The ward
2010
The Ward è un film rigoroso, spartano, classico, che chiede allo spettatore di entrare a far parte dell’intreccio e non di subirlo soltanto.
I registi non sono come il vino e col tempo è difficile migliorino. Anzi, è piuttosto vero il contrario, che il loro pregio sulle lunghe distanze assuma il gusto aspro dell’aceto. La questione però è complessa: parliamo di John Carpenter e del suo The Ward ma non possiamo certo affiancarlo ad altri cineasti che hanno dimostrato l’attuale inconsistenza di un passato fiammeggiante, tanto per non fare nomi Dario Argento. Questo perché c’è il rischio di pensare, leggendo quanto si scrive in giro per il pianeta a proposito di The Ward, che Carpenter abbia diretto la sua Terza Madre o il suo Giallo. Proprio no.
Sergio Baldini sulle pagine dell’ultimo Nocturno dice di Carpenter che è un regista in netta decadenza e che il suo ritorno al grande schermo dopo nove anni (personalmente non ignorerei, però, che in mezzo c’è stata l’esperienza dei Masters of Horror) può essere salutato nella migliore delle ipotesi come un film corretto, cioè innocuo, realizzato senza punte e, fuori e dentro di metafora, senza eccessivi spargimenti di sangue. Metti, insomma, un qualunque horroretto realizzato, cotto e mangiato, per il mercato del dvd. Pesante, anzi pesantissimo. Almeno della Terza madre o di Giallo puoi dire che fanno schifo al cubo, che nel pessimo sono, almeno, qualità raggiunte. Carpenter avrebbe invece partorito niente più di un film “tiepido”.
Non c’è evidentemente alcuna consapevolezza, alcuna pianificazione in questo, ma The Ward più che i filmetti di fantasmi inglesi degli anni Sessanta, richiamati nell’articolo di Baldini, evoca Suspiria. Non tanto perché seguiamo le vicende della nuova arrivata in un universo chiuso, popolato di sole presenze femminili, ma per una sorta di stimmung, di umore, di spirito, che aleggia per i lunghi corridoi deserti e gli stanzoni silenziosi che intrappolano i personaggi e i fatti del film. Colei che porta il senso della trama è Amber Heard, una piromane rinchiusa in un ospedale psichiatrico, in un reparto di coetanee molto avvenenti e che tutto hanno fuorché delle malate di nervi. Il che va bene, perché non siamo venuti a vedere Qualcuno volò sul nido del cuculo e a Carpenter non interessa il realismo ma creare un ambiente ideale, un luogo della mente. Esattamente come Argento con il suo film di venticinque anni fa. La Heard segue più o meno la stessa trafila di Jessica Harper: ha a che fare con le arcigne madri guardiane del posto, le infermiere, e con un medico che la cura a colpi di elettroshock – va precisato che l’azione si svolge negli anni Sessanta – e man mano assiste alla decimazione delle compagne per mano di una presenza fantasmatica, uno spettro femminile, rugoso, che cerca a più riprese di fare la pelle anche a lei.
L’accusa è che le scene che dovrebbero fare paura non fanno paura e che morti ed efferatezze non hanno niente da spartire con il trend attuale dell’horror americano. La replica è che nessuno sarebbe tanto idiota da andare a vedere un film di John Carpenter aspettandosi di vedere Saw e che al regista affetto da una variante morbida della tremenda progeria, la sindrome che fa invecchiare precocemente, non passa neppure per l’anticamera del cervello di girare un film à la page. E su questo, perlomeno, Baldini ha ragione: Carpenter fa un film in controtendenza , che non riesco a fare a meno di pensare, idealmente, sul medesimo piano di Survival of the Dead di Romero e in totale opposizione al fregnacciaro Giallo di Argento che, lui sì, cerca di far finta di essere quel che non è e che non potrà mai essere, facendo propri i cascami del torture-porn. The Ward è un film rigoroso, spartano, molto classico, che ci sollecita a mettere anche del nostro nella visione, che non ci offre la pappa pronta e chiede che lo spettatore sia parte dell’intreccio e non lo subisca soltanto. Siamo quindi a distanze siderali, concettualmente, oltre che formalmente, dal cinema che va adesso.
Insomma, che mi resta? Mi restano dei titoli di testa grandiosi, su una musica che fa accapponare la pelle. Resta Amber Heard, figazza sfavillante ma non scema, giusta per il ruolo, compartecipe, persino brava. Resta una corona di cose, personaggi, ambienti e ambienti-personaggi, non poco ambigui, calcolati come giusto teatro per l’inquieto spettacolo che si va a mettere in scena. Inquieto, più che inquietante, mi pare infatti l’aggettivo che meglio connota l’opera. Restano le spiegazioni che Carpenter si esime dal dare perché i conti tornino tutti quanti ed è là, in quel cuneo d’ombra che, come dicevo, si ha l’impressione che il regista ci inviti ad entrare e a starci.
Un film, The Ward – che significa “reparto, corsia d’ospedale” – che a quelli come il sottoscritto, matti da legare, danno il senso dell’essere finalmente tornati a casa.