The Witch – Il buio oltre la siepe
L’horror del 2016
American Gods, di Neil Gaiman, è un romanzo seminale. Apre infatti più di una finestra sulla colonizzazione religiosa degli Stati Uniti, su come nel Nuovo Mondo sia avvenuta la traslazione di divinità, demoni, superstizioni e credenze dal Vecchio Continente, su come il brodo metafisico europeo sia stato assorbito – e ricordato, o dimenticato – dalle terre sacre ai nativi americani. Terre ostili, regno del selvaggio, “the Wilderness” nella terminologia dei primo coloni, per identificare tutto ciò che è ignoto, oscuro, quindi orrorifico. The Witch, titolo originale The Witch: a New England Folktale, si contestualizza qui, nella Nuova Inghilterra, non luogo della prima ondata colonizzatrice del XVII secolo, quella dei derelitti e degli invasati. 1630: una famiglia di puritani integralisti, o calvinisti, viene bandita da una colonia anglicana britannica per il suo credo, molto radicale e poco politico, e si insedia in altro luogo, prossimo a una selva oscura e fittissima, vi costruisce casa e procede alla semina del granturco.
Il clan familiare è composto da padre, madre e cinque figli di età variabile, da Thomasin, la primogenita in età puberale, al preadolescente Caleb, ai gemellini Jonas e Mercy, al neonato Sam. Mala tempora currunt, il mais cresce malato, nel mentre il neonato scompare, preda di un’occulta, malvagia creatura dei boschi. Padre e figlio attrezzano tagliole, convinti, o speranzosi, di avere a che fare con un lupo, ma le ricerche sono infruttuose come il raccolto, la fame aumenta, a nulla valgono preghiere e contrizioni. Attriti da denutrizione dividono moglie e marito, pruriti da ormone legano Thomasin e Caleb, che insieme decidono di addentrarsi nel bosco per raggiungere il villaggio e vendere al mercato le loro misere vettovaglie, ma un sinistro coniglio è in agguato, Caleb lo insegue e cade tra gli artigli di una malefica dalla bocca di fata. Secondo figlio sparito, famiglia decimata, affiorano le rivalse e i risentimenti, poi accade che Thomasin ritrova Caleb, nudo e seviziato, sul limitare di casa, e da qui è tutto un precipitare verso l’inferno. I gemelli accusano Thomasin di essere una strega e di aver portato la maledizione, così fa anche la madre, Thomasin invece incolpa un caprone nero del gregge di proprietà, Black Philip, di essere l’incarnazione del Maligno; il padre, imbelle, arranca nelle sue giaculatorie squinternate, privo di direzione. Tutti contro tutti, per una lotta fratricida e parricida senza esclusione di colpi e di morti, con un finale sconvolgente, sospeso tra Rob Zombie e Lars von Trier.
Poche chiacchiere ragazzi, questo è il film dell’anno, malgrado sia indie, malgrado sia un derivato del Sundance, che infatti lo ha visto trionfatore nella categoria Directing Awards Dramatic 2015. Alla regia un esordiente nei lungometraggi, Robert Eggers, molto attratto dall’immaginario fiabesco sin dal corto Hansel e Gretel (2007), un versione muta, arty ed espressionista del classico dei Grimm. Qui la sua attrazione si trasfigura in revisionismo magico: come ha più volte affermato, The Witch nasce infatti dal desiderio di riappropriarsi di un passato arcaico e oscuro, precedente alla nascita della Nazione a stelle e strisce, di rivivere un tempo e un mondo ben più malefici rispetto alla stucchevole agiografia dei padri pellegrini a bordo del Mayflower. La frontiera come soglia dell’abisso, per chi è esule e straniero nella sua nuova patria. Per rendere tangibile questa alienazione, Eggers rielabora gli stilemi della fiaba gotica anglosassone innestandoli nel solco dei “children of the corn” americani: all’origine di tutto c’è il bosco, il buio oltre la siepe, e questo è europeo, ma al di qua della siepe c’è la peste del granturco, e questo è molto yankee.
Nello spazio in mezzo giace la famiglia, condannata a causa della sua ideologia puritana, intrinsecamente calvinista, per la quale il libero arbitrio nelle vite umane è in sé espressione di Satana, e la santità uno stato inerziale di grazia cui aspirare senza speme. Il sonno della ragione genera mostri, visioni macabre di corvi che straziano seni materni, mammelle di capre che eiaculano sangue, fobie, sensi di colpa, raptus omicidi. Quando la famiglia perde le abituali coordinate, quando Geova si dissolve innanzi all’inesorabilità del male, ecco che il nucleo sociale primigenio ritorna allo stadio primordiale, i ruoli si sovvertono, il patriarcato soccombe al matriarcato «Tu, inetto, hai lasciato che mamma fosse il capofamiglia!», urla Thomasin al padre, il matriarcato è a sua volta minacciato dalla successione, quando fioriscono i seni e il ventre della figlia vergine adolescente. Dal caos dei sessi si erge l’allegoria, Black Philip, già oggetto di culto virale negli States, vero maschio alfa capace di ristabilire l’ordine, il suo ordine. Sesso e sangue sono condizioni necessarie per l’esistenza della fiaba, ma non sufficienti: intervistato sul tema, Eggers ha nicchiato, lasciando aperto il film a un florilegio di dubbie interpretazioni. Certo invece è il suo intento filologico, le parole sono importanti quanto la Parola di Dio: i dialoghi sono nell’inglese parlato all’epoca, e la maggior parte di essi proviene da The Practice of Piety di Louis Bayley, una sorta di manuale del perfetto calvinista, molto in voga nel XVII secolo. Papà William e mamma Kathy sono interpretati da attori britannici, la loro parlata quindi non è impura, Thomasin invece è l’esordiente americana Anya Taylor-Joy (simillima a Bryce Dallas Howard in The Village), di genitori angloispanici.
Benedetto dalla setta del Tempio Satanico (“A transformative Satanic Experience” lo ha definito l’antiprete Jex Blackmore ), The Witch ha già incassato 25 milioni di dollari a fronte di un costo di un milione e di una produzione che dell’economia ha fatto la sua virtù (è girato in luce naturale). è un capolavoro, un “instant cult” anche nei suoi elementi più discutibili, quali quello di collocare il dottor Satana e gentili signore nel regno dei Wendigo, degli stregoni maschi e virili, nelle foreste degli indiani Algonchini. Sul tema, Eggers afferma di essere stato più interessato alla resa emozionale che all’antropologia culturale. Ci credete? Sbagliate: The Witch è ambientato nel 1630, in quelle terre della Nuova Inghilterra vivevano i Penobscot, tribù di etnia algonchina che tramandava il racconto di un gufo bianco e della sua fuga dalle sette streghe, lì vicino erravano i Pequot e le loro storie di streghe assassine. Più a Sud, sempre nella Nuova Inghilterra, si popolavano le colonie del Massachusetts, il luogo maledetto del Processo alle Streghe di Salem. Le prime condannate a Salem appartenevano alla prima generazione di immigrati inglesi, tra loro però c’era anche Tituba, schiava creola del ministro di culto Samuel Parris. United Witches of America quindi, tutte insieme nella sublime visione del sabba, e noi fermi a guardare, nudi di vergogna, tremanti di desiderio.