Pietro Torrisi
L'uomo che recitava la sua persona
Catanese, Pietro Torrisi racconta di sé di essere diventato un forzuto per riscatto, venuto al mondo magrolino e gracile con dei fratelli, al contrario, “tutti belli in carne”. Comincia alzando pietre per la strada e contestualmente alle prime vittorie agonistiche nel sollevamento pesi, viene notato dal cinema. A suo dire, il primo film fu La sposa bella di Nunnally Johnson, anno 1960, dopodiché lo vollero per interpretare una statua in Cleopatra di Mankievicz, ma piuttosto che dipingerlo di nero gli preferirono un negro naturale. Il set gli fa scoprire di possedere “doti atletiche”, nel senso di “ritmo cinematografico”: «La macchina da presa ha dei ritmi dai quali non puoi sfuggire e sono pochi quelli che li hanno nel sangue». Torrisi è uno di questi. «Raramente con me si ripeteva una scena». Grazie ai pepla, dà l’impressione di essere nato con una spada in mano, ma non diventa mai protagonista, colpa di Nick Nostro, detto O’ professore, che dopo I dieci gladiatori di Parolini, lo mette sotto contratto per due film e gli impedisce così di partecipare a I tre invincibili, scritto appositamente per lui, Nick Jordan e Sal Borgese da Parolini: «Non so se vi rendete conto cosa avrebbe significato fare un film da protagonista a 23 anni».
Altra cosa che lo frega è la refrattarietà alla lingua inglese, “bestia nera” che gli fa perdere “un sacco di occasioni”. Fallita la possibilità – racconta Torrisi – di una sceneggiatura che il regista-produttore Tonino Cervi, conosciuto nel western Oggi a me, domani a te, gli avrebbe cucito addosso, l’uomo forte di Catania si rifugia in una sorta di aurea e professionale mediocrità: molti film di tutti i generi, in ruoli marginali o marginalissimi, poi, ogni tanto, qualcuno con risalto (L’ambizioso di Squitieri, Bella di giorno, moglie di notte di Nello Rossati). Una specificità, comunque, se la ritaglia: diventa l’interprete per eccellenza delle sequenze osée realizzate per le french versions, guadagnando così l’alloro di primo performer hard della storia del cinema italiano, persino sul set dei western (Il venditore di morte, di Enzo Gicca). Non giudicandosi un attore («Io recitavo la mia persona»), Torrisi prese quel che la settima arte gli offriva, poco o tanto che fosse, senza mai montarsi la testa, nemmeno quando negli anni Ottanta controfigurò Arnold Swarzenegger in Yado e il fantasy casareccio lo premiò finalmente con il primo nome (cioè lo pseudonimo Peter McCoy) in ditta, nel trittico composto da Sangraal la spada di fuoco, di Michele Massimo Tarantini, Il trono di fuoco e Gunan il guerriero di Franco Prosperi.