Daitarn III e l’innamoramento per Haran Banjo
Le cose belle degli anni Ottanta
Nella primavera del 1980 (ai tempi avevo solo 7 anni) Daitarn III era uno dei tanti cartoni di robot giapponesi che invadevano il pomeriggio televisivo. La trama non si discosta molto da quella “classica” di Jeeg Robot d’acciaio, di Mazinga o Goldrake; una nuova minaccia sta per abbattersi sul mondo: i meganoidi, cyborg provenienti da Marte, vogliono conquistare la Terra e sottomettere il genere umano per continuare il progetto di espansione galattica del loro temutissimo capo Don Zauker, inseparabile dalla sua fedele servitrice Coros. In difesa del nostro pianeta si schiera Haran Banjo, figlio dello scienziato che ha dato vita ai meganoidi, che fugge a bordo del Daitarn III dal pianeta rosso e dal controllo dei malvagi cyborg. Giunto sulla Terra, Haran si stabilisce in una splendida villa e insieme al maggiordomo Garrison inizia la sua personale lotta per vendicare la sua famiglia e difendere il nostro pianeta. Attorno a Banjo si crea un gruppo compatto formato da Reika, bellissima bruna, che lascia l’Interpool per combattere al suo fianco e che si contente con Beauty, classico prototipo della bionda maggiorata, i favori di Haran sin dalla prima puntata. Toppy è l’ultimo a unirsi alla squadra: un orfano incontrato casualmente durante una missione, la cui curiosità crea non pochi guai ai suoi compagni.
La lotta contro il nemico era lunga 40 puntate e ci conduceva in un universo fatto di personaggi bizzarri che avevano sembianze diverse in ogni battaglia. Ogni puntata, infatti, ruotava attorno a un comandante cyborg differente che spesso era spinto a combattere per fini di edonistico egoismo più che per un reale ideale. Venivano messe in risalto le debolezze, i vizi ma anche le sofferenze, le gelosie, le passioni e gli amori nascosti di questi soldati che risultavano sempre più simili agli uomini e finivano per essere meglio caratterizzati dei due avversari sempre presenti Don Zauker e Coros. Del comandante supremo non si sapeva proprio nulla, tranne che era stato il primo meganoide creato e forse era proprio il mistero che lo attorniava a renderlo così temibile. La guerra terminava con la scontata disfatta del nemico: Haran ferisce a morte Coros e annienta Don Zauker. Meno scontato il finale della serie, in cui il gruppo si scioglie e ognuno prende una strada diversa: Toppy si allontana con il suo sacco sulle spalle, Beauty esce di scena sulla potente macchina del padre, Reika sparisce nel buio della notte e infine Garrison si chiude alle spalle il cancello della villa, incamminandosi lungo un viale sotto la pioggia battente. L’ultima inquadratura era per la villa in cui brillava ancora una luce: Haran Benjo rimasto solo.
Il finale così malinconico contrastava totalmente con il carattere ironico che connotava tutta la serie. Nonostante la serietà della missione, non mancavano mai situazioni surreali, battute, gag e assurdità come il fatto che lo stesso robot avesse caratteristiche antropomorfe: il suo volto esprimeva rabbia, dolore e stupore e il suo corpo assumeva pose scomposte, mai rigide. Quello che caratterizza e differenzia la serie dal resto della produzione di quegli anni è la continua elettrica sensualità che nasce dalla guerra per il cuore di Haran. Reika e Beauty, la cui bellezza è sempre messa in evidenza, non perdono occasione per farsi dispetti e tentare di aggiudicarsi la simpatia di Banjo. Come ogni bambina, credo di essermi “segretamente” innamorata di tutti i protagonisti maschili dei cartoni animati (da Actarus di Goldrake a Fersen di Lady Oscar), ma con Haran Benjo era diverso. Lui era un personaggio consapevole di essere bello, consapevole di rappresentare l’icona del latin lover anni ‘70; vestito e pettinato come un modello, utilizzava il proprio fascino come se la sua vera missione fosse quella di conquistarsi il pubblico femminile e in ogni puntata non perde occasione, di ammiccare e rendersi assolutamente irresistibile. Se questo era l’intento, la missione è stata più che compiuta!