Tiger Boy di Gabriele Mainetti
Un cortometraggio del regista di Lo chiamavano Jeeg Robot
Matteo, un bambino di nove anni, costruisce una maschera identica a quella del suo mito: un wrestler di Corviale chiamato Il Tigre. Una volta indossata non è più disposto a togliersela: ci va a scuola, ci dorme, ci fa addirittura il bagno. Quello che a prima vista viene scambiato come un capriccio è in realtà una chiara richiesta d’aiuto che nessuno riesce a cogliere… Come per il precedente Basette (cortometraggio del 2008), anche in Tiger Boy, Gabriele Mainetti e il suo sceneggiatore Nicola Guaglianone usano il loro amore e la loro passione per i cartoni animati giapponesi per raccontarci un piccolo frammento di vita quotidiana: un corto dalle tematiche dure, forti e toccanti.
Mainetti ha senza dubbio uno stile molto personale nel raccontare le sue storie, cosa molto rara da trovare nei nuovi registi e soprattutto in quelli Italiani. Con il suo modo di girare riesce a fotografare Roma nei suoi ambienti più sporchi, duri e reali; grazie all’amore per i fumetti crea dei personaggi assolutamente unici e originali, gira spettacolari scene di lotta, unisce fantasia e realtà, filmando così il dolore di una madre e l’incomprensione che la separa dal figlio; entrambi divisi da una maschera che cela un terribile segreto, non un segreto di identità come potrebbe essere per un supereroe dei fumetti, ma un mistero molto più personale e doloroso. Il corto è del 2012, ma Mainetti sta finalmente facendo parlare di se in questi giorni grazie al fatto che finalmente è riuscito a realizzare il suo primo lungometraggio, dal titolo Lo chiamavano Jeeg Robot, con protagonisti Claudio Santamaria e Luca Marinelli.