Ragazzi perduti
Quando il vampiro discese nella giungla urbana
“Dormi tutto il giorno. Impazzi la notte. Non invecchi mai. Non muori mai. Niente male essere un vampiro oggi”.
Era questo il motto promozionale, dai toni puerili, che campeggiava sullo splendido poster pubblicitario di Ragazzi perduti, altrettanto noto col suo titolo originale, The Lost Boys (lo stesso Dario Argento lo presentava così, qualche anno fa, nella sua rassegna di Rai Movie 100 Pallottole d’Argento). Manifesto, quello del fortunato fantahorror metropolitano di Joel Schumacher, raffigurante i suoi protagonisti dietro a un suggestivo background color rosso vivo, che avevo visto affisso all’interno della videoteca in cui bazzicavo da piccolo, ere fa, e in cui passavo spesso a osservare le locandine dei film, in particolare quelli del genere horror. (A quell’epoca bastava poco per incutermi un po’ di timore, mi era sufficiente leggere un titolo come Camping del terrore, italo-slasher d’annata, affinchè in me prendessero forma inquietanti e sanguinolente concezioni vacanziere). Del cast di The Lost Boys risalta particolarmente l’immagine iconica di Kiefer Sutherland, con quella barba incolta in stile Mickey Rourke (periodo Nove Settimane e Mezzo) e un’acconciatura biondo platino alla Billy Idol, idolo musicale inglese (ex frontman dei Generation X), divenuto popolare negli Stati Uniti per il rock/pop orecchiabile contenuto in album quali Rebel Yell e Whiplash Smile. Figlio d’arte (dell’attrice Shirley Douglas e di un più celebre Donald Sutherland, entrambi canadesi), nel film Kiefer è il perfido David, capo banda di un piccolo clan di famelici vampiri motociclisti. Il suo ruolo, quello del gang leader, è all’incirca lo stesso che gli era spettato nel coming-of-age Stand By Me di Rob Reiner (ispirato dal racconto ‘Il Corpo’ di Stephen King e incluso nel bestseller Stagioni Diverse), quando, interpretando il cattivo Ace, armeggiava con un coltello a serramanico di fronte a un giovanissimo e impavido River Phoenix.
Sia detto che quella di The Lost Boys non è certo una trama intricata. Una madre divorziata, Lucy (palese qui, trattandosi di un film sui vampiri, il rimando alla Lucy Westenra del romanzo Dracula), ovvero la stessa Dianne Wiest che proprio nel 1987 si sarebbe aggiudicata un Premio Oscar come miglior attrice non protagonista nell’imperdibile Hannah e le sue Sorelle di Woody Allen), si trasferisce coi suoi due figli nella città californiana di Santa Carla, cittadina dal nome fittizio trattandosi, nella realtà, della californiana Santa Cruz. Il più piccolo si chiama Sam (Corey Haim), il più grande Michael (Jason Patric), giovane dall’aria ribelle con tanto di mascellone. Girando in città, questi si imbatte in una strana ragazza di nome Stella (Star, nell’originale – lei è la bella mora Jamie Gertz), mentre il fratello, entrando in una fumetteria, incontra due bizzarri coetanei, Edgar e Allan Frog, che nel doppiaggio italiano diventano i fratelli Ranocchi. Uno dei due, Edgar, è lo stesso Corey Feldman interprete dei Goonies e del già menzionato Stand By Me, due film per cui è lecito supporre che Schumacher (e con lui il produttore Harvey Bernhard) puntasse a conquistarne il pubblico. I fratelli Ranocchi, in definitiva, riferiscono a Sam che Santa Carla è una città unta di continui assassinii, dovuti alla forte presenza di vampiri. Per questo motivo, i due lo dissuadono dal comprare fumetti come Superman o Batman, esortandolo, invece, ad appropriarsi di uno specifico albo chiamato Vampiri: come combatterli, secondo loro una vera e propria bibbia della sopravvivenza utile a resistere alla malevolenza dei non-morti.
Mesmerizzato dal fascino di Stella, Michael si unisce invece alla banda di motociclisti capeggiata da David, che è poi il compagno della ragazza. La banda lo incita a prender parte a una gara il cui “premio” sarà proprio Stella. Michael accetta, sino a che non comincia a fiutare che la banda nasconde qualcosa di malsano. Il giovane è accolto dai teppistelli nella loro caverna sotterranea, ove rifulge un poster di Jim Morrison. Si può qui facilmente intuire come Schumacher cerchi velatamente di equiparare, forse un po’ ingenuamente, l’esteriorità dionisiaca di Morrison a una detta conformazione immaginifica del vampiro. Lo stesso Patric, peraltro, ha fattezze facciali non troppo dissimili da quelle dell’immortale leader dei Doors. Al giovane viene dunque offerto del vino. Che in realtà è sangue. Ed è a questo punto che, bevendolo, Michael viene ufficialmente iniziato al vampirismo. Quando il fratello minore Sam nota in lui l’inizio della metamorfosi, contatta i suoi amici Ranocchi per coalizzarsi e cercare di mettere il salvo la situazione. In sostanza, per ripristinare la normalità in Michael dovranno eliminare il capo-vampiro. Il problema principale, tuttavia, è individuare chi sia davvero costui. Il film ben esplora le minacciose correnti sotterranee delle cose ordinarie, catturando l’astrusità recondita urbana mediante l’uso di colori brillanti ed effetti speciali intelligenti con l’ausilio della succosa fotografia di Michael Chapman, il quale, particolarmente nelle scene notturne, sa cogliere contrasti scintillanti. Non sono da meno le riprese aeree, con la macchina da presa piazzata su un elicottero a emulare il volo bizzarro dei vampiri. Nel periodo in cui il film usciva nelle sale, Schumacher godeva ancora del trionfo al botteghino (ma solo in patria) realizzato con St. Elmo’s Fire, film manifesto del cosiddetto “Brat Pack”, espressione, lo ricordiamo (sempre che a qualcuno interessi), che afferisce a un gruppo di attori e attrici statunitensi degli anni Ottanta divenuti popolari interpretando film legati alla cultura degli adolescenti dell’epoca. Nel cast, per di più da inumare come il film stesso, gente “del calibro” di Emilio Estevez, Demi Moore o Andie McDowell.
Bisogna doverosamente ammettere che, a dispetto di una carriera senz’altro fortunata, la filmografia di Schumacher è tutt’altro fuorchè memorabile. Di costui vi è ben poco, oltre a The Lost Boys, che varrebbe la pena trarre in salvo: diremmo Un giorno di ordinaria follia, con un superlativo – lui sì – Michael Douglas e volendo Batman Forever, terzo capitolo della saga, inaugurata da Tim Burton, dedicata all’Uomo-Pipistrello, snobbato dalla critica sul piano della sceneggiatura ma nondimeno efficiente rispetto ad alcune diluizioni visive (e uditive, come il brano portante – degli U2 – in colonna sonora, “Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me”, il cui rispettivo videoclip passa in rassegna alcuni spezzoni di quel film datato 1995).Ciò premesso, se il regista in questione ha mai realizzato un cult, seppur minuscolo, quello è certamente The Lost Boys. Film che doveva essere, almeno inizialmente, una trasposizione in chiave vampiresca del mito di Peter Pan. Nel racconto di James M. Barrie, Peter Pan e Wendy (uscito inizialmente come pièce teatrale nel 1904 e poi in forma di romanzo nel 1911), assieme a personaggi quali la fata Campanellino (Tinker Bell) e il pirata Capitan Giacomo Uncino (James Hook), figurano anche i Ragazzi Perduti (Lost Boys, per l’appunto). Ovviamente, quelli ritratti da Schumacher sono l’antitesi di quelli innocentemente dipinti da Barrie a inizio Novecento. Hanno un aspetto malsano, bevono sangue e vestono con lo stile di certe rockstar decadenti degli anni Ottanta, periodo di cui The Lost Boys ne è in un certo senso l’epitome. Se il film di Schumacher ha un vanto, è quello di aver saputo modernizzare la figura del vampiro, fino a quel momento rimasta relegata nel più classico contesto stokeriano. Liberandolo dalle pareti del castello ottocentesco, il non-morto viene pertanto spogliato della sua tipica caratteristica attempata e aristocratica, venendo dotato di una sfacciataggine e di un appeal decisamente più giovanile. In molti hanno storto il naso, considerando il film come un banale tentativo maldestro di unire la commedia giovanile al thriller gotico, anche se Schumacher, in realtà, non ha mai avuto la pretesa di asfaltare il conte Vlad; più semplicemente, forse, ha cercato di trascendere rispettosamente la figura del più classico Dracula interpretato da Bela Lugosi e poi da Christopher Lee. In più, introduce una novità in campo vampirologico: se uccidi il capo, tutti gli altri tornano normali.
The Lost Boys, di cui esistono persino due seguiti mai usciti al cinema è citato persino In Le Iene di Tarantino. Mr. Orange (un sempre sublime Tim Roth) dichiara in un monologo di voler restare a casa a “guardare Ragazzi perduti”. I 69 Eyes, band hard/metal gotica finlandese, hanno inciso un brano a nome “Lost Boys” che si trova all’interno del discreto Devils, del 2004. Oltre al titolo che riporta, anche il video del suddetto brano è un chiaro omaggio al lavoro di Schumacher, la cui mediocre colonna sonora, e lo dico con un certo rammarico, è alquanto carente di chitarre distorte. Nelle scene iniziali, si ascolta “People Are Strange” dei Doors, che non è nemmeno quella originale, bensì una cover eseguita, chissà perché, dagli scozzesi Echo And The Bunnymen.