Wolverine – L’immortale
2013
Wolverine – L’immortale, film del 2013 diretto da James Mangold con protagonista Hugh Jackman.
Nel Giappone moderno Wolverine affronta il suo nemico definitivo in una battaglia in cui è in gioco la vita o la morte, e che lo cambierà per sempre. Per la prima volta vulnerabile, spinto ai suoi limiti fisici ed emotivi, dovrà fare i conti non solo con un letale samurai d’acciaio, ma anche con la propria immortalità.
Seconda avventura in solitaria del mutante interpretato per la quinta volta da Hugh Jackman, la cui storia si colloca temporalmente dopo X-Men: Conflitto finale (2006) terzo capitolo della saga dedicata agli eroi Marvel. Dunque non si tratta del sequel del prequel (Wolverine – Le origini, 2009), ma di una divagazione sul tema, in preparazione del ritorno, anticipato dall’immancabile inside joke dopo i titoli di coda, dei mutanti senior, dopo l’exploit delle versioni junior in X-Men – L’inizio (2011).
Per chi non mastica pane e Stan Lee, seguire le avventure dei supereroi inizia a diventare faticoso. Come raccapezzarsi in questa continuity in continuo movimento? Non resta che prendere una decisione: o scegliere di giocare godendosi i riferimenti o godersi i film scegliendo di fregarsene. Nel primo caso si perde parte del divertimento, ma alla fine va bene lo stesso. In Wolverine – L’immortale, tolto di dosso il fardello delle origini e delle ferite che lacerano la sua anima, il principe d’adamantio in sella alla sua moto va a salvare una bis-principessa rinchiusa in una torre, superando eserciti yakuza, vipere velenose e macchine micidiali. Più che la versione cinematografica di un eroe dei fumetti, dunque, sembra un suo adattamento fiabesco. Infatti, sebbene la struttura del film ricalchi alla perfezione il filone, specie per quanto riguarda alleati e nemesi, il risultato è più classico, quasi sentimentale.
Non ci sono scossoni in Wolverine – L’immortale, le scene d’azione sono portate a casa con puntualità, la trama è un canovaccio dove diluire tutti gli archetipi del vissero mutanti e contenti, e usciti dal cinema quasi non ce ne si ricorda più, soprattutto dell’inutile 3D. Resta però impressa nella memoria l’allergia alle camice di Hugh Jackman, che ancora una volta riesce a trovare il modo (il bagno!) di mostrare tutto il suo statuario talento.