del capo della sicurezza di palazzo ad Abbudin. C’è poi anche uno zio generale guerrafondaio, stronzissimo, che fa comunella con la Atias – donna potente e intrigante – e che sembra esemplato su figure come quella di Tareq Aziz (e difatti si chiama proprio Tareq). Mentre recensiamo la prima stagione in Italia, sta andando – giugno 2015 – la seconda in America, che promette ancora più fiammeggiamenti e colpi di scena scorretti della prima.