Until the light takes us
2008
Until the light takes us è un documentario del 2008, diretto da Aaron Aites e Audrey Ewell
Al tempo di questo documentario Varg Vikernes è ancora in galera e Bard Faust si presenta al pubblico mascherato in stile pentito mafioso, mentre oggi entrambi sono ingurgitati dall’orco mediatico social. Il primo fa degli aberranti clippini su YouTube dove cita Sabrina Salerno e rinnega la scena black di cui era protagonista, mentre l’altro suona in giro per il mondo con gli Emperor e si lascia fotografare. Until the light takes us tratta con equilibrio e discrezione l’intera faccenda del black metal norvegese, che è qualcosa di più di un banale sottogenere del rock praticato da alcuni disagiati sociali con manie di iconoclastia, piromania e assassinio omofobico. Gli ex-ragazzi intervistati nel documentario avevano qualcosa da dire, per quanto spesso e volentieri preferissero dirla malissimo, con un quattro-piste antidiluviano o una scatola di fiammiferi.
Sia Varg che Fenriz, principali intervistati nel documentario, sono le due ali del medesimo angelo distruttore. Varg è in prigione per omicidio e l’altro è un pacifico batterista che vive per la sua musica e la sua band seminale, i Darkthrone. Uno ha introdotto la politica e l’azione armata nel movimento black metal, il secondo non lo ha mai considerato un movimento e ha creato la sua esclusiva rivoluzione usando la peggiore apparecchiatura possibile per registrare musica impresentabile. Entrambi raccontano quanto ciò che fecero finì nel calderone dei media e come i media lo trasformarono in merda. E questo dice quanto in fondo siano dei puri ancora oggi, come quei ragazzini con i fucili che correvano con le loro bici davanti al primo McDonald’s della città e sparavano alle vetrate per protesta. Si sorprende Varg di come le mosse politiche sue siano state tradotte in azioni sataniche di un pazzo capellone e pure Fenriz si lagna di come la band più intransigente del rock, i Darkthrone, sia oggi tacciata di aver creato l’ennesimo trend ma entrambi sembrano non voler capire che è ciò che i media vendono e ciò che il mondo vuole comprare. Only Shit!
L’ ora e mezza del documentario ci conduce per le strade di Oslo, appresso al sagomone allampanato di Fenriz, che tra una birra e una selva di sigarette prova a spiegarci come andarono le cose e quanto in fondo ne potesse fregare a lui. «Mi sarei dato fuoco io, se avessi potuto. Figuratevi quanto me ne importasse delle chiese bruciate!» dice. Noi gli crediamo. Lo vediamo sorridere solo quando lo stereo che tiene in casa sferraglia qualche vecchio disco dei suoi Darkthrone.
E poi ci troviamo al cospetto dell’anticristo norvegese Varg: da un hotel a cinque stelle che poi scopriamo essere un carcere di massima sicurezza esprime le sue idee anti-cristiane, solleticando l’impalcatura pagana del pubblico sentenziando che la «radice di ogni male di questo mondo è proprio la croce». Varg non è uno sprovveduto e ha carisma, sa anche strapparci qualche sorriso, eppure ci gela il sangue quando racconta nei minimi dettagli, forse per la millesima volta, come uccise il suo compagno, produttore ed ex-commilitone Euronymous. Si è solo difeso accoltellandolo a morte, dice. E non c’è incertezza nei suoi occhi, splendono luminosi come un sole di mezzanotte.