Qui non è Hollywood. Sarah Scazzi, l’ultima lolita

Sulla straordinaria figura della vittima nella serie di Pippo Mezzapesa: il lolitismo come movente
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Premessa sciocca ma necessaria, nel nostro tempo distratto che confonde la narrativa con la realtà: mi riferisco al personaggio di Sarah Scazzi nella serie Qui non è Hollywood, ossia la figura interpretata da Federica Pala, giovane attrice classe 2007, tra i sedici e i diciassette anni nel corso delle riprese.

Il principio del racconto è già chiaro, sintomatico: Sarah come ultima lolita. La prima puntata della serie di Pippo Mezzapesa, chiamata appunto Sarah, affresca splendidamente il ritratto della quindicenne ammazzata ad Avetrana il 26 agosto 2010. La estrae dall’immonda realtà e la colloca nell’empireo della forma narrativa: è qui che abita il fantasma di Lolita. Sarah infatti, al contrario della rappresentazione retorica dei media, qui non è un “angioletto” né è “volata in cielo troppo presto” o simili sciocchezze: è un’adolescente di quindici anni, presa nel mezzo del suo coming of age, che si comporta esattamente come una ragazzina vivace di quell’età. Siamo in estate, corpi nudi, sotto il sole. Un Kechiche traslato nel Salento. Sarah va al mare con la cugina Sabrina, ovvio, ma il divario tra le due è abissale e lancinante: “È così magra che mi fa male”, dice la futura assassina guardando la cuginetta in costume.

La quale – consapevole o meno – comincia a districarsi nel proprio corpo, nel modo di vestire, nella camminata, nella condotta, nel gettarsi bagnata e in costume tra le braccia di Ivano, l’oggetto della contesa. Da parte sua Sabrina non può che soffrire: le sue carni sono flaccide, sovrappeso, in crudele contrappasso col lavoro da massaggiatrice; lo attesta cinematograficamente il montaggio alternato della prova costume che scolpisce il concetto nella pietra. È il mercato dei corpi, del resto, funziona così, l’esemplare più attraente finisce per calamitare il suo simile, come postulato da Houellebecq in Estensione del dominio della lotta: “In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine”. Così è, non se vi pare.

Ecco allora che il movimento di Sarah, nel paese, al pub, sulla sabbia diviene sempre più insopportabile: lei, accettando la confusione del teen movie, compilando un diario alla Laura Palmer, resta incerta se il “dio Ivano” sia solo un amico o se bramarlo, desiderarlo carnalmente. Però, sempre col dubbio di intenzione, è già pronta a screditare la rivale: “È cozza”, sentenzia in pubblico. È una condanna a morte. Lo sguardo di Pippo Mezzapesa si dimostra molto abile a danzare sul confine: si muove in quello spazio liminare che divide l’infanzia dall’adolescenza, l’epoca del gioco prepubere dall’ingresso nell’età adulta col risveglio sessuale. Dove la richiesta di tenerezza (“Mi abbracci?”) si intreccia al contatto seminudo. Così la giovane Scazzi si iscrive nella tradizione cineletteraria della lolita, su quella sottile linea scura che va dall’archetipo di Nabokov alla ninfa incostante di Cabrera Infante, riscritta però nel carattere del presente, contemporanea, attuale, cucita sul crime di oggi: e oggi il lolitismo è insopportabile, non può essere tollerato, va eliminato. Ucciso.

L’ultima immagine concreta dell’adolescente che somiglia a Uma Thurman, non a caso, è il dettaglio delle infradito rosa ai piedi senza vita, un’inquadratura squisitamente “lolitica”: dopo ritornerà, ma solo come flashback o fantasma. Da qui la fine della povera Sarah, infatti cosa abbiamo visto nel primo episodio? La costruzione del movente. Poi nella serie c’è molto di più e altro, ma intanto questo resta impresso: il lolitismo come movente. Una visione straordinaria, la Sarah di Qui non è Hollywood: maliziosa, disperata, struggente. Rispettosa della vittima proprio perché viva, prima di morire. Un personaggio che piacerebbe ad Alberto Lattuada.

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