La filosofia di Venerdì 13
Per celebrare degnamente una sanguinaria ricorrenza
Per voi la nostra visione della filosofia di Venerdì 13:
1957. Un bambino muore affogato nel lago a Crystal Lake.
1958. Notte di luna piena. Nel campeggio estivo due educatori si appartano furtivamente per amoreggiare lontani da occhi indiscreti. Ma gli occhi indiscreti invece li fissano e li seguono in soggettiva. Sono gli occhi dell’assassino che compie così il suo primo delitto. Fin dall’inizio Venerdì 13 paga un tributo a Halloween (1978). Il film si apre con un prologo che ci mostra fatti di sangue successi vent’anni prima. Anche qui, come nel film di John Carpenter, il punto di vista è quello dell’assassino; ma mentre in Halloween, alla fine del lungo piano sequenza ci viene mostrato, da subito, il volto del bambino Michael, responsabile dell’accoltellamento della sorella, in Venerdì 13 l’identità dell’omicida resta un mistero.
Vent’anni dopo, ci troviamo di nuovo a Crystal Lake. Il campeggio (nel frattempo soprannominato “Campo Sangue”) viene finalmente riaperto dopo un lungo periodo di inattività. È la notte di venerdì 13 (e non quella d’Ognissanti), quando sette giovani educatori e un capogruppo si apprestano a terminare i preparativi prima dell’arrivo dei bambini. In realtà, una degli otto non arriva nemmeno a destinazione, perché, sulla strada per Crystal Lake, accetta un passaggio da uno sconosciuto e finisce come un capretto a Pasqua.
È proprio con questo primo omicidio che Venerdì 13 prende le distanze da Halloween, nella rappresentazione grafica della violenza, del sangue, dei corpi martoriati. Se Halloween era soft, Venerdì 13 voleva essere hard; se Halloween era elegante, Venerdì 13 voleva essere disturbante. In questo senso, il ruolo giocato da Tom Savini – che arriva da tutt’altro cinema dell’orrore, quello degli zombi di George Romero, paradossalmente più sanguinoso ma anche più intelligente di quello di Carpenter – è stato centrale per la mitopoietica del film. Al di là dell’aspetto grandguignolesco, però, Halloween è per Venerdì 13 più di una vaga fonte di ispirazione; è un modello da seguire pressoché fedelmente. Se un merito il regista Sean Cunningham e l’amico sceneggiatore Victor Miller hanno avuto, è stato quello di camuffare bene l’operazione di semi-plagio. E lo hanno fatto con un’intuizione che nella sua banalità ha del geniale: ambientare il film in un campo estivo. Al di là della location inconsueta per il genere, il campeggio permetteva un’interessante operazione sugli ingranaggi della paura. Mentre Halloween (che a sua volta era debitore al Black Christmas di Bob Clark di quattro anni prima), modernizzava certe atmosfere claustrofobiche tipiche del cinema gotico dei decenni precedenti (la casa che sostituisce il castello è comunque un posto angusto, che nell’oscurità cela indicibili minacce), Venerdì 13 ribalta sapientemente (e forse inconsapevolmente) i meccanismi del genere.
Il pericolo non arriva più dall’interno ma dall’esterno. Gli spazi aperti, i boschi smisurati, gli sconfinati specchi d’acqua, diventano i nuovi perimetri del terrore. Come in La casa (The Evil Dead, 1981) di Sam Raimi, il capanno diventa l’ultimo avamposto per contrastare la furia del demone. Ma per quanto? Quanto tempo ci vorrà prima che il lupo cattivo butti giù la casa dei tre porcellini con un soffio?
Venerdì 13 in questo, più che Halloween, sembra trovare ispirazione da certe fiabe che si raccontano ai bambini. E tutte le fiabe, si sa, hanno alla base dei precetti morali, delle regole di comportamento. «Non andare nel bosco di notte», dice la nonna a Capuccetto Rosso, «altrimenti arriva il lupo cattivo e ti mangia in un sol boccone». E sotto la pioggia, sempre battente a Crystal Lake, i poveri educatori coperti dalle mantelle colorate sembrano proprio tanti piccoli Capuccetto Rosso.
Ecco quindi una prima fondamentale leva su cui fa forza il successo di Venerdì 13: il richiamo all’infanzia, alle fiabe raccontate di notte, magari intorno al camino, quando tra curiosità e repulsione il bambino scopre il sublime fascino della paura.
Quindi la location non solo funge da esotica cornice per il film, ma gioca anche un ruolo da attore protagonista. Ed è un attore particolarmente versatile. Di giorno è allegro e spensierato, con la luce che filtra tra la fitta vegetazione e il lago sempre pronto ad accogliere i corpi tonici dei giovani educatori, mentre di notte, con il rumoreggiare del bosco, cambia completamente espressione e fisionomia. Ciò che era sicuro ora non lo è più. Ciò che era familiare ora è alieno e inospitale. Una sensazione che tutti hanno sperimentato almeno una volta… magari da bambini… in un campeggio… di sera.
Come in Halloween poi ci sono i ragazzi. E ragazzi significa gioventù, vitalità, spensieratezza, sesso. Già di per sé la morte è brutta cosa. Una morte violenta fa scalpore. Se a morire di morte violenta è un giovane piuttosto che un vecchio, fa sicuramente più notizia. Se poi a morire di morte violenta è un giovane che sta facendo o ha appena finito di fare sesso, allora è l’apoteosi. È una questione di cultura, di religione e di moralismo. C’è qualcosa di terribilmente sbagliato in un giovane che muore, lo avvertiamo a livello epidermico, ancora prima di rifletterci sopra. C’è qualcosa di morboso nel pensare a due adolescenti che fanno sesso (ma la malizia è, come sempre, nell’occhio di chi guarda). Mischiare le due cose, adolescenti che fanno sesso e adolescenti che muoiono, crea (inconsapevolmente) un’interessante cortocircuito nella mente dello spettatore che, in un qualche modo perverso, trova delle giustificazioni. Avete fatto sesso e siete morti? Ve lo meritavate. Perché il sesso è sudicio, il sesso è peccato… Chi fa sesso è un irresponsabile che non bada certo a un bambino che affoga nel lago. Non è che Jason sia morto perché i due educatori erano andati a farsi una pizza, ma perché invece stavano trombando allegramente. Quindi bisogna impedire ai ragazzi di fare sesso. E il modo più sicuro è ovviamente quello di ucciderli. Così la pensa la signora Voorhees, la madre del piccolo Jason, che non ammazza per vendetta ma per amore. Amore nei confronti dei bambini di tutto il mondo che potranno finalmente giocare sicuri in riva al lago. Per Mrs. Voorhees fare sesso è un peccato più grave dell’omicidio. È un discorso folle, ovviamente, a cui non crede nessuno, ma che in qualche modo ha (evidentemente) presa sullo spettatore perché solletica un sentimento moralistico inculcato nel dna (per religione, cultura, società…). Da una parte. Dall’altra, invece, c’è il fruitore tipico dello slasher: adolescente, nerd, che a parte quando è stato cagato al mondo, la passera non l’ha mai vista dal vivo in vita sua, e quindi (soddisfacendo una certa inconfessata frustrazione) partecipa con gusto all’eliminazione della coppia scopereccia.
Il successo del primo Venerdì 13, che rimane film anomalo all’interno della saga, quindi, è spiegabile con una concomitanza di elementi che, forse per caso, hanno dato origine a un inaspettato interesse.
Anche perché Venerdì 13, a differenza di Halloween, è film classico, non incentrato sulla figura di un serial killer mascherato, dall’aura più o meno soprannaturale, ma è una sorta di bislacco thriller, in cui l’identità dell’assassino, come da tradizione, viene rivelata solo alla fine. E se anche nessuno poteva arrivarci – perché il personaggio della madre psicopatica appare all’improvviso e senza ragione come l’Arcangelo Gabriele alla Madonna – non ha importanza. Lo spettatore ha già visto quello per cui ha pagato: giovani porcellini fatti a pezzi nel bosco. Ora non resta che ascoltare una spiegazione qualsiasi – che, a dirla tutta, è pure abbastanza efficace – e poi tornarsene a casa. Ma non finisce qui, perché Venerdì 13 offre pure a sorpresa un finalissimo che, come quello analogo di Carrie lo sguardo di Satana (Carrie, 1976), fa un breve scivolone nel sovrannaturale a uso e consumo dell’ultimo (decisivo) “zompo” in poltrona dello spettatore. È un incubo, ma a noi, piace pensare che Jason “sia ancora là” nelle profondità del lago… aspettando!
L’INIZIO ALTERNATIVO
Il prologo del film era stato concepito in maniera estremamente diversa da quello visto nel montaggio finale. I due educatori che si appartavano per fare l’amore venivano seguiti durante una passeggiata notturna in riva al lago dall’assassino. Dopo un movimentato inseguimento, il misterioso killer avrebbe ucciso prima la ragazza a colpi di machete e poi il ragazzo. Durante la colluttazione col giovane, all’assassino sarebbe stato reciso un dito. A causa di un’improvvisa nevicata e di alcuni problemi al generatore, Sean Cunningham fu costretto a girare la scena come l’abbiamo vista.
THE PROWLER
The Prowler, “il predatore”, questo era il nome con cui veniva indicato l’assassino del film sul copione di Venerdì 13. Curiosamente, The Prowler sarebbe poi diventato il titolo di un clone di Venerdì 13 diretto nel 1981 da Joseph Zito (da noi uscito come Rosemary’s Killer). Zito successivamente avrebbe firmato il quarto capitolo della saga, Venerdì 13: capitolo finale.
UNA MAMMA PER JASON
Betsy Palmer dichiarò di aver accettato il ruolo della signora Voorhees perché in quei giorni le si era rotta la macchina e doveva comperarne una nuovo (una Scirocco). I soldi del film le facevano comodo… tanto era sicura che nessuno sarebbe andato a vedere “‘sta cagata!”
BACON AL SANGUE
Una delle scene più famose del film è quella dello sgozzamento di Kevin Bacon da parte dell’assassino nascosto sotto la branda. Tom Savini realizzò l’effetto speciale applicando all’attore un finto torso in lattice che veniva penetrato dalla lama. Con una pompa applicata al finto torso avrebbe poi fatto uscire il sangue di pecora a completare l’effetto. Savini si trovava sotto la branda pronto a girare la scena quando all’improvviso la pompa si bloccò e l’effettista fu costretto a soffiare direttamente il sangue attraverso la cannuccia, con il risultato di imbrattarsi completamente faccia e vestiti. La scena fu tagliata al cinema e recuperata nel dvd europeo della Warner Bros.
L’EFFETTO SAVINI
Tom Savini è stato uno degli elementi più significativi per la riuscita del film. Non solo per tutti gli effetti truculenti inventati, ma anche a livello di soluzioni narrative. Ad esempio, la scena del serpente che viene scoperto in una delle capanne non era presente in sceneggiatura ma fu suggerita da Savini, dopo che ne trovò uno nella sua casetta. Savini e il suo assistente Taso N. Stavrakis, infatti, pernottavano sul set per essere pronti fin dal primo mattino. Il serpente usato nella scena fu ucciso veramente sul set. Savini è anche responsabile dell’idea di Jason che riemerge dalle acque nel finale. Quando il film uscì nelle sale, Savini per le prime due settimane entrava nei cinema cinque minuti prima della fine per vedere la reazione del pubblico.
IL FINALE
La scena finale in cui Jason emerge dal lago per trascinare con sé Alice è stata girata una prima volta durante le riprese e poi, siccome l’effetto non era soddisfacente, altre due volte a distanza di diverse settimane. Era inverno inoltrato (fine ottobre) e l’acqua era gelida.
KI-KI-KI-KI MA-MA-MA-MA
Il famoso rif del film ki-ki-ki-ki ma-ma-ma-ma lo inventò il compositore Harry Manfredini ispirato dal finale del film quando Betsy Palmer, imitando la voce del figlio morto, diceva: «Kill her mamy» (“Uccidila mamma”). Prendendo le prime due lettere di kill e di mama, cioè “ki” e “ma” e usando un Echoplex si è ottenuto il famoso effetto che tutti conosciamo.
CRYSTAL LAKE, DOVE?
Il primo Camp Crystal Lake si trovava a Camp Nobebosco – 11 Sand Pond Road, Blairstown, New Jersey, USA. Venerdì 13, che a un certo punto della lavorazione si è chiamato Long Night at Camp Blood, ha incassato nei soli Stati Uniti 39.754.601 dollari.