Westworld – Stagione 3
2020
Westworld – Stagione 3 è una serie tv del 2020, ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy.
A calamitare l’attenzione fin dalla prima stagione di Westworld ci aveva pensato la seducente riproduzione di un mondo western lontano dai nostri giorni, ma che non ha mai cessato di esercitare il fascino che lo ha contraddistinto; ciò che, invece, ha tenuto vivo l’interesse durante la seconda stagione, decisamente più sottotono e di difficile interpretazione a causa di salti temporali repentini e alla totale assenza di dialoghi d’impatto, è stato il dubbio, non tanto di sapere come sarebbe finita, ma la curiosità di vedere in che modo Nolan e Joy avrebbero sciolto tutti i nodi generati, in alcuni casi, forse, troppo aggrovigliati. Westworld – Stagione 3 colloca lo spettatore in un altrove spazio-temporale drasticamente cambiato, nei costumi, nell’ambientazione, nei colori; tutto è mutato, compresi i moventi in funzione dei quali avevano agito i personaggi che ora partecipano ad un futuro meccanicistico e severamente ordinato, in cui, tuttavia, tutto torna declinato in un mondo affascinante e inquietante dove a farla da padrone è la minaccia che da decenni, ormai, la letteratura come la cinematografica ci suggeriscono di paventare, quella del determinismo tecnologico. Non mancano colpi di scena, esercizi tecnici ambiziosi, mai presuntosi, e la riproduzione, credibile, di un mondo mozzafiato. Ma come ogni show in cui gli elementi sembrano essere di numero nettamente superiore al tempo e allo spazio per sviscerali, qualcosa è stato sacrificato e Nolan e Joy in questa stagione hanno deciso di immolare i loro stessi personaggi: ridotti, in alcuni casi, a pedine senza meta, slegati gli uni dagli altri nel tentativo di perseguire scopi non sempre chiari e, talvolta, anche attraverso scelte contro-intuitive.
Piegati alle dinamiche e agli spazi dello show, Dolores, Meave, Stubbs, Bernard mancano di spessore e si ritrovano privati del loro sostrato. Lo stesso William, tra i protagonisti delle prime due stagioni, si ritrova confinato in una dimensione intimista e avulsa dal contesto a tal punto da trasformarsi, in una sorta di contrappasso parodistico, in un Gandalf post litteram. Nessun contributo di valore è stato apportato anche dalle new entry Aron Paul nei panni di Caleb, braccio destro di Dolores, e Vincent Cassel nel ruolo di Serac, burattinaio di un mondo piegato al volere di Rehoboam, mente artificiale creata da egli stesso. Anche in quanto antagonista, Serac ha ben poco dell’oscuro fascino che aveva contraddistinto Anthony Hopkins nel ruolo di Ford nella prima stagione. Ciononostante, soprattutto con l’episodio finale, Westworld ha dimostrato di essere ancora in grado di reggere il confronto con quanto aveva offerto precedentemente, congedandosi lasciando allo spettatore la speranza di un nuovo mondo e il sentore che il peggio potrebbe non essere passato. Il vero grande ritorno di questo terzo capitolo a cui dà soffio vitale il finale è il tema del ricordo: ancora una volta ci si imbatte nel ruolo supremo giocato dalla memoria nel processo di realizzazione individuale in quanto strumento del singolo per giungere all’autocoscienza. Ciò che siamo non è altro che il frutto dell’esperienza vissuta e sono i nostri stessi ricordi che determinano l’ousia (sostanza), per dirla con Aristotele, dell’essere vivente e pensante indipendentemente che sia una mente artificiale o un essere umano.
Ma, provocatoriamente, se è l’esperienza a renderci quello che siamo e se è l’elaborazione dei ricordi vissuti a determinarci come esseri pensanti, con quanta fermezza possiamo sostenere che gli androidi, così come Nolan li ha esibiti, non sono essi stessi, ricorrendo nuovamente ad un concetto aristotelico, una specie diversa di uno stesso genere? Rispetto alle prime stagioni, immutato è il fil rouge che muove l’intera riflessione imboccata in Westworld – Stagione 3, si tratta della controversa tematica del libero arbitrio; il disgusto provato dai residenti di Westwolrd nello scoprire di essere prototipi, disegnati ad immagine e somiglianza degli uomini, e della presa coscienza di essere privi di facoltà decisionale, torna prepotentemente in questo terzo capitolo; è la volta degli essere umani, sono essi stessi i residenti di un mondo, quello “vero”, schizofrenico e ossessionato dall’ordine che ripianifica le loro esistenze definendo l’intero percorso della loro vita. L’umanità ha smarrito la sua stessa peculiarità; l’uomo ha perso il controllo della sue scelte e, nello sforzo di dominarlo, anche quello sul mondo. E, allora, dove ci porteranno gli sviluppi dell’eugenetica? Intervenire sulla natura è un atto di generosità o solo arrogante manifestazione di hybris? Quanto fuoco possiamo rubare agli dei prima che tutto ci si ritorca contro? Tuttavia, fino a quando saremo ancora in grado di porci queste domande, vorrà dire che, forse, tutto sommato, non siamo ancora perduti.