Z Nation – Stagione 1
2014
Z Nation – Stagione 1 è una serie tv del 2014, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2015, ideata da Karl Schaefer e Craig Engler.
Inutile descrivervele se non le avete mai viste, futile farlo se, invece, vi ci siete imbattuti; le produzioni targate The Asylum sono quanto di più folle, divertente (per alcuni), irritante (per altri), possiate lontanamente immaginare nel vastissimo panorama del cinema indipendente dai dictat delle major hollywoodiane ma dipendente dalle comunque ferree leggi, non scritte, che regolamentano il mercato dello straight-to-video (quello che, per capirsi, riempie i “cestoni” dei centri commerciali o la programmazione di canali tematici e quella incerta dei palinsesti estivi sulle reti nazionali). Bandite quindi velleità autoriali e spinta al massimo la manopola del gas in termini di nonsense e trash servito a buon mercato, per andare incontro ai gusti cialtroni di un pubblico che, con orgoglio, alza in alto bottiglie di birra e inzuppa i propri pensieri in vaschette di salsa piccante, si può prendere in mano questa serie tv e, senza troppe preoccupazioni, premere il tasto play. Z Nation, come tradizione “asylum” comanda, è prima di tutto una parodia e, dato che i protagonisti sono un gruppo di sopravvissuti a un’apocalisse zombi, in un mondo ormai tormentato dalla presenza di quest’ultimi, non è difficile nemmeno immaginare di cosa.
La trama, da par suo, è semplice quanto efficace sul piano narrativo: un galeotto viene sottoposto a un esperimento che mira a trovare una cura contro il virus ma, morso dagli zombi, scopre essere lui la “cura” e, allora, ecco un team di personaggi eterogenei, nei modi e nelle competenze, pronto a portarlo da New York fino in California, dove si conta di dar vita al primo dei vaccino, salvando così l’umanità. Sviluppata sulla distanza di 13 episodi, Z Nation – Stagione 1 nasce soprattutto come banco di prova, per la casa di produzione americana, per entrare nel circuito delle serie televisive che, come mi ha confermato Paul Bales, produttore e responsabile commerciale di The Asylum, rappresentano, almeno dal loro punto di vista, il futuro dell’industria, al netto del fatto, sempre più acclarato, che l’attenzione media degli spettatori si è abbassata vertiginosamente, rendendo, de facto, sempre meno conveniente investire nella realizzazione di lungometraggi. E se è impossibile non convenire con chi si scaglia, anche violentemente, contro un’idea di cinema che non necessariamente è quella che ci hanno portato in dote i padri fondatori e che è ben lungi da essere definibile Arte in senso stretto, va detto che, almeno a questo giro, il risultato finale è tutt’altro che detestabile.
Messi da parti alcuni peccati (o qualità.. Ma in questo caso il confine è labile) di forma, tipici proprio dei prodotti targati The Asylum, ma mandati a memoria alcuni momenti memorabili (la sequenza della “Liberty Bell” è qualcosa che difficilmente dimenticherete), dialoghi che da soli legittimano una carriera di sceneggiatore («L’Apocalisse è molto simile alla riabilitazione. L’affronti un giorno alla volta e poi fai il passo successivo. In questo caso significa trovare benzina. Dopodiché … chi può dirlo?») e autocitazionismo che rasenta il sublime (una puntata è intitolata Znado e fa il paio con il loro maggior successo, Sharknado, sostituendo, nel tornado, gli squali (!) con gli zombi (!!!), si può dire, senza vergogna, che, da metà stagione in su, la serie sale di livello, regalandoci momenti di vera tensione e raccapriccio, alcuni dei quali davvero notevoli. Pecca, semmai, nel volerla tirare per le lunghe e, alla fine, si arriva con il fiato corto. Sugli scudi, oltre al “Patient Zero”, Keith Allan, la cazzutissima Kellitha Smith, corpo da sturbo anche alla soglia dei cinquant’anni.