Intervista a Serena Grandi

Le confessioni di uno dei maggiori sogni erotici degli italiani degli anni Ottanta
Featured Image

Secondo quello che scrive il poco attendibile www. imdb.com, il primo film nella carriera di Serena Grandi risulterebbe essere Ring (1978) di Luigi Petrini, una sorta di Rocky all’italiana. «Mai fatto quel film, mai conosciuto Petrini», spiega l’attrice, che racconta: «Il mio primo film è stato Tranquille donne di campagna del 1980, per la regia di Claudio Giorgi, vero nome Claudio De Molinis, con Philippe Leroy, Rossana Podestà, Silvia Dionisio. Avevo 22 anni e non sapevo neppure da che parte fosse la macchina da presa».

Come è entrata in contatto con il mondo del cinema?
Quando sono arrivata a Roma da Bologna, a 21 anni, con la scusa di andare a trovare una mia amica, non pensavo, almeno coscientemente, di fare l’attrice. Soprattutto per non deludere i miei genitori che non avrebbero mai voluto. Del resto, avevo un diploma di tecnica di laboratorio, e già lavoravo in un istituto di analisi cliniche che si chiamava “del professor Corbelli”, credo ci sia ancora, a Bologna. Comunque presi il treno, col mio unico vestitino, e partii. Roma! Le foglie gialle, le ottobrate, Fregene: mi sono innamorata di quella città. E non sono più tornata a Bologna. In realtà, inconsciamente, il mio vero intento era quello di fare l’attrice.

Perché dice «inconsciamente»?
Le racconto una cosa che nessuno sa: mia madre, riminese, a 17 anni girando per le strade della sua città si accorse che da giorni qualcuno la seguiva di nascosto: era un uomo che girava su una spyder rossa, con un grosso cappello e una sciarpa. Mamma cominciò ad aver paura. Ma un bel giorno si fece coraggio e gli disse: «Signore, cosa vuole da me?». Sa chi era quell’uomo con la spyder rossa? Era Pietro Germi. Cercava una protagonista per Il ferroviere. Chiese alla mamma: «le piacerebbe venire con me a Roma a girare un film?» Lei provò a chiedere il permesso a suo padre, ma mio nonno disse di no. E, siccome mia madre andava sempre a nuotare al porto con un’amica, una certa… Scilla Gabel… lei restò a Rimini e Scilla partì per Roma, anche se non fece il film con Germi. Mamma si fidanzò con mio padre e dopo un anno nacqui io. Quando avevo un anno e mezzo, mia madre mi portò alla stazione di Rimini dove si girava Il ferroviere. Raggiunse Germi tenendomi per mano e gli disse: «La vede questa bimba? Ecco perché non ho accettato il ruolo che mi proponeva, ho preferito mettere al mondo lei…». Io credo che l’episodio di mia madre abbia influito molto sulla mia scelta di fare cinema. Sono nata con un’ inconscia frustrazione: il no di mia madre a Germi. Evidentemente avevo il fuoco sacro del cinema nel DNA.

E cosa fece appena giunta a Roma?
Ho cercato un fotografo e sono andata da un agente che, dopo due settimane, mi disse: «Devo farti conoscere questo regista che ha bisogno di una cameriera». Cameriera? «Cerca di capirmi: una parte da cameriera in un film». Beh, pensai, tante grandi attrici hanno cominciato nel ruolo di cameriera… Perché no? De Molinis, il regista, mi fece venire a prendere alle sei di mattina: il mio ruolo durava tre settimane. Oggi che insegno il metodo Stanislavskij dico sempre ai miei allievi «Dovete studiare, studiare…». Io, al contrario, ero un’autodidatta: venni presa solo perché avevo una bella faccia.

Nel film c’era anche Silvano Tranquilli, buon anima…
Sì, è vero! Silvano Tranquilli. Era la storia di una famiglia patriarcale, dove anche la cameriera veniva schiavizzata. Giravamo a Tivoli, in una casa meravigliosa. Quando arrivai sul set, Rossana Podestà mi guardò e mi disse: «Oddio che faccia cinematografica hai!». Non essendo abilitata a leggere il copione, mi passavano le battute volta per volta. Mi ricordo che ci fu una scena erotica in un pagliaio dove il padrone, Leroy, cercava di sedurmi. Ho fatto anche un’altra cameriera in In nome del popolo sovrano di Magni… ma lì mi ero spogliata poco, si vedeva solo il seno.

Lo stesso anno, il 1980, girò La compagna di viaggio di Ferdinando Baldi, dove c’erano anche Moana Pozzi e Marina Frajese, attrici hard in versione soft…
Infatti, facevo una sposina con l’accento bolognese. Moana, però, non la incontrai sul set, e neppure la Frajese, era un film a episodi e abbiamo sempre girato in momenti diversi. Mi chiamarono perché mi avevano vista in Tranquille donne di campagna. Il mio agente, Roberto Ceccacci, era bravo.

Lo sa che il suo film più “cult”, è Antropophagus di Joe D’Amato-Aristide Massaccesi, proiettato nel 2006 alla prestigiosa Cinémathèque Française, come omaggio al regista?
Ma va’! Incredibile! Mi hanno dato il vhs, ma mio figlio l’ha rotto! Mi manda il dvd? Certo che i patiti dell’horror sono tanti… Che paura quando lo giravamo! È stata un’esperienza pazzesca! Avevo lo pseudonimo di Vanessa Steiger, me l’aveva dato la produzione. Allora era di moda avere un nome anglofono. Oddio Aristide! Era una persona fantastica! Siamo partiti da Roma che avevo già una pancia finta. Perché lui girava in ogni momento. Dovevamo essere sempre pronti. C’era Saverio Vallone, c’era lo sceneggiatore e attore Luigi Montefiori, che faceva il mostro dell’isola. Gliel’assicuro, anche durante il viaggio dall’Italia alla Grecia, ogni momento era buono per girare. Doversi portare dietro ‘sta pancia finta non era certo comodo.

Dopo un paio di Pierini, ha girato Malamore e Sturmtruppen
Erano due i Pierini? Mi pareva uno… No, no, ha ragione, sono due: uno con Lenzi e uno con Girolami. Sì, grazie a Luciano Martino ho fatto quei due ruoletti. In uno faccio la cassiera, in quello di Lenzi. Avevo tutti i capelli tirati, allora ci si vestiva, ci si truccava da soli… Ho fatto quei film perché volevo guadagnare qualcosetta… Sa, mantenersi a Roma costava, io avevo la liquidazione del laboratorio d’analisi, ma… i soldi non bastano mai. Malamore di Eriprando Visconti, invece, era un film impegnato, come si diceva allora… Con Prandino andammo a Venezia, mi ricordo che c’era anche il nano, Jimmy Briscoe. Vorrei tanto rivedere quel film. Era la storia di quattro prostitute: il regista ci fece fare uno stage con l’Actor’s Studio sul set, con uno dei responsabili… Era una produzione ricca. Ogni volta che passo da piazza Fiume, qui a Roma, mi viene in mente il palazzotto dove giravamo. Lì c’era il casino, la maitresse: è stato quel film a ispirare il mio libro, che si svolge proprio in un casino. Mi piacerebbe ritrovare quella ragazza di Parma, anche lei interpretava una puttana…

Forse era Renata Zamengo, che ha fatto una parte anche in Suspiria di Dario Argento…
Non ricordo il suo nome. Divenimmo amicissime, entrambe ci innamorammo degli architetti del set. A Venezia giravamo fra Harris Bar ed Excelsior… Poco dopo ebbi una particina in Sturmtruppen, con la regia di uno strano tipo…».

Strano tipo? Era Salvatore Samperi!
Era Samperi? Ah, sì certo, intendevo strano perché si chiudeva in sé, penso che già allora avesse curiose situazioni personali, era un uomo difficile, con pesanti problematiche… Giravamo in una zolfatara a Pomezia, con Gianni Di Clemente come produttore. Io e Ramona Dell’Abate eravamo sempre insieme… Samperi aveva avuto un grande successo una decina d’anni prima grazie a Malizia con Laura Antonelli

Con la Antonelli lei ha lavorato in Rimini Rimini e Roba da ricchi…
Non l’ho mai incontrata sul set. Giravamo episodi diversi, ma ho avuto per tredici anni il suo stesso truccatore, Gilberto Provenghi, che mi diceva già allora che lei era una donna strana. Istriana. Incline a bere. Con madre e fratello strani anche loro. Non si meravigliò più di tanto, Gilberto, quando Laura finì in mezzo a tutti quei guai giudiziari. Gilberto, persona straordinaria, cercava di aiutarla, ma mi diceva anche, con la riservatezza che gli è propria, che Laura aveva una vena di pazzia.

Ma anche tanta sfortuna, che comincia la notte del 27 aprile 1991, quando nella sua villa di Cerveteri le vengono trovati 36 grammi di cocaina…. Poi l’arresto. E il proscioglimento dopo 9 anni, con un risarcimento, dopo 15, di 108mila euro…
Ricordo che una sera andai a una festa per il suo compleanno, a Cerverteri. Lei stava con Ciro Ippolito, il produttore, con il quale ho lavorato anch’io. Non scorderò mai quando Laura mi mostrò due tombe etrusche che conservava in casa. Erano una coppia di defunti, marito e moglie. Rimasi sconvolta: «Ma perché ti tieni ‘ste cose dentro casa, non ti portano male?», le dissi. Era una bellissima festa: Tosi, Bolognini. Poco tempo dopo successe il patatrac. Lei si fidava di un tutore dell’ordine con il quale aveva una storiellina. Lui l’andava a trovare tutti i giorni. Una sera, fuori di testa com’era, Laura gli disse: «Vieni, questa sera presento un film che sto scrivendo». Peccato che in casa lui trovò 36 grammi di cocaina e la denunciò. Pensi che Laura aveva gioielli meravigliosi che le aveva regalato Belmondo, aveva un palazzo in piazza Medaglie d’Oro, aveva appartamenti, poi ha regalato tutto. I suoi vecchi amici come Gilberto hanno tentato di contattarla ma niente…

Ne sa qualcosa anche lei, signora Grandi, delle false accuse di detenzione e spaccio di coca…
Nel 2003 mi hanno rovinato la vita. Quella vicenda mi ha marchiata. A me non hanno trovato niente, se mi fossi chiamata Maria Rossi non sarebbe mai venuto nessuno da me. Fui prosciolta prima ancora dell’inizio del processo per non aver commesso il fatto. Andò così: io avevo un amico che si occupava di termoidraulica e mi fece un impianto in casa che uso anche adesso, ma allora non funzionava bene perché secondo me lui non era in grado di realizzarlo… svolgeva ben altre attività. Mi chiese di pagarlo e io: «Non te li do i soldi finché non mi metti a posto perfettamente l’impianto», gli dissi. In realtà, lui aveva a casa una sorta di raffineria di droga, non ne faceva uso ma era un pesce grosso, per copertura idraulico. Oltre a me, finì nello scandalo l’ex ministro Colombo e vari notabili: tutti frequentavano il tipo della termoidraulica. E la cretina, cioè io, che non aveva nessuno accanto, perché l’allora compagno se ne andò quando scoppiò il casino, ho avuto l’appoggio solo di un bravo avvocato…. Prosciolta, certo, ma intanto hanno rovinato la vita a me, a mia madre e a mio figlio.

Torniamo al 1985: Miranda rappresenta per la sua carriera un momento fondamentale…
Forse il più importante… ispirato a La locandiera di Goldoni. Tinto Brass riesce a far spogliare chiunque… Io però non feci la mitica prova della saponetta… C’era un grande scenografo, Biagetti, e con lui lavorava – come trovarobe – Massimo Spano, l’attuale regista e compagno di Zeudi Araya. Un uomo con una mente notevole, ho girato con lui La madre insieme a Violante Placido. Ma torniamo a Tinto: è un grande direttore di attori, oltre che montatore, scenografo. Insomma, un artista a 360 gradi. Purtroppo rimasi male quando volli provare a lavorare con lui la seconda volta per Monella. Guardarobiera, ero anche l’amante del capitano, e avevo una figlia, Monella, ovvero Anna Ammirati che certo non aveva l’ allure di una protagonista: aveva un bel sedere, era carina, ma si dava troppe arie, era maleducata, mi tolse la gioia di lavorare ancora con Tinto. Si sedeva in braccio a lui mentre la Tinta, che faceva la segretaria di edizione, stava lì di fronte. «Perché fai così?», le dicevo, «perché ti butti addosso a Tinto e gli ficchi la lingua nell’orecchio? Che senso ha? Con la moglie lì che ti guarda! Spero che a te non possa mai succedere in futuro quello che stai facendo provare a Tinta. Siamo professionisti, stiamo girando un film, non stiamo facendo un’orgia…». Il film non ha fatto soldi. I produttori vennero sul set e si resero subito conto che Anna non poteva essere una protagonista. Tinto aveva preso un grande attore, Patrick Mower e aveva capito di aver sbagliato prediligendo Anna. E pensare che io avevo di nuovo accettato di spogliarmi, di mimare rapporti sessuali… A parte questo, con Tinto è stato meraviglioso lavorare, ci sentiamo sempre, da lui ho imparato tanto. È stato il primo a farmi girare nuda sul serio…

Beh, anche in Le foto di Gioia, del 1987, mica si scherzava quanto a scene di nudo… Ci dicono che ebbe problemi a ri-spogliarsi…
Fu direttamente Lamberto Bava a chiamarmi per Le foto di Gioia, un uomo che ricordo con tanto amore e che, purtroppo, non ho più rivisto e mi piacerebbe rincontrare. Sì è vero, faticavo a spogliarmi: ero talmente satura del film di Brass e di quegli altri, che avrei voluto la mia carriera andasse in un’altra maniera. Come in un certo senso andò, perché mi mandarono in Francia per Le avventure di un giovane dongiovanni, tratto da Apollinaire. Ma gli italiani non andavano al cinema per Apollinaire e il titolo fu cambiato in L’iniziazione con la Grandi nuda. Insomma o nuda o niente… Ma incassò bene!