Salò: la personalità delle vittime
Chi erano i fanciulli e le fanciulle che nel film di Pier Paolo Pasolini accettarono di sostenere ruoli oltre ogni possibile immaginazione?
Affrontare il tema delle torture di Salò implica, inevitabilmente, tracciare preliminarmente dei ritratti delle singole vittime, dei fanciulli e delle fanciulle. Anche se questo sembra andare contro l’idea di Pasolini che riteneva che qualunque psicologia o sentimento di pietà dovesse restare al di fuori del film, nella rappresentazione di questi ragazzi-corpi, alla mercé del Potere. Diversamente l’orrore sarebbe stato davvero insopportabile, molto più insopportabile di quanto già non lo sia, se le vittime fossero risultate anche simpatiche e se lo spettatore si fosse sentito in empatia con loro. L’identità e individualità dei fanciulli sono dati teoricamente negati dal regista, al di fuori del film, ma nel film le cose non stanno proprio così. O perlomeno, non in senso assoluto.
Nella costruzione simbolico-allegorica di Salò i numeri pare abbiano il loro peso specifico. Interrogativo preliminare: quanti sono esattamente i fanciulli e le fanciulle? I cartelli di testa del film elencano otto vittime maschili e otto femminili: Sergio Fascetti, Antonio Orlando, Franco Merli, Lamberto Book, Bruno Musso, Claudio Cicchetti, Umberto Chessari e Gaspare Di Jenno, i maschi; Giuliana Melis, Graziella Aniceto, Dorit Henke, Benedetta Gaetani, Faridah Malik, Renata Moar, Antinisca Nemour e Olga Andreis, le femmine. In realtà, i carnefici ne scelgono nove d’ambo i sessi, ma un ragazzo (Tonna Ferruccio, nome del personaggio e verosimilmente anche dell’attore) muore mitragliato tentando di fuggire dal convoglio; mentre una fanciulla (anonima sia come personaggio sia come attrice) viene trovata con la gola squarciata nella sala delle orge, davanti a un’immagine religiosa custodita in una nicchia – una morte (per suicidio?) e una scena altamente enigmatiche. Anche per quello che sembra uno strano fermo immagine che dà da pensare. La ragazza era la stessa che aveva urlato a Caterina Boratto: «Signora, signora, per carità!» mentre venivano vagliate le fanciulle, e che durante il primo racconto della Signora Vaccari era corsa alla finestra per lanciarsi di sotto. Al destino delle vittime, è equiparato quello delle “figlie” (Tatiana Mogilansky, Giuliana Orlandi, Susanna Radaelli e Liana Acquaviva), che incontreranno tutte e quattro la morte nell’ambito delle sessioni di tortura a fine film. 8 + 8 + 4 dà 20. Le dinamiche interne alla storia scompigliano però il calcolo, nel momento in cui alcune vittime cessano di essere tali e passano dalla parte dei carnefici: è il caso di Umberto Chessari (Umberto), di Gaspare di Jenno (Rino) e di Graziella Aniceto (Graziella). Non ci è dato di sapere esattamente per quale ragioni i due maschi entrino nelle grazie del Potere, tuttavia è significativo che Pasolini soffermi l’attenzione su entrambi, nel primo banchetto, quando intonano Sul ponte di Perati seguendo Paolo Bonacelli. La scena dell’arruolamento di Di Jenno, eliminata dal montaggio ma documentata dalle foto di scena di Deborah Beer, ce lo mostra tutt’altro che impaurito o rassegnato, e lo stesso vale per Chessari. Sorridono ai signori, con un’aria complice, quasi seduttiva.
Nel corso del film, più volte viene adombrata l’inclinazione che Bonacelli nutre per Di Jenno: nella sequenza del matrimonio tra Renata e Sergio, ad esempio, lo bacia ardentemente sulla bocca – ed è divertente notare che al ragazzo venga da ridere, come nella stessa circostanza capita anche a una delle ragazze, Faridah Malik. Quando poi Valletti ispeziona la camerata dei ragazzi per vedere se abbiano o non abbiano fatto i loro bisogni nei pitali, chiede la collaborazione di Rino per mostrargli il sedere di uno dei disobbedenti. Chessari è più defilato nel corso del film, ma ha parecchio rilievo alla fine: ormai passato dichiaratamente dalla parte dei collaboratori, imbraccia il mitra e fa finta di sparare agli ex compagni («Uhei, culattoni!», li apostrofa) allineati per la cernita definitiva; sarà quindi accanto ai carnefici che contemplano i massacri col binocolo, per farsi palpare e ridere alle loro battute. Di Jenno, durante le torture finali, sta invece nel cortile, in piedi, completamente nudo e cinto da un serto, insieme a Graziella Aniceto. Nel film, questo particolare va quasi del tutto perso, mentre gli scatti di scena lo rendono evidente e inquietante, tanto più che il valore, concreto o allegorico, della presenza dei due testimoni (?) non arriviamo né a coglierlo né a immaginarlo. Forse perché non c’è.
La Aniceto si salva, invece, grazie alla delazione, rivelando a Cataldi le tresche notturne di Eva e Antiniska. Graziella appare per tutto l’arco della storia come uno dei caratteri più deboli. La sceneggiatura le attribuisce accenti di disperazione, nelle parole mormorate all’amica Eva, sul tappeto della sala delle orge o seduta al desco dove è imbandita la merda: «Non ce la faccio più…». Ma quando si scopre che tiene una foto del fidanzato sotto il cuscino, contravvenendo alle regole, pur di scamparla non esita un attimo a denunciare le compagne. Più tardi, Bonacelli non farà il suo nome allorché si tratta di scegliere coloro che sono destinati ai supplizi e se si osserva bene, si noterà che in quel frangente, mentre l’uomo la guarda, sul viso della ragazza si disegna un’espressione di compiacimento, come un sorriso di intesa. Riprendendo il filo dei numeri, se eravamo a venti e tre vanno sottratti (Rino, Umberto e Graziella), ne restano diciassette. Però: una foto di scena che fa riferimento a quando l’eccidio è stato compiuto ci permette di contare nel cortile i cadaveri di sedici vittime, disposti in due file di otto, avvolti nei sudari. Perché 16 e non 17? Perché la somma non torna? Non torna perché a Pasolini non importava niente che rispetto al resto del film ci fosse questa consecutio numerica? Non torna perché non è affatto necessario che torni, insomma? O perché ci sta sfuggendo qualcosa…? La risposta è che ci sta sfuggendo qualcosa che dal solo film non si potrebbe evincere, in quanto una delle ragazze, Olga Andreis, era stata uccisa dai carnefici dopo aver denunciato la tresca tra il collaborazionista Ezio e la nera interpretata da Ines Pellegrini. Ma questo è possibile scoprirlo solo consultando le foto di scena di Deborah Beer…