Lo chiamavano Jeeg Robot a febbraio al cinema
Una piccola grande rivelazione tutta italiana
Durante il suo ultimo scippo, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), un pregiudicato di borgata, entra in contatto con una sostanza radioattiva celata al di sotto di un molo del fiume Tevere. Dopo una serie di circostanze non proprio favorevoli, Enzo scoprirà di possedere una forza sovraumana dovuta all’incidente. Dopo una fase di assestamento emozionale, il misantropo pregiudicato coesisterà con questa sua nuova realtà che lo tramuta in un “super-criminale” temuto ed invidiato. Tutto cambia, però, quando incontra Alessia, che con la sua malsana spensieratezza, figlia del disagio psicologico, convincerà Enzo a diventare un fantomatico (e antiquato) eroe dei cartoni animati giapponesi. Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, sorprende: appagando una certa critica da sempre ostile ai lavori nostrani e, al tempo stesso, un pubblico alla costante ricerca della novità. Già, perché il prodotto offerto dal giovane regista di periferia, è, per l’appunto, un lavoro innovativo, capace di miscelare adeguatamente il neorealismo contemporaneo, con un astratto minimalismo difficile da omologare.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film multi-genere che non mira essenzialmente a una definizione ma a una funzione: Mainetti cela dietro a tutto questo un messaggio quasi critico (perché non è la reale intenzione), verso quel business industriale cinematografico negativamente promotore di prodotti per lo più convenzionali. In risposta ai noir-gangsteristici propinati ultimamente (da Suburra a Non Essere Cattivo), e ai comic-movie della Marvel, Lo chiamavano Jeeg Robot è l’alternativa valida e lucida di un prodotto genuino, che apre, almeno nel nostro Paese, ad un nuovo filone di genere che potrebbe avere grande riscontro negli anni a venire. Convincenti le interpretazione di Claudio Santamaria e di Luca Marinelli. L’eroe e l’antagonista, il bene e il male. Notevole anche la rappresentazione e la conduzione stilistica da “lavoro kaiju “ dei due interpreti, una volta “adulterati geneticamente” da questi poteri sovraumani. Chapeau dunque a Gabriele Mainetti e appuntamento in sala dal prossimo marzo.