Zeros and Ones
2021
Zeros and Ones è un film del 2021, diretto da Abel Ferrara.
In una città deserta e dalle sembianze apocalittiche si aggira il soldato americano JJ, la cui missione è quella di salvare la Santa Sede dalla distruzione e recuperare il fratello gemello, rapito da forze ostili. Se vi sembra una trama un po’ confusa non vi sbagliate, ma purtroppo siete solo all’ingresso della tana del Bianconiglio. Parliamo di Zeros and Ones, ultima fatica di Abel Ferrara, proiettato in prima mondiale al 74° Festival di Locarno e vincitore del Pardo alla miglior regia. Il film di Ferrara è stato girato a Roma nell’estate del 2020, in pieno lockdown, e come anticipato narra delle peregrinazioni del soldato JJ (Ethan Hawke) per una Roma oscura e desolata, in missione per prevenire un attacco non ben specificato alla Santa Sede. Gli spazi della capitale sono lontani da come siamo abituati a vederli nel cinema nostrano, quasi estranei alla città stessa: la Roma de La dolce vita o de La grande bellezza è una città ben diversa, non aspettatevi vita, sole o i luoghi simbolo, a meno che per luogo simbolo non vi accontentiate di Roma Termini. In questo film le ambientazioni della città eterna, fotografata da Sean Price Williams (DoP di Good Time), sono desertiche, rese possibili dalla quarantena allora in vigore, e strizzano l’occhio al crime italiano anni settanta, al noir e, spesso, anche allo spettatore che fatica a vedere cosa accade sullo schermo. La fotografia, tuttavia, non è l’unico punto oscuro di quest’opera.
Zeros and Ones non è dotato di una vera e propria trama o, perlomeno, di una trama funzionante. Non ci è chiaro come agisca JJ, cosa cerchino i suoi nemici (ovviamente russi) e cosa stia per accadere; tutti, però, fanno costantemente una domanda: “When and where?”. Lo chiede anche Valerio Mastandrea, cammeo inaspettato, mentre come capo di una delle forze ostili interroga il fratello gemello di JJ (sempre Hawke) che si erge a figura profetica o, secondo quanto afferma lui, rivoluzionaria. Una cosa è chiara: la rivoluzione sta arrivando, e non può essere fermata. Prima che arrivi questa rivoluzione, annunciata da frasi misticheggianti come “l’apertura della porta” o “quando le porte si apriranno” (che ci collocano in un territorio non ben specificato tra Stargate e L’aldilà) JJ dovrà affrontare una serie di situazioni improbabili, tra mercati neri, appartamenti squallidi e stanze d’hotel poco illuminate, culminanti con l’esplosione della santa sede in una terribile nuvola di fiamme pixellate. Il tutto procede senza una reale motivazione che leghi le varie sequenze, lasciando lo spettatore interdetto. È tuttavia possibile osservare un filo rosso che lega ogni scena, ormai ci è fin troppo noto: il Covid.
L’atmosfera apocalittica, infatti, collide e si fonde con la pandemia in atto, collocando l’opera molto vicina al documentario di Ferrara Sportin’ Life, che trattava proprio il lockdown. Le strade sono vuote a eccezione dell’esercito, si comunica tramite Skype o Zoom e i personaggi sono sempre in giro con la mascherina, dotati di gel sanificatore, senza però seguire regole precise o realistiche. Emblematica la scena in cui Hawke bacia una ragazza tenendo addosso la mascherina, quasi a richiamare Gli amanti di Magritte, per poi abbassarla un attimo dopo. Ciò contribuisce alla generale atmosfera di disagio e angoscia – se non addirittura di claustrofobia – che Zeros and Ones crea senza, tuttavia, riuscire a toccare gli animi, troppo confusi dalle vicende. È proprio con la chiave di lettura offerta dalla pandemia, però, che arriviamo a comprendere qualcosa: quando finalmente “le porte si apriranno” la gente tornerà per strada, uscirà a giocare con i propri figli e si siederà al bar per prendere un caffè, noi capiremo, in parte, cosa voleva dire Ferrara. Ciò, purtroppo, non basta a salvare un’opera confusa, sconclusionata e realizzata in alcune sue parti molto male. Ferrara, nonostante il pessimismo dilagante (il film è pieno di delusioni e tradimenti), ha cercato di non arrendersi alla situazione attuale causata dalla pandemia, finendo per cadere in una narrazione del Covid semplicistica, un po’ complottista e ormai fin troppo diffusa.