SPECIALE – Fondo DENSZ: salvare la memoria del porno

Come un gruppo di giovani ha sottratto all'oblio il patrimonio dell'ex Cinema Mignon di Ferrara. Intervista al regista Francesco Emmola
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Questa è la storia di un gruppo di giovani filmmaker che ha salvato dal macero, e dall’oblio, il patrimonio in pellicola dell’ex Cinema Mignon di Ferrara, tempio glorioso della pornografia chiuso definitivamente nel giugno del 2021. Nel novembre dello stesso anno il Collettivo DENSZ – dall’acronimo dei cognomi dei componenti Rosanna D’Aloisio, Francesco Emmola, Dario Nardi, Mirko Stasi, Filippo Zeltman -, partendo da una «magnifica ossessione» del filmmaker palermitano Emmola, dà vita a un’ambiziosa scommessa, quella di mappare le ultime sale a luci rosse sul territorio italiano. L’interesse nel progetto deriva dall’importanza di incrociare il tema della memoria perduta con il rapporto tra socialità e marginalità, tra rappresentazione esplicita del sesso e repressione censoria.

Il Cinema Mignon occupava gli antichi locali di una delle prime basiliche di Ferrara, quella dei SS. Pietro e Paolo. Quest’ultima, sconsacrata ai tempi di Napoleone, nel corso degli eventi e degli anni ha assunto un curioso polimorfismo: autorimessa, magazzino, palestra, sala da ballo, teatro, cinema “tradizionale”, cinema a luci rosse e, infine, deposito di quello che restava della sua attività terminale. Raccontano i componenti del Collettivo DENSZ: «Contrariamente a quanto pensavamo, scoprimmo che i clienti di questo luogo non erano soltanto erotomani incalliti, ma un’umanità eterogenea che andava dal vescovo in borghese al professore universitario, dall’appassionato di spiritismo al gruppo di anziani amanti della briscola che non si curavano nemmeno delle immagini proiettate sullo schermo».

Il Mignon lasciava tra i suoi spazi un’eredità preziosa e quantitativamente importante, circa 535 pellicole pornografiche che, a causa dello sfratto esecutivo a carico dell’esercente, rischiavano la discarica. Un archivio, insomma, costruito nell’arco di un trentennio e appartenente a oltre una dozzina di sale che avevano chiuso i battenti lungo gli anni. La collezione rappresenta uno spaccato inedito della storia della pornografia su celluloide ed è testimonianza della complessa attività dell’esercizio in sala, dalle origini al suo declino.

«Una volta entrati in questo spazio», raccontano ancora i membri del Collettivo, «venimmo colpiti dalle innumerevoli tracce che recava questo luogo per noi mitico. I graffiti che affollavano i bagni del Mignon ci ricordavano le mura delle carceri di Palazzo Steri a Palermo, ovvero la tracimazione di storie della variegata umanità che hanno lasciato un segno. Questi elementi di fascinazione hanno spinto la nostra indagine artistica verso una nuova e non prevista direzione. Dalla mappatura delle ultime sale a luci rosse rimasta aperte al gioco potenzialmente infinito del salvataggio di una memoria – e di un’umanità – perduta. Gli oggetti che incarnavano tutto ciò e che andavano salvati erano proprio le pellicole stesse».

Così, nel giro di pochissimo tempo, il Collettivo decise di attivare un’operazione di trasferimento e recupero di tutto il materiale del Cinema Mignon. A dare un grosso aiuto pratico, con grande generosità, arrivò un gruppo di giovani ferraresi che ben presto furono ribattezzati “gli scaricatori del porno”.

Dopo diversi traslochi forzati delle pellicole (scoperta la natura “sporca” di quest’ultime, alcuni proprietari di cantine e garage non accettarono ulteriormente di ospitare il materiale), i ragazzi si avvalsero della consulenza di Giovanna Maina e Federico Zecca, studiosi accademici nell’ambito dei Porn Studies nonché fautori di uno sdoganamento della materia in ambito nazionale. Grazie al loro supporto, l’attuale Fondo DENSZ – ora collocato ufficialmente presso gli spazi della Cineteca di Bologna – rappresenta il principale fondo italiano dedicato al genere e un possibile unicum anche a livello internazionale.

Nel novembre 2022 il Fondo ha ricevuto l’approvazione definitiva di Andrea Meneghelli, responsabile dell’archivio film della Cineteca di Bologna, in modo da poter essere istituzionalizzato. La consegna delle pellicole è terminata nel giugno del 2023, mentre la mappatura del Fondo è stata completata nel settembre del 2024 grazie al lavoro di catalogazione svolto da Andrea Ponzecchi (archivista dell’Immagine Ritrovata presso la Cineteca di Bologna) e dal giovanissimo Carlo Montanari, esperto e divulgatore della pornografia audiovisiva.

Terminata, così, una prima parte dedicata al salvataggio della “memoria perduta”, ha cominciato a farsi strada nella mente del regista Francesco Emmola l’idea di dar vita a un nuovo lavoro in forma di documentario (Luci rotte è il titolo provvisorio) che intenda cristallizzare l’approccio libero e indipendente che ha caratterizzato l’impresa del Collettivo DENSZ. Ma lasciamo che sia lo stesso Emmola a raccontarci qualcosa in più su questa scommessa partendo, però, dalla preziosità del Fondo stesso.

Francesco, che dire, siete riusciti a recuperare una memoria numericamente importantissima.

Siamo stati un po’ donchisciotteschi. All’inizio non avevamo nemmeno la cognizione di quello che stavamo facendo. Eravamo partiti con un approccio osservazionale, ma non ci rispecchiava granché per quanto riguardava la mappatura delle ultime sale a luci rosse italiane. Finché non vedemmo quanto materiale era stipato all’interno dell’ex Cinema Mignon, tra cui queste 535 pellicole. Di fatto, però, sono copie pirata, nel senso che sarebbero dovute tornare in mano ai distributori. La nostra fortuna, in poche parole, è stata quella di aver recuperato uno spaccato inedito della storia della pornografia su celluloide e l’arco temporale di queste pellicole va dagli anni Settanta ai primi Duemila.

Una grande varietà di contenuti, non solo numerica…

Ci sono registrazioni fatte coi vidigrafi, film riversati da videocassette; ci sono le raccolte e le antologie… La pellicola diventa testimone materiale di tutto quello che rappresentava l’articolata attività della sala e dei virtuosismi tecnici dell’esercizio. Poi, per fortuna, il clima della basilica ha aiutato i materiali a non subire alterazioni.

Oltre alle pellicole avete recuperato anche altro?

Tra a una mole impressionante di locandine abbiamo reperito anche i visti censura, che sono un capolavoro del falso d’autore (ride, nda). Nominalmente dovrebbero avere una funzione, poi disattesa perché un visto censura veniva utilizzato per più film, oppure venivano registrati titoli inesistenti. Anche in questo caso emerge una situazione molto interessante da studiare e da raccontare.

Come siete arrivati, in seguito, alla Cineteca di Bologna?

Avevamo veramente pochi giorni per sgomberare il Mignon e, per una questione geografica oltre al prestigio, ci siamo accordati con loro. Questo archivio è un cavallo di Troia perché siamo stati accettati all’interno di un’istituzione importante. Anzi, siamo stati accolti, in particolare da Andrea Meneghelli, con entusiasmo e lungimiranza. Questo anche per sottolineare che non esiste il concetto di una memoria storica di seria A, da salvare e tutelare, e una di serie B che può essere sacrificata tra le pieghe della storia.

Durante la mappatura delle pellicole è emersa qualche chicca?

Abbiamo scoperto, incrociando i visti censura reperiti, che siamo in possesso dell’unica copia in positivo di Bagnata di sesso anale con Karin Schubert, la quale fuggì dal set a causa di una retata della polizia. I titoli accreditano un fittizio Martin Woods alla regia, in realtà pare sia di Alfredo Lupo, direttore della fotografia di Valentina, ragazza in calore e di Madness – Gli occhi della luna. Il film risulta proiettato solo in Emilia-Romagna e i negativi, se esistono, sono allo Studio Cine di Roma ma bloccati dal fallimento della società. Insomma, la nostra copia è l’unica via d’accesso per i comuni mortali (ride, nda).

Altri titoli degni di nota?

Ci sono prodotti meritevoli come Morbosamente vostra di Andrea Bianchi o Nera… calda… e dolce; ci sono anche film storicamente essenziali come Marina… Hard Core di Mario Bianchi, in cui avviene una rottura della quarta parete e Marina Frajese invita lo spettatore a masturbarsi. Un altro importante è Vicende intime n.1, di Arduino Sacco, realizzato in parte con attori non professionisti e che aprì le porte al genere amatoriale. Sono presenti anche lavori di Alberto Cavallone, Bruno Gaburro, Sergio Bergonzelli, Antonio D’Agostino…

Il Fondo DENSZ ha il merito di muoversi su un doppio binario, tra recupero fisico e valorizzazione storica di un genere demonizzato dal perbenismo.

Possiamo dire che il porno è arrivato dove il cinema tradizionale non è riuscito. Già da questo ne fa un oggetto di studio interessantissimo. Poi, la pellicola in particolare, nostra ossessione, è custode materiale di uno spaccato socio-culturale e dell’evoluzione di un intero paese. Se vogliamo, c’è anche una riconduzione al laido della pellicola: i corpi nel porno degli anni Settanta non erano standardizzati come oggi, si sentiva quasi l’afrore delle ascelle sudate, del pelo…

Oggi, invece?

Stiamo assistendo a un erotismo agonizzante. Il porno di ora è diventato artificiale, asettico.

Lungo il recupero delle pellicole vi siete anche avvalsi della consulenza di vari esperti.

Oltre a quella di Giovanna Maina e di Federico Zecca, accademici dei Porn Studies, il critico Giampiero Raganelli ci ha messi in contatto col regista Massimo Alì Mohammad, che nel 2013 aveva realizzato un documentario sul Cinema Mignon. Poi c’è stato anche l’apporto di Fulvio Baglivi che ci ha consigliato di rivolgerci a Meneghelli della Cineteca di Bologna. Arrivammo a Baglivi attraverso Mirko Stasi, uno dei componenti del collettivo.

Con questo genere viene quasi automatica la questione della censura…

Sì, è un problema che non ha colpito solo i pornografi. Pensiamo a Bertolucci, a Pasolini, a Maresco con Totò che visse due volte, film di importanza capitale nella storia del cinema che fece svegliare Veltroni per proporre il disegno di legge per l’abolizione della censura.

A proposito del tuo documentario, dedicato appunto a questo fondo, come sta procedendo la gestazione?

Luci rotte ha l’obiettivo di studiare la pornografia e di dare un respiro molto più ampio ai tempi legati al genere, vedi la dimensione socio-culturale e le sue mutazioni annesse. L’intento è quello di far avvicinare gli spettatori senza remore al tema. Il lavoro in questo momento si pone di mantenere il suo approccio libero, ma senza fare i crociati (ride, nda)! Insomma, vuole essere un progetto che ambisca ad aprire un dibattito e lasciare qualcosa al pubblico che possa essere positivo ma anche no, un po’ come i film della Golden Age.