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A mano disarmata

2019
Titolo Originale:
A mano disarmata
REGIA:
Claudio Bonivento
CAST:
Claudia Gerini (Federica Angeli)
Francesco Pannofino (Riccardo Torrisi)
Mirko Frezza (Calogero Costa)

Il nostro giudizio

A mano disarmata è un film del 2019, diretto da  Claudio Bonivento.

Ha detto Claudio Bonivento, regista di A mano disarmata, suo terzo film: «Per me l’importante era raccontare la vita della ‘donna’ Federica, forse non ci sono riuscito, forse nemmeno Spielberg sarebbe stato in grado». No, direi che Bonivento c’è riuscito, anzi troppo (preferisco glissare su Spielberg). Il difetto principale del suo film, infatti, è proprio aver puntato troppo sulla vita privata della protagonista e troppo poco sulla cronaca, quella tratta dalla orribile realtà e dal libro da cui il film è tratto, scritto da Federica Angeli (Baldini + Castoldi), giornalista della redazione romana de la Repubblica, costretta a vivere sotto scorta dal 2013 a causa delle minacce ricevute per sua inchiesta sulla mafia di Ostia, capeggiata da vari clan locali fra cui gli Spada di origine Sinti. Nel libro della Angeli, che pure ha collaborato alla sceneggiatura di Domitilla Shula Di Pietro, i fatti hanno sicuramente più spazio: la giornalista racconta anche del suo dramma personale, certo, ma non lo fa assurgere a fil rouge della vicenda che resta inchiodata alla cronaca.

Bonivento, al contrario, ha fatto un’altra operazione: ha affidato a Claudia Gerini, per altro brava, la parte di Federica, appiccicandole addosso tutta una serie di scene che spesso finiscono per lo scadere nel mellifluo: i troppi bacini, gli “amore” e i “cucciolotti”  nei confronti dei tre figli; una pessima scena di sesso sul tavolo della cucina con il marito-guardia giurata (Francesco Venditti); il papà di Federica che le mostra un video infantile in cui lei dice che da grande vorrà fare la giornalista «per difendere i deboli»; le canzonette romanesche buttate qua e là; una voce fuori campo che ci sta come i cavoli a merenda, utilizzata solo per  una manciata di secondi a metà film; un primissimo piano, unico e improvviso, dei begl’occhi di Claudia, più adatto a Per un pugno di dollari; un parentado e una serie di amici affidati ad interpreti di stampo televisivo (anche compagne d’infanzia traditrici come Emanuela, interpretata da Chiara Colombo); il caporedattore della giornalista (nella realtà Giuseppe Cerasa, nel film Riccardo Torrisi)reso un po’ troppo macchiettisticamente dal re dei doppiatori  Francesco Pannofino (a proposito di doppiatori, quello di Robert De Niro, Stefano Di Sando, è un generale dei carabinieri che convoca e mette in guardia dai pericoli Federica). Detto ciò, A mano disarmata è un film certamente onesto, forse più adatto a una prima serata tv che alla sala, comunque lontano anni luce dalla valenza cinematografica di una docu-fiction come Il traditore di Bellocchio.

Chissà perché (ma forse si sa perché, ma non è questa la sede per dibatterne…), se un regista italiano non ha almeno un’ottantina d’anni, salvo rare eccezioni, non riesce a fare del cinema vero. Fra le molte denunce di Federica Angeli, quella che dà il via alle persecuzioni, ai timori per i figli (minacciati pure loro), alle paure del marito e della mamma (solo il padre la spinge ad andare avanti), c’è l’episodio di una sparatoria avvenuta sotto casa della giornalista, nata e vissuta ad  Ostia. Così lo racconta la Angeli nel suo libro: «Quello che accadde davanti a me, in un quartiere della Capitale abitato da tanta gente perbene»  […]   «difficilmente lo potrò dimenticare». Richiamata alla finestra dal rumore, Federica, infatti, è testimone, all’alba del 16 luglio 2013, di quel delitto, e identifica e denuncia Carmine e Ottavio Spada, mentre tutti gli altri condomini («perbene»?) calano gli avvolgibili. Dopo quattro giorni uscirà la prima puntata della sua inchiesta sulla mafia di Ostia: Federica aveva intervistato e fatto riprendere dai suoi operatori con una telecamerina “a bottone”, l’allora capoclan Calogero(Mirko Frezza, capellone e odioso prepotente che spara un va’ fan culo ogni due parole). Il resto è cronaca: grazie al coraggio della Angeli e alla sua deposizione in tribunale, verranno arrestati 32 mafiosi, tutti detenuti con il 416 bis. Solo dopo che i delinquenti sono dietro le sbarre, la gente manifesta pro-Federica: tranne un giornalaio che si era ribellato.  Ad Ostia, l’omertà era uno status quo. La pelle era quella di Federica e, anche qui, nel film, sul finale un po’ troppo happy (la Angeli è tuttora sotto scorta…), non emerge la passata codardia un Municipio di quasi 300 persone. Comprensibile codardia, ma pur sempre tale.