Underworld: Blood Wars
2016
Underworld: Blood Wars è un film del 2016, diretto da Anna Foerster
La saga di Underworld è ormai giunta al quinto capitolo, ma ciò che le permetterà, o che forse le ha già permesso, di ritagliarsi una piccola nicchia nella storia del cinema, è l’idea che ne sta alla base: aver saputo delineare e declinare le più sanguinose faide famigliari tra vampiri e licantropi in un universo cinematografico che omaggia tanto il fumetto quanto il genere action. Forse la chiave per accedere all’universo di Underworld: Blood Wars (e conseguentemente a tutti i precedenti capitoli) è il personaggio di Selene (Kate Beckinsale) che, in uno scambio inconsapevole di prestiti e rimandi, ricorda molto quello di Milla Jovovich in Resident Evil. Entrambe eroine mascolinizzate, entrambe esponenti di una generazione di donne dominatrici, entrambe outcast impegnate in un’impari guerra contro tutto e tutti. L’universo in cui si muove Selene non è nemmeno horror in senso stretto, ma un condensato di universi rinchiusi l’uno dentro l’altro come in un sogno, o come in una grande matrioska video ludica i cui confini si fanno sempre più labili e incerti. Da questo punto di vista, Underworld è un’operazione futurista, perché i registi che si sono succeduti in cabina di regia (l’ultima una donna, esordiente: tale Anna Foerster) detestano e irridono l’intera tradizione di genere. Non solo lupi mannari e vampiri convivono in strutture claniche degne di una tragedia greca, ma i mondi in cui sono collocati collidono tra loro spezzandosi in strisce di realtà, schegge e frammenti impazziti. In questo nuovo capitolo della serie la fantascienza tende però a sopraffare l’orrore, un po’ come d’altronde in Underworld Awakening (2012, Mans Marlin), dove l’abile protagonista veniva ibernata e risvegliata dai membri lycan di una potente corporazione di scienziati e studiosi di ingegneria genetica.
Qui Selene è attirata dalla perfida Semira (Lara Pulver) nell’alveare dei vampiri, la loro tana segreta, leitmotiv dell’antologia, col pretesto di allenare schiere di nuovi guerrieri nell’uso delle armi e del karate. Si tratta di una trappola, perché la giovane vampira è presto catturata dai suoi stessi simili che le vogliono rubare delle preziose campionature di sangue. Selene, infatti, conserva in sé tanto il sangue dei vampiri quanto dei lupi mannari, ed è diventata così un’inconsapevole arma batteriologica alla cui ricerca si gettano i più feroci membri delle due tribù. Selene riuscirà a scappare e mettersi alla ricerca della figlia, Eve, avuta nel capitolo precedente da uno dei protagonisti della serie, il lycan vampiro Michael Corvinus (Trent Garrett che subentra al posto di Scott Speedman), apparentemente assassinato dal capo dei malvagi, il licantropo Varga (Bradley James). Underworld: Blood Wars è il vecchio che ritorna travestito da nuovo, anzi nemmeno quello. In fin dei conti l’intera serie è come un sinuoso nastro di Moebius che, con l’eccezione del terzo anello (Rise of the Lycans, il prequel del 2009 d’ambientazione medievale) parte e si ricongiunge al medesimo punto, una sola grande storia che si srotola attraverso gli stessi nuclei concettuali le cui variazioni stanno soltanto nella disposizione degli elementi. Quest’ultimo Underworld non differisce molto dal predecessore Awakening, c’è molta azione e tutto ciò che, visivamente parlando, costituiva l’attrazione della serie, qui è posto ai margini, compresso, quasi abbandonato.
È un peccato, perché di Underworld capitolo primo e secondo, cioè quelli diretti da Wiseman, si ricordano le sontuose scenografie, il barocco esplosivo, le atmosfere gotiche post-Matrix, i movimenti e gli spazi che si intersecano l’uno con l’altro, implodendo e scatenando astruse armonie. Come non amare quei licantropi bestiali, muscolosi, coperti di spesso vello marrone che lottavano all’ultimo sangue in scene suburbane degne di Fight Club? Come dimenticare le meraviglie peccaminose del rifugio dei vampiri, intagliato, arzigogolato, imperiale eppure moderno come una discoteca, fighetto come una rivista di moda dove discinte creature delle tenebre celebravano gli imenei del piacere vampiresco? Nella regia di Anna Foerster c’è ben poco del genio di Wiseman, a parte una scena che ha del fantasy: una centrale operativa dispersa nelle nevi, e gestita da una setta di vampire albine, che tutto sommato ricordano degli elfi natalizi. È il gene di Underworld che muta, si evolve, e come sempre contamina altri generi, parassitandoli, assorbendoli per rafforzare i propri tessuti. Il risultato piace a metà, scorre senza entusiasmare, fa da diversivo più che da rivelazione, ripercorre il già visto senza aggiungere nulla di nuovo. D’altronde parliamo di una serie che ha mescolato tutto quello che poteva mescolare, che ha frullato, mangiato e cannibalizzato. Non restano che le ossa da spolpare, ma per fortuna non siamo ancora arrivati a tanto.