Voci notturne
Un libro scopre i segreti della più esoterica serie tv
C’è un oggetto misterioso e scarsamente identificato che si aggira come un fantasma all’interno del fandom sul web, volando di bocca in bocca: trafugato da rovinatissimi file su youtube, o meglio, per i più fortunati, da difficoltose registrazioni più recenti presso i canali digitali Rai. Si chiama Voci Notturne: ed è la mia ossessione da ben 21 anni.
Nel 2010, esaltato dai Dossier di Nocturno, decisi di scriverne uno io, perché avevo l’argomento adatto: uno sceneggiato “maledetto”, un film per la tv come non se ne facevano più da anni scritto e prodotto da un Maestro indiscusso del cinema italiano, oltretutto irreperibile su qualsiasi formato homevideo e (apparentemente) dimenticato dai salotti “buoni”. Pupi Avati lo conoscevo già: ci sentivamo – e ci sentiamo tuttora – quasi ogni anno perché quasi ogni anno esce un suo film, e mi piace sentirmi raccontare da un affabulatore nato come lui la genesi delle sue opere per poi scriverne sui magazine di cinema. Gli chiesi allora se potevamo contravvenire alla regola non scritta e sentirci questa volta per parlare del passato e non del presente sul futuro: volevo sapere tutto quello che c’era da sapere, e che aveva da raccontare, su Voci Notturne. Fu una telefonata fiume. In 54 minuti di conversazione, Pupi Avati mi ha raccontato da dove prese l’ispirazione per la storia, da dove arrivarono le idee, le assonanze, le suggestioni per creare un edificio così spaventoso e coerente. Ne uscì fuori un interessantissimo amarcord: perché Voci Notturne sta a cuore anche al suo autore, come un figlio problematico, come un ostacolo non superato. Ma a questo punto, non mi bastava più. Perché il puzzle era incompleto.
Se il produttore-ideatore lo amava così tanto; se il fandom era ancora e anzi più che mai vivo sull’argomento; se in edicola esce oramai di tutto, e l’homevideo è proprio invaso da prodotti di qualità infima… perché Voci Notturne rimaneva ancora questa chimera nascosta? Il passo successivo fu contattare il regista, Fabrizio Laurenti, insieme al fratello Ugo, autore delle musiche. Che, oltre a raccontare la loro esperienza unica (il primo era un regista action, ora declinato sui documentari; suoi La Casa 4 e La stanza accanto, sempre con gli Avati, e addirittura suo il film-documentario sul figlio segreto di Mussolini che ispirò il Maestro Marco Bellocchio per uno dei suoi capolavori più recenti, Vincere!; ora a portare avanti il buon nome della famiglia ci pensa la figlia Rosabel Laurenti Sellers, classe 1996, che dopo aver fatto una bella e lunga gavetta in Italia fra tanti altri con Buongiorno Papà di Edoardo Leo e Gli Equilibristi di Ivano De Matteo, ora ha un ruolo nel blockbuster televisivo mondiale Game Of Thrones, nel ruolo di Tyene Sand), contribuiscono a far crescere la curiosità sul perché Voci Notturne non sia assurto al rango di blockbuster anch’esso ma sia rimasto solo un cult assoluto quanto semisconosciuto.
Non potevo più fermarmi: come preso da una convulsione febbrile, ho cercato di contattare gli attori protagonisti, la maggior parte ora diventate vere e proprie star: mi è sfuggito Lorenzo Flaherty, ma ho preso Stefania Rocca e Massimo Bonetti. Se il secondo è parte integrante della grande famiglia allargata della DueA Film, la prima era alla primissima esperienza appena uscita dal Centro Sperimentale. Ma solo dopo quattro anni arrivò la svolta. Perché, per completare il giro di interviste, finalmente feci una lunga chiacchierata con Antonio Avati, l’altra metà (spesso colpevolmente e ingiustificatamente in ombra) della Macchina Da Guerra Avatiana: e mi si aprì un mondo. La messa in onda dello sceneggiato – allora i prodotti per la tv si chiamavano così, pur se ancora per poco -, i dati auditel, una programmazione scellerata; tutto si legava e si univa a fatti recenti, compravendite di diritti, rivendicazioni autoriali: e su tutto, un amore smisurato per i due fratelli verso questo figliolo sfortunato ma bellissimo. Ed ecco che nell’autunno 2015, per la Weird Books, coraggiosa casa editrice pugliese-romana, viene editato il volume del sottoscritto Voci Notturne: storia di un Capolavoro dimenticato.
Che non vuole essere esaustivo, perché col senno di poi qualcos’altro si poteva aggiungere -e chissà che non succeda, in una successiva edizione… -; ma vuole, anzi vorrebbe, essere un punto fermo su tutto quanto si sa e tutto quanto è stato censurato (sì, censurato) sulle cinque puntate di quest’opera sfortunata quanto inquietantemente affascinante. Un punto fermo sulla produzione, sul coinvolgimento artistico di chi ci ha lavorato, un punto fermo sulle poche voci critiche che se ne sono occupate. Non per niente, si cita abbondantemente anche Davide Pulici, Gran Maestro Occulto del Cinema Bis Nocturno e dimenticato, che giustamente qualifica l’opera come un glorioso spartiacque fra un’epoca televisiva e un’altra, apice di un certo universo avatiano forse messo troppo frettolosamente da parte quando si parla del Maestro. Ad ogni modo, il cuore del libro rimangono le interviste, le parole dei creatori, lo svelamento di piccoli particolari che rendono più chiaro un oggetto di per sé oscuro. La cosa più bella, però, per chi scrive, è stata sapere che l’autore, la mente dietro tutto questo (Pupi Avati, chi sennò?), ha trovato piacere da quest’operazione di recupero, affezionandosi al libro tanto da venirlo a presentare insieme all’autore: per l’amore di cui si parlava verso questo figlio dimenticato, e per aver scoperto che invece tanto dimenticato non è.
E dalle interviste, specie a quelle al Laurenti regista e all’Avati produttore (curioso: sono due coppie di fratelli ad aver creato Voci Notturne), emerge come inevitabilmente lo stile di regia sia riconducibile, in un modo o nell’altro, più a Pupi che a Fabrizio: perché, nonostante il cineasta romagnolo non fosse presente sui set, nelle trasferte americane Antonio c’era eccome, e anche in Italia era lui che in qualche modo aiutava e indirizzava il regista che aveva esperienze solo nell’action, mentre qui doveva cimentarsi con una storia molto – quasi del tutto – parlata. E non sono poche le scene di culto che rimandano direttamente al mondo filmico degli Avati: la mano del morto che penzola dal tavolo dell’obitorio, la donna velata di nero che si aggira nel cimitero; e soprattutto, quella forza, quell’atmosfera alchemica e magica, notturna e paurosa, che come una bruma sottile si alza da ogni location, da ogni personaggio, da ogni storia che si lega tumultuosa e oscura ad antiche leggende e spaventosi miti del passato.
Voci Notturne ha un enorme, grandissimo pregio per cui si fa ricordare: fa paura. E fa paura nel modo più subdolo, insinuandosi nelle pieghe del quotidiano come fa l’horror gotico avatiano, gettando una luce sinistra sugli angoli bui della storia, nel presente e nel passato: gioca con il mistero, gioca con la verità e la finzione, e si prende gioco dello spettatore perché ogni grande regista di paura è in realtà (soprattutto) un grande illusionista. Ancora oggi, da spettatore, ho ricordi ben nitidi di alcune scene spaventevoli: e da critico, mi stupisco quando mi rendo conto che queste scene sono quelle più inaspettate. Il sorriso di un uomo con una spiga di grano all’occhiello, su una scala, l’odore dei fiori che sprigiona da una camera chiusa, una telefonata nel cuore della notte, nomi che riportano e suggeriscono realtà arcane (la Società Teosofica Per il Ritorno Dello Spirito Originario, i Pontefici), assonanze e suggestioni che insieme rendono la storia unica, nel panorama italiano ma anche internazionale. Una storia labirintica dove perdersi, anche con la paura, è un piacere.