Featured Image

Un’altra vita – Mug

2018
Titolo Originale:
Twarz
REGIA:
Małgorzata Szumowska
CAST:
Mateusz Kościukiewicz (Jacek)
Agnieszka Podsiadlik (sorella di Jacek)
Małgorzata Gorol (Dagmara)

Il nostro giudizio

Un’altra vita – Mug è un film del 2018, diretto da Małgorzata Szumowska.

Le deformità (o le difformità) degli esseri umani sono un tema piuttosto ricorrente al cinema. Da The Elephant Man (1980) di David Lynch, storia di Joseph Carey Merrick che – reso visivamente mostruoso dalla sindrome di Proteo – divenne, in epoca vittoriana, un personaggio quasi mondano, a Dietro la maschera (1985) di Peter Bogdanovich, struggente quanto breve iter esistenziale di Roy Lee Dennis, ragazzo colpito da displasia cranio-diafisaria (malattia ossea più nota come leontiasi) che visse neppure 17 anni a Glendora, California. Solo per citare i due film più noti (Nocturno dedicò al tema, anni fa, un intero dossier). Il polacco Un’altra vita – Mug (che significa “muso”), già premiato a Berlino 2018 dove vinse l’Orso d’argento, ma uscito in Italia solo il 24 aprile scorso, si riallaccia al tema della deformità facciale, quella che rende “altro”, che annulla l’interiorità a beneficio (o a maleficio) dell’esteriorità, che crea il “mostro” ambulante. Tanto più se chi ne è colpito, come il protagonista del film di Małgorzata Szumowska (autrice e regista quarantaseienne di una quindicina di opere in patria, ma da noi più o meno misconosciuta), era, prima dell’incidente che gli ha devastato il viso, un bellissimo ragazzo di nome Jarek, folta chioma, passione per la musica heavy metal che ascolta a tutto volume correndo sulla sua Fiat 126 rossa, prossimo al matrimonio con la biondina Dagmara nonché operaio nel villaggio di Swiebodzin, intento a lavorare alla mastodontica statua del Cristo redentore (realizzata davvero in quel villaggio, dal 2005 al 2010), alta, col basamento, oltre 52 metri.

Un’opera destinata, nella megalomane visione dell’ideatore, il prete Sylwester Zawadzki, a superare in altezza il noto Cristo benedicente di Rio de Janeiro. Il sacerdote (che raccolse fra i fedeli oltre un milione di euro) venne poi accusato di aver pagato gli operai con salari irrisori e di essere ricorso persino ai detenuti del carcere cittadino per risparmiare sui costi. A questa vicenda reale si aggancia la Szumowska per la sua inquietante fiction: il protagonista (Mateus Kosciukiewicz), durante i lavori del Cristo, precipita da una pensilina e, quando viene miracolosamente estratto vivo, diviene “cavia”, in ospedale, di un esperimento innovativo per l’Europa: la sostituzione del viso, prelevato da un altro povero operaio-donatore, defunto in altre circostanze. Ed ecco che il film si fa un po’ Face-Off, pellicola di John Woo del 1997 dove John Travolta e Nicolas Cage si scambiano i volti chirurgicamente. La differenza sta nel fatto che in Un’altra vita – Mug  i due sono uno, ovvero il precedente Jarek e il nuovo Jarek: nei fatti, la stessa persona, ma in una società piccola, bigotta, ignorante no. Il paese lo accoglie, inizialmente, come un miracolato, ma poi lo trasforma – grazie anche alla notorietà del suo caso – in una sorta di fenomeno da baraccone perfetto persino  per la  pubblicità di una lozione anti-age e, infine, lo respinge come un rifiuto da discarica. In primis, la fidanzata Dagmara che,  sconvolta, si dà all’alcol e allo “zoccolaggio”, ballando mezza nuda nei bar e scopando a destra e a manca (l’attrice che la interpreta, Malgorzata Gogol, è la classica biondina polacca magrissima e un po’ slavata, anche lei doppia, verginella in famiglia e puttanella in giro), mentre sua madre preferisce non vedere piuttosto che ritrovarsela a fianco del “mostro” del paese, il cui problema è aggravato dal non potersi esprimere chiaramente.

Jarek, già prima dell’incidente, era una ragazzo insofferente a una società cattolica ipocrita e bigotta che fa tutt’altro che applicare i principi del Cristo, figuriamoci ora che quella società lo emargina come spazzatura. Persino la mamma non gli offre più il suo amore. Il padre, il solo a volergli sempre bene, muore poco dopo l’operazione di Jarek che, solo come un cane, decide di salire coraggiosamente su un pullman che lo porterà via, dove non si sa, ma via dal quel marciume che lo respinge. Un’altra vita – Mug è un film piuttosto claustrofobico, che, nella sua crudezza, respinge volutamente lo spettatore, ma dotato di un’eccellente confezione. Del resto cosa ci si poteva aspettare da una erede di maestri angosciosi come  Żuławski o Wayda? Quell’humor che alcuni critici hanno riscontrato nel film della Szumowska è comunque pur sempre un humor “alla polacca”, come nella splendida scena iniziale laddove una torma indemoniata di cittadini del paese prende d’assalto un grande magazzino che offre i saldi natalizi dei televisori: tutti si spogliano, mostrando poco appetibili nudità, forse per sentirsi più liberi nella corsa agli ambiti scatoloni che si strappano l’un l’altro come avvoltoi intorno a una carcassa.