Venerdì nero

Dark Friday il remake dell’Ultimo treno della notte
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Zoe Scott vive la vita secondo proprie regole. «Vedo i luoghi come se fossero dei quadri – dice – è il modo in cui reagisco alle cose». E ci sono stati molti luoghi, nella sua vita: nata a Londra da genitori artisti e cresciuta in teatro, si è trasferita in un palazzo di Roma, a Piazza Venezia. Dopo avere lavorato “nei film horror” ha deciso che questo non era il suo destino. «Ho pensato che sarei finita a fare l’amante di qualcuno e che avrei dovuto spogliarmi molto. Non credo che ai miei genitori avrebbe fatto piacere…». Lei e sua sorella Victoria abitavano un casale in Toscana, prima di partire per le montagne della Spagna. «Ballavamo sotto la luna, ascoltavamo i Doors, leggevamo Joseph Campbell. Abbiamo deciso di seguire la nostra estasi e di trasferirci sulla costa occidentale della California». Zoe, che aveva sempre scritto poesie e cantato, ha trovato ispirazione nel deserto del Mojave. Lei e sua sorella hanno vissuto prima in una tenda, poi in una grotta e alla fine in una baracca. Con un apparecchio di registrazione alimentato da un generatore a benzina, cominciarono così a registrare dei demo delle canzoni di Zoe…

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Zoe Scott oggi

Questa presentazione di Zoe Scott, cantante inglese, era attinta dal suo sito ufficiale www.zoescott.com., non più attivo oggi. In rete, a cercarle, si trovano varianti anche più colorite e dettagliate circa la sua possessione bacchica da parte dei demoni musicali dei grandi cantautori degli anni Sessanta e Settanta. Ma andremmo fuoripista. Serviva a introdurre il genere di persona. Serviva il riferimento all’ “horror movie” che girò a Roma nel 1992, quando Zoe aveva più o meno 21 anni. Il film non era in senso stretto un horror, si intitolava Dark Friday, Venerdì nero, ed era diretto da Aldo Lado. Se si domandava in giro, nessuno lo conosceva, nessuno l’aveva mai visto – mi riferisco ai comunardi del bis, a quelli che fanno le want list e passano la vita a cercare di estinguerle. E nessuno non è un iperbole. Era nella quota dei cosidetti “superiori sconosciuti” dei quali si sa che ci sono ma non si ha affatto idea di che cosa siano. Su Nocturno, ovviamente, in linea di massima lo avevamo inquadrato come storia, spiegandone per bocca di Lado genesi e disgrazie, ma mancava la materia prima e commestibile, ossia il film…

I dati reali sono i seguenti: l’allora (siamo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta) moglie di Aldo Lado, Silvana Battistella, voleva produrre un altro film, dopo le esperienze di Scirocco e Rito d’amore. Ci si agganciò ai desiderata di alcuni venditori esteri che sollecitavano da Lado un rifacimento di L’ultimo treno della notte e si organizzò questo Dark Friday, che, in fin dei conti, un remake del film di quindici anni prima lo era. Sia pure un remake non letterale; e sia pure con la non lieve discriminante (e attenuante) che il cinema italiano, in quei tre lustri tra il 1975 e il ’90, era cambiato come il giorno e la notte. Ormai la pregnanza degli anni Settanta era un’Eldorado perduta. I sistemi e i giochi di equilibrio del cinema di una volta, la televisione commerciale li aveva scompigliati, creando il miraggio di una nuova Eldorado che una volta entrati si è capito che era, in realtà, una Buchenwald, dove il cinema selvaggio degli dei del passato sarebbe stato gasato e ridotto a cenere. Venerdì nero non era un film televisivo: Lado non corse dal Berlusca come Fulci o Lenzi o Bava pensando di fottere e venendo fottuto (dei cadaveri degli ultimi bis della storia, dal remake della Maschera del demonio alle case fulciane, sono pieni i sarcofagi di Reteitalia); nasceva per andare nei cinema, ma non ci arrivò. Fulvio Lucisano promise a Lado una distribuzione che alla fine delle cinque settimane di ripresa non poté o non volle mantenere. Niente sale, Venerdì nero kaputt. E anche all’estero, la produttrice Futura Film non riuscì a piazzare nemmeno una cartolina. «Ma vaffanculo…» era il commento di Lado, quando ci ripensava…

IL SOGGETTO, IL FILM

«È un venerdì sera, identico a tanti altri, se non fosse per le vie del centro illuminate per le imminenti feste natalizie» scrive Lado nel suo soggetto di Dark Friday – un opuscolo di otto pagine stampato in Roma, dalla Cinetelestampa di Paolo Soffiantini, copyright 1992. Ed è limpidissimo che sta pensando di scrivere il rifacimento dell’Ultimo treno. Sullo schermo, il riferimento al Natale va perso. Zoe Scott è Anna, commessa in un negozio del centro, ed è fidanzata con Gino, G. nei titoli, bodyguard di un affarista sposato o amante di Silvia Cohen – la quale sarà, levando moltissimo a Macha Meril, quel che quest’ultima era nel film del 1975. Asterisco comunque fin da subito sulla Cohen, che era nella fase ascensionale della carriera e faceva sperare bene. Poi si è arenata. A Lado, la Cohen piaceva, cinematograficamente questo si vede: le riserva le inquadrature più carezzevoli, in particolare mentre accenna un balletto in un night. Gino è Paolo Calissano, che è quello che è e fa quello che può. Anna ha un’amica, Mary (Mary Dicorato nei titoli, Maria Grazia Dicorato al secolo), parrucchiera: «una ragazza piena di vita, allegra e a volte sfrenata. E questo venerdì sera ha deciso di trascinare Anna al luna park». Anna ha litigato con Gino dopo un picnic; cerca di chiamarlo ma non ci riesce. Non ci sono ancora i cellulari. O meglio, ci sono già nel 1992, ma la sola Silvia Cohen (qualificata negli end titles come Lady, come nell’Ultimo treno) ce l’ha.

Lado nel soggetto pensava di introdurre subito al luna park anche i due malamenti, che qui si chiamano Luca ed Enea. Luca (Robert Egon), rampollo di una nobile e ricca famiglia, Enea/Luke nella versione inglese (Dan Anton alias Daniele Antonelli), «brillante studente di medicina, assertore della superiorità del chirurgo, padrone della vita dell’uomo comune». Nei fatti li troviamo in un ristorante, che cenano. Enea taglia il filetto con un bisturi. Sono molto azzeccati come scelta, funzionano nei ruoli. Nel locale appare la Cohen e arrivano anche le due ragazze, per sfuggire a un gruppo di teppisti che le hanno molestate fuori dal parco giochi. Lado scrive nel soggetto che Anna e Mary stavano per rientrare a casa «prendendo l’ultimo treno della notte». Tanto per essere chiari. Abbreviando: i due ragazzi e la Lady si offrono di accompagnare le due giovani, ma, di fatto, le portano in una villetta sul litorale. E lì si aprono le danze macabre.

«Luca ed Enea, spinti dalla giovane Signora, immaginano un gioco crudele per spaventare le due ragazze, e la paura cresce, prende corpo, diventa terrore…». Lado non specifica che gioco e forse immaginava, in sede di scrittura, qualcosa di più efferato di ciò che si vede a schermo: Mary e Anna angosciate per il fatto che gli altri sembrano spariti dentro la casa e per il fatto che la luce continua a spegnersi. È una parte, va detto, un po’ irritante e poco chiara, dove comunque emerge che, delle due vittime, quella più reattiva e sensitiva è la Dicorato, mentre Zoe è in impasse. Il punto è anche un altro: che la copia di Dark Friday su cui giudichiamo è in inglese e un film italiano di genere degli anni Novanta (ma anche un film italiano di genere e basta), subìto con doppiaggio inglese, è come quella tortura turca in cui ti buttavano un gatto affamato dentro le braghe. Nell’Ultimo treno della notte, l’infamità degli esseri umani si scatenava grazie all’occasione, era manipolata ed era in rapporto e a sostegno di un discorso “politico”, di una polemica antiborghese, classista. Lado nel suo soggettino di Dark Friday ficca dentro suggestioni del tipo e immagina che il personaggio della Cohen manovri anche qui. Però dal film questa dimensione resta esclusa: la Signora si fa sbattere in macchina da uno dei due ragazzi (al culmine del piacere grida ed è una bella scena, vedere la Cohen che gode urlando), tira grandi piste di coca ma nel mattatoio (iperbolicamente parlando) della villa resta una presenza a latere, irrilevante, evanescente. Ben altro dalla Meril.

000-dark-fridayIn quel discrimine prendono rilievo l’efebico Egon (l’avevamo visto in Profumo, il film della Gamba, dove in una scena cult Florence Guérin gli infilava il manico di una spazzola in quel posto) e Antonelli – recidivo: in una sequenza prima dei titoli, lo vediamo apprestarsi a sezionare una donna legata e imbavagliata – il quale viene attinto da Mary con un colpo di accetta (non di taglio) ed è creduto morto, anche se in realtà non lo è. Egon, colto da raptus, uccide per ritorsione la Dicorato, sbattendole la testa su un camino. Nel soggetto di Lado, invece, è Anna a colpire Enea «con tale violenza da farle ritenere di averlo ammazzato. E qui il gioco diventa realtà. Luca, spinto dalla donna, vuole vendicare l’amico e si accanisce sulla ragazza finché questa non stramazza al suolo». A quel punto «devono sbarazzarsi del cadavere di Anna e decidere del destino di Mary, testimone scomoda della follia di quella notte». Lado sta nel vago, sulla carta, circa quel che succede alle ragazze dopo il patatrac. Anzi, non lo dice proprio. Nel film, invece… pure. Perché se Mary muore con la testa sbattuta contro gli alari del caminetto, Anna, che è legata a una sedia lì vicino, subirà qualcosa che non sapremo mai esattamente cosa sia.

Fin dall’inizio, sembrerebbe di capire che il bisturi che maneggia Antonelli debba tendere allo stesso obiettivo e con lo stesso fine che aveva nell’Ultimo treno della notte (nel racconto del proprio sverginamento fatto dalla Meril) e che colà veniva tradotto in pratica, con un serramanico, a danno della povera Laura D’Angelo. Anche in Dark Friday c’è una scena in cui il bisturi di Enea avanza verso le gambe divaricate di Zoe, intrappolata alla sedia. Ma se ad Anna tocchi il peggio, questo non lo sapremo mai. La linea risolutiva della storia è stata tracciata nel momento in cui Gino si è messo con la sua moto sulle tracce della fidanzata e dell’amica: «percorre disperato la litoranea alla ricerca della macchina (quella a bordo della quale un tizio gli ha detto che si erano allontanate le due ragazze con i loro ospiti, ndr) e di Anna». Mentre all’alba si aggira sulla battigia, Gino trova tra gli scogli il cadavere martoriato di Mary.

Corre a cercare aiuto e finisce per bussare proprio alla porta della villa malefica. Gli aprono Enea, Luca e la Signora – che Gino conosce, ricordiamocelo. Nel film è una scena anonima, mentre nel soggettino li trovava che facevano colazione, tranquillamente. E non era male conservare l’idea. Poi gli capita una cosa feuilleutonesca: rinviene nel prato un fermaglio che aveva regalato ad Anna. Capisce. Si aggira non visto nei paraggi, entra nel garage del villino e trova, oltre al fuoristrada che cercava, la sua ragazza, più morta che viva, avvolta nei sacchi dell’immondizia. Più morta che viva, ma comunque viva. Che le hanno fatto? Nel soggettino abbiamo letto che era stata colpita ed era stramazzata, perinde ac cadaver. Sicché, quando Gino la ritrova nel sarcofago di sacchetti neri, doveva essere una sorpresa constatare che fosse ancora viva. Nel film non si sa, perché non si è visto nulla. Fatto sta che qui termina il Rape e comincia il Revenge, l’equivalente di quando Enrico Maria Salerno, nell’Ultimo treno, tira fuori fucile a pallettoni e cartuccera. Ma Calissano, detto con tutta la banalità di questa Terra, non è Salerno. Luca lo sorprende in garage, lottano, sopraggiunge la Signora che sale sull’auto e si allontana, mentre Gino accoppa Luca impalandolo.

Poi arriva anche Egon (Zoe, come lo vede, dice: «È lui che ha ammazzato Mary!»), Gino lo insegue sulla spiaggia, lo acchiappa, colluttazione e anche Enea fa la fine del topo, affogato da Gino in due centimetri d’acqua. La Signora avrebbe potuto, avrebbe dovuto, andarsene via come la Meril, rifacendosi il trucco e abbassandosi metaforicamente la veletta. Ma il film ha un rigurgito di correttezza politica: stridore di freni sulla litoranea all’alba e, fuori scena, la macchina che fa bang. Nel soggettino di Lado, Enea viene ammazzato da Gino con il suo stesso bisturi. Poi, mentre il sole sorge sul mare in tempesta (era una notazione ambientale, atmosferica, pregnante), appaiono le scritte: “Gino, riconosciute le attenuanti, è stato condannato a dieci anni di prigione” – “I famigliari di Luca ed Enea hanno ricorso contro la sentenza, chiedendo l’ergastolo” – “Anna è ricoverata in una clinica per malattie mentali”. Nel film, almeno in questa versione in inglese, le scritte finali non ci sono. L’ultima scena sono Gino e Anna che guardano la risacca calma, abbracciati.