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Under the Shadow

2016
Titolo Originale:
Under the shadow
REGIA:
Babak Anvari
CAST:
Narges Rashidi (Shideh)
Avin Manshadi (Dorsa)
Bobby Naderi (Iraj)

Il nostro giudizio

Under the Shadow è un film del 2016, diretto da Babak Anvari

Le leggende e il folklore popolare sono da sempre, nella tradizione horror, uno dei fattori più perturbanti. Dopo i J-horror, i mostri e demoni messicani (Mexico Barbaro) e il turco Baskin (solo per fare qualche esempio), arriviamo addirittura in Iran. Una cinematografica “altra” rispetto a quella occidentale, un territorio tanto fertile quanto relativamente inesplorato – quello della cultura araba – e per questo foriero di nuove inquietudini: Babak Anvari esordisce in lungometraggio dirigendo Under the Shadow (2016), del quale dopo il successo riscontrato al Sundance è già in cantiere un remake. Nella Teheran del 1980, dilaniata dalla guerra con l’Iraq, imperversano i bombardamenti, e la giovane Shideh (Narges Rashidi) vive una drammatica esperienza personale: frustrata dall’impossibilità di proseguire i suoi studi in medicina, vede il marito partire per il fronte e rimane sola con la figlia, la piccola Dorsa (Avin Manshadi). Ma qualcosa di ancora più terrificante sta per sconvolgere la loro vita: incubi e misteriose presenze che diventano sempre più concrete fanno capire alla donna che la casa è infestata da un Djinn (demone della cultura araba) e che le paure della bambina non erano dunque solo fantasie.  C’è davvero tanto in Under the Shadow: la demonologia epicorica, il Male come manifestazione trascendente della guerra, il dramma familiare che assume connotazioni orrorifiche. Vedendo il film, viene il sospetto che Anvari – non diciamo si sia ispirato – ma comunque abbia visto e assimilato quello che è divenuto già un classico dell’horror contemporaneo, Babadook di Jennifer Kent.

Sono pellicole differenti come stile e implicazioni, ma la sostanza è simile: una madre e un figlio in balia di forze maligne che approfittano della loro debolezza per insinuarsi subdolamente, come fa sempre il diavolo, nel nucleo familiare per farlo deflagrare possedendo le vittime e mettendole una contro l’altra. Non a caso, anche qui come nel film della Kent il padre è assente: e si risale a una tradizione consolidata nella cultura e filmografia esoterica, per la quale il Male soggioga le psicologie più fragili e le famiglie tormentate. Figuriamoci quando c’è una guerra di mezzo: tutto è orrore, paura, morte, e il Djinn non chiede di meglio. La guerra come metafora ed elemento scatenante del Male torna più volte nel cinema horror – pensiamo ad Allucinazione perversa e Shadow: anche in Under the shadow il conflitto non è un semplice contorno, dal momento che il regista parte proprio dal contesto storico per innestare la vicenda horror; per nulla banale anche l’analisi della situazione sociale: vedasi le limitazioni dei diritti per le donne e il coprifuoco serale.

Under the Shadow segue un po’ la “vecchia scuola” horror riguardo a spettri e demoni: siamo lontani dai sobbalzi ad effetto di James Wan, e più vicini alle atmosfere anni ’60 e ’70 riprese di recente in film come Babadook, The Witch, Across the river. Tutto costruito, cioè, sull’atmosfera, la dilatazione dei tempi, la sospensione fra realtà orrorifica e allucinazione, le presenze prima suggerite e poi mostrate pian piano. Dagli incubi della piccola Dorsa, che racconta di una presenza notturna, passiamo per i feticci – un oggetto regalatole da un bambino e soprattutto la sua inquietante bambola di pezza che diviene una vera e propria ossessione. Poi le presenze che si fanno man mano sempre più concrete, fra ombre, spettri, una misteriosa figura coperta da un lenzuolo (che avvolgerà madre e figlia in una scena memorabile), e la bimba-mostro con la testa occupata da un’unica e immensa bocca. Girato quasi tutto in interni e con una fotografia cupa, Under the shadow gioca molto sui silenzi (la colonna sonora è più che altro un sound-design di fondo), sui contrasti fra luci e ombre (pensiamo alle scene in camera e nello scantinato) e su inquadrature claustrofobiche e opprimenti: una regia quadrata e già matura che fa nascere il terrore da ogni angolo.