Il tocco aureo di Rino Di Silvestro
Le deportate della sezione speciale SS fu uno degli eroSSvastika che incassarono di più.
Si può dire che Le deportate della sezione speciale SS , almeno dal punto di vista della confezione, dell’incartamento, sia uno degli erossvastika meglio fatti. E non fu certo la minore delle ragioni per cui raggiunse, con 814 milioni di lire di incasso, il tetto massimo dei guadagni nel filone. Sopra ebbe soltanto Brass. Il regista, Rino Di Silvestro, era a suo modo un autore e amava molto i propri film, in ultima analisi perché ci credeva. E basta leggere quel che dichiarava su questo nazi, per concludere che ci credeva anche in questo caso. Arrivò in censura a novembre, dopo il primo Mattei e il primo Garrone, dai quali però si distingue in maniera piuttosto netta, perché Di Silvestro ha tutta l’aria di non avere visto Ilsa, di non avere visto forse nemmeno Salon Kitty (anche se tra le protagoniste del suo film c’è Sara Sperati, che aveva avuto un ruolo consistente in Brass) e di non risultare nemmeno così Cavani-dipendente come quasi tutti finivano fatalmente per essere, gli artefici dei nazi-porno. Il portiere di notte lo conosce di certo, Di Silvestro, ma non ci si fossilizza, concentrato com’è sulle sue direttrici di pensiero che sono sempre molto perspicue. Il regista è un monomaniaco delle pratiche di Saffo e nelle Deportate della Sezione Speciale SS si scatena, in tutte le possibili varianti sul tema: sesso tra kapò e prigioniere, kapò e kapò e prigioniere con prigioniere. L’over the top è toccato dal congresso carnale, su una brandina, tra la citata Sara Sperati, deportata francese, e Ofelia Mayer, la guardiana che si è follemente innamorata di lei. Una lunga, lenta e dettagliatissima scena su cui si potrebbe discutere se resti ancora dentro i confini del soft o se debordi nelle luci rosse, visti i dettagli ginecologici della Mayer – che sta sopra alla partner – inquadrata con nitidezza estrema in tutta la magnificenza perineale. Peraltro, la musica di Stelvio Cipriani e la fotografia di Sergio D’Offizi confondono un po’ le acque creando persino un’aura romantica intorno a questo morboso tête-à-tête, che venne ovviamente falciato via dalla censura italiana. Così come furono falciate le parti più hot un altro lesbo tra la kapò Paola D’Egidio e una prigioniera, i giochetti saffici che coinvolgono la D’Egidio e Solvi Stubing, la bionda della birra Peroni, le quali alla fine vengono avvicinate con la bocca al sesso del maschio, esattamente come accadeva nella scena cult di Casa privata per le SS. All’appello, in tutte le versioni note, sembrerebbe mancare un’ulteriore scena saffica tra la Stubing e la stessa prigioniera della scena con la D’Egidio, che la censura italiana tagliò di una ventina di metri
Le deportate della sezione speciale SS si ambienta in un castello usato come centro di smistamento per donne deportate: qui spadroneggia Herr Erner (John Steiner), nazistone abietto e depravato, e qui arriva la polacca Tania (Lina Polito), figlia di una donna che Erner aveva tentato inutilmente di possedere. La ragazza, ancora vergine, un volta capito chi ha di fronte e che il tedesco smania per lei, prima, come sfregio morale, si fa deflorare dall’attendente di Erner, un figuro di nome Dobermann (Guido Leontini), e poi, dopo una serie di peripezie, architetta un piano diabolico per farla pagare carissima al carnefice: inseritasi nella vagina una lametta, accondiscende al desiderio di Erner, il quale, penetrando Tania, «si spacca il glande in quattro, morendo dissanguato», come dettagliava Di Silvestro. Aggiungendo: «E quello era il momento per le prigioniere di fuggire. Dunque, la libertà attraverso il sesso». Il compiacimento morboso-voyeuristico dominante nel film si esemplifica bene nella scena di depilazione delle detenute appena giunte nella sezione speciale. Giovani e vecchie, prima vengono docciate e poi rasate nel crine e nel pube – però quelle più in rilievo, la Polito, la Sperati, Stefania D’Amario e Maria Renata Franco restano intonse, anzi con pelliccia lussureggiante magnificata in sequenze sotto la doccia. In Italia la tonsura fu in gran parte eliminata. Per par condicio, cadde sotto le lame censorie anche la sodomizzazione che il povero Leontini subiva da Steiner, al termine di un massaggio che il sottoposto, con i capelli impomatati – inguardabile – impartiva al suo signore.
L’impressione è che Le deportate della sezione speciale SS sia stato girato in contemporanea con i due Garrone: Giorgio Cerioni fa una comparsata, con i capelli ossigenati, nel ruolo di un fidanzato della Polito fucilato dai tedeschi. E il medico buono che aiuta la protagonista ha tutta l’aria di essere lo stesso attore che in SS Lager 5 – L’inferno delle donne interpretava il mad doctor che ustionava le gambe alle prigioniere-cavie. Comunque, va riconosciuta a Di Silvestro persino una certa genialità nell’ideare – soggetto e sceneggiatura sono suoi, quindi sua è la totale responsabilità del film, prodotto dall’industriale delle piastrelle Giuseppe Zaccariello che sembra di capire fosse uno sulla stessa lunghezza d’onda del regista quanto a predilezioni contemplative – delle situazioni che, magari, se messe in scena da altri sarebbero pure state prese per trovate raffinate e impegnate: ci si riferisce alla prigioniera (Anna Curti?) che ha una tresca con un soldato del campo (Cesare Barro) e, una volta scoperti, vengono costretti a fare l’amore, nudi, in cortile, sotto gli occhi di tutti, prima di essere uccisi. Una sequenza composta con un certo pathos – le prigioniere che assistono, piangendo, si mettono a cantare – e usata anche come spunto per creare il manifesto del film. C’entra poco – o forse molto, dipende –, ma cercando in rete notizie sulle attrici del film, scopriamo che Felicita Fanny – una fedele di Di Silvestro, forse un’amica o un’amante – era una giovane chef che pubblicava articoli su riviste di cucina. Sarda di origini, scoprì di essere affetta da una grave malformazione cardiaca ma grazie a un’operazione in Inghilterra fu restituita alla vita, allo spettacolo e al set.