Stessa spiaggia…stesso male – Parte 1
I migliori horror sotto l'ombrellone di tutti i tempi, selezionati da Nocturno
Se c’è una cosa che il buon Spielberg ci ha insegnato con il suo cult del 1975 è che nemmeno fra sdraio e pedalò ci si può sentire tranquilli, poiché il terrore, che venga direttamente dall’acqua salata o da qualche oscura rimessa per barche, è pronto ad agguantarci a tradimento anche sotto l’ombrellone. Sembra infatti essere la calda sabbia estiva il terreno fertile per lo sbocciare di alcune delle più cruente e appetitose mattanze che il grande e piccolo schermo abbiano mai ospitato, sfatando il mito della spiaggia quale oasi di relax e divertimento. Basterebbe infatti dare una rapida occhiatina ai titoli qui proposti per capire all’istante quanto poco ci sia da ridere e da scherzare fra gli scogli, dimostrando una volta per tutte come il Male, quello vero, sia sempre pronto a godersi una sanguinosa e meritata abbronzatura.
Night Tide (Curtis Harrington, 1961)
Liberamente ispirato al poema Annabelle Lee dell’immenso E.A. Poe, questa oscura e trasognata storiella in bianco e nero narra del suggestivo amore fra l’ingenuo e ancora imberbe marinaio Dannis Hopper e la misteriosa Mora, sensuale attrazione di un Luna Park in quel delle spiagge di Santa Monica convinta di essere una sirena in pinne e ossa, responsabile per altro delle truculente uccisioni – rigorosamente fuori campo – di alcuni infoiati ragazzotti desiderosi di conquistare la di lei mano e non solo. Realtà o finzione? Solo il tempo e la marea ce lo diranno…
The Horror of Party Beach (Del Tenny, 1964)
Pesciose creature umanoidi radioattive invadono le assolate sabbie della East Coast in questo divertente e alquanto ingenuo horrorino da drive-in estivo, nel quale, tra maggiorate pulzelle ben coperte dai bikini a pois delle nostre nonne e improbabili mostracchioni gommosi che paiono usciti da una scadente puntata dei Power Rangers, sangue e violenza vengono ben diluiti a suon di castissimi rave party ante litteram nei quale la più alta gradazione alcolica non raggiunge le vette di una bottiglietta di Pepsi Cola. Imbarazzante sotto molti (troppi) punti di vista ma gustoso quanto un ghiacciolo alla liquirizia in pieno agosto.
The Beach Girls and the Monster (Jon Hall, 1965)
Di nuovo panico e paura fra gli scogli di Santa Monica, dove il solito gruppetto di folleggianti baby boomers armati di chitarrina e radiolina a transistor si trova costretto a fronteggiare l’ennesima aberrante creatura degli abissi assetata di carne umana, uscita stavolta da una relazione non proprio lecita fra il celeberrimo mostro della laguna nera e l’omino di latta del Mago di Oz. Inutile dire che, a parte qualche vaghissima sequenza dallo sghembo gusto espressionista, di sangue e frattaglie non se ne vedranno nemmeno con l’ecoscandaglio, lasciando campo libero agli sporadici “bubu settete” del nostro squamoso beach killer, forse scappato dallo spettacolo acquatico pomeridiano dedicato ai giovani visitatori di Gardaland.
Color Me Blood Red (Herschell Gordon Lewis, 1965)
Solo la mente malata del sadico Maestro del gore avrebbe potuto partorire la malsana idea di un folle pittore che, per superare la propria crisi creativa, dopo aver scoperto le straordinarie proprietà artistiche del sangue umano si diletta ad accoppare chiunque capiti nei pressi della sua isolata villetta in riva al mare, così da procurarsi fresche e abbondanti scorte del rosso emoglobinico pigmento. E stavolta, tra fiocinate in pieno viso, arti umani tranciati come se non ci fosse un domani e intestini srotolati a mo’ di salvagente, finalmente la nuda e cruda brutalità avrà modo di imbrattare l’umida battigia che fa da sfondo e cimitero di questa insana mattanza in pieno sol leone.
La lunga spiaggia fredda (Franco Ferrini, 1971)
Coppietta snob in piena crisi tenta di ritrovare la perduta armonia matrimoniale concedendosi una breve vacanza in una desolata casupola in riva al mare, salvo poi vedersi rovinata la festa da una scalmanata masnada di criminali in motocicletta ben disposti ad elargire a piene mani sevizie tanto fisiche quanto piscologiche, con apparente sadomasochistico piacere della vogliosa padrona di casa. Uno schema di abbruttimento e sordide sconcezze da sadica psicopatia che anticipa di un annetto il Craven de L’ultima casa a sinistra e che avrebbe in seguito conosciuto ottima fortuna grazie a titoli come La settima donna di Prosperi e La casa sperduta nel parco di Deodato, per ora ancora confinato fra le urla di dolore e piacere coperte dal ritmico sciabordio delle onde.
Arrow Beach – La spiaggia della paura (Laurence Harvey, 1974)
Spiaggia che vai, assassino che trovi. Specialmente se sei un’esuberante hippie da poco scappata di casa e amorevolmente accolta in una grande casa in riva alle soleggianti spiagge della California da un gentile ex combattente della Guerra di Corea e dalla di lei non proprio mentalmente sana sorellina. Un gran bel colpo di fortuna, vero? Beh… non proprio… soprattutto perché il buon veterano e samaritano con il pallino per la fotografia custodisce, ben celata accanto alla sua camera oscura, un’equivoca cella frigorifera nella quale trova dimora qualcosa di ben più fresco e sfizioso di qualche salmone o calamaro di giornata, pronto per essere servito con contorno di cipolle e un proverbiale goccio di Chianti.
L’occhio nel triangolo (Ken Wiederhorn, 1977)
Diciamoci la verità: andare a caccia di un vascello fantasma nel pieno dello sfintere del malfamato Triangolo delle Bermuda non è proprio una gran pensata, vero? Soprattutto perché non sai mai chi diamine potrai incontrare fra la bianche sabbie che accoglieranno il tuo inevitabile naufragio. Magari, chissà, un vecchio scienziato pazzo nazista con il grugno di Peter Cushing intento a tenere a bada gli effetti collaterali della sua più folle creazione. Stiamo parlando ovviamente di un plotone di famelici zombie assassini subacquei, fedeli all’ormai defunto Terzo Reich, pronti a emergere dalla marea come un’autentica piaga biblica per dare il definitivo buongiorno a chiunque osi profanare il sacro perimetro della loro spiaggia, ancora convinti per giunta che la Seconda Guerra Mondiale sia nel pieno del suo svolgimento. La prossima volta sarà forse meglio optare per un fine settimana all inclusive in un lido di Riccione, vero?
Long Weekend (Colin Eggleston, 1978)
Un giorno e una notte di ordinaria follia attendono, fra le calorose e sperdute coste dell’insidiosa Australia, un mogliettina fresca fresca di aborto e il di lei scostante maritino, entrambi giunti ai ferri corti e disposti a tentare una letterale ultima spiaggia bivaccando, tutt’altro che allegramente, fra i boschi che si affacciano sul vasto Mar dei Coralli. Ben presto tuttavia, oltre alla tensione emotiva accumulata, una serie di piccoli inquietanti eventi iniziano a compromettere il precario equilibrio psicologico dei nostri protagonisti, tra misteriosi vagiti infantili fra la vegetazione, non meglio identificate creature marine pronte all’aggressione, fucili subacquei capaci di sparare da soli e intere scorte di cibo in perfetto stato improvvisamente marcite. Uno scherzetto poco simpatico ordito da qualche sadico redneck della zona oppure la natura matrigna in procinto di ribellarsi?