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Ripley

2024
Titolo Originale:
Ripley
REGIA:
Steve Zaillian
CAST:
Andrew Scott (Tom Ripley)
Johnny Flynn (Dickie Greenleaf)
Dakota Fanning (Marge)

Il nostro giudizio

Ripley è una serie del 2024, creata da Steve Zaillian.

“Ogni essere umano contiene dentro di sé un terribile altro mondo, infernale e sconosciuto”, scriveva Patricia Highsmith nel suo taccuino nel 1942. Una frase che si adatta perfettamente al suo amorale antieroe Tom Ripley, che ritorna protagonista nella serie Netflix con l’interpretazione di Andrew Scott, reduce dal successo cinematografico di Estranei: sobrio, sorriso diabolico, Scott è perfetto in un ruolo che non mostra solo le sue sensazionali doti di attore ma anche il suo potenziale da eroe d’azione. Astuto e squattrinato truffatore della New York degli anni ’50 che, da uno squallido monolocale, si guadagna da vivere con esperte azioni fraudolente, il Ripley di Scott è un sociopatico che si esprime attraverso espressioni facciali. Particolarmente tipico è il suo lento battito di ciglia: Andrew Scott, maestro del battito di ciglia delicato.
Succede che poi, proprio mentre i suoi loschi affari stanno per essere smascherati, un ricchissimo armatore (Kenneth Lonergan, regista di Manchester by the Sea), gli offra, ricompensandolo molto lautamente, l’opportunità di andare a riprendere suo figlio, il viveur Dickie Greenleaf (Johnny Flynn, sguardo inespressivo da dieci e lode), in Italia per convincerlo a tornare negli Stati Uniti. Ripley non deve pensarci a lungo, anche se preferisce non dire a Herbert  Greenleaf, che lo crede storico amico di suo figlio,  che la sua conoscenza con Dickie si è limitata ad un fugace saluto, di cui probabilmente il dandy figlio dell’armatore non si ricorda più. Ma quando Ripley arriva in Italia e fa la conoscenza di  Dickie, qualcosa va storto, e Ripley, uomo di estrazione sociale bassa e poco avvezzo ai lussi e alle raffinatezze a cui Dickie lo introduce, oltre che trovare materialmente Dickie trova un nuovo se stesso, e sarà anche pronto ad uccidere affinché al neonato Ripley/Greenleaf non manchi nulla di tutto quello che forse sente gli era da sempre dovuto. Il talento di Mr. Ripley, thriller psicologico del 1955 di Patricia Highsmith e primo di una serie di cinque romanzi in cui l’autrice introduce la figura di Tom Ripley, è stato trasformato più volte in un film. Nel 1960 da René Clément con Delitto in pieno sole con Alain Delon nel ruolo principale, e nel 1999 da Anthony Minghella con Il talento di Mr Ripley con Matt Damon nel ruolo di Ripley. A differenza di quest’ultimo, che era colorato e vistoso, la serie racconta la storia lentamente e, grazie alle impostazioni di luci e suono, enfatizza la natura disturbata del suo protagonista. Oltre alle interpretazioni di Ripley di Delon e Damon, c’è stata quella di Denis Hopper in L’amico americano di Wim Wenders e nel 2002 , Il gioco di Ripley di Liliana Cavani, ha visto nel ruolo di Tom l’immenso John Malkovich che qui appare in un cameo ispirato a un personaggio presente negli ultimi romanzi della Highsmith, un deus ex machina che salverà in extremis il protagonista ormai alle strette, fornendogli dei salvifici falsi documenti che gli consentiranno una fuga indisturbata.

La miniserie Netflix di Steve Zaillian ci immerge più profondamente che mai nel mondo di Ripley in otto episodi finché non ci chiediamo: chi è in realtà l’impostore qui? Il truffatore molto intelligente proveniente da un ambiente povero che non ha mai avuto accesso all’arte e alle cose belle della vita, o il ricco e anaffetivo Dickie, che ha poco riguardo per i suoi privilegi e spreca i soldi di suo padre in Italia? Tom si rende presto conto di quanto invidi la vita spensierata di Dickie e cerca di emularla, in modo accurato, lento ed emozionante. Tuttavia, quando le liquidità inviate dal padre di Dickie, ormai sospettoso nei suoi confronti, finiscono, e anche Dickie vuole sbarazzarsi di lui, Ripley ricorre a misure più drastiche, trasformandosi nel giustiziere di tutti gli uomini di grande talento ignorati dalla società, che quando improvvisamente ottengono l’accesso alle cose belle della vita, percepiscono la rabbia che hanno dentro. Il premio Oscar Steve Zaillian ha scritto le sceneggiature di film classici come Schindler’s List di Steven Spielberg e Gangs of New York  di Martin Scorsese, diventando uno degli sceneggiatori più famosi di Hollywood. Il regista sembra prendere in prestito da tutti i grandi con cui ha lavorato, eppure alla fine si riconosce il suo stile grandioso. Dirige Ripley esclusivamente in bianco e nero, nello stile del genere noir, sostituendo la pellicola a colori Technicolor con l’austerità monocromatica. Una scelta insolita, visto che i paesaggi lussureggianti della Costiera Amalfitana, gli opulenti palazzi di Venezia e i dipinti di Caravaggio, genio assassino la cui vita affascinerà Ripley non poco, svolgono un ruolo essenziale nella serie, ma presto diventa chiaro che la mancanza di colore contribuisce a creare un certo disagio che non fa altro che aumentare la tensione. Zaillian non vuole presentare una versione da cartolina dell’Italia, neanche il libro, oscuro e inquietante, lo fa, e forse se la Highsmith avesse sognato di fare un film dal suo libro, lo avrebbe sicuramente fatto in bianco e nero. Zaillian si prende il suo tempo, assaporando l’atmosfera e le ambientazioni suggestive. Gli piace particolarmente la fase italiana di Ripley  e ci presenta un luogo che sembra in qualche modo ultraterreno, contrastante con il paesaggio armonioso della Costiera Amalfitana vista nei precedenti adattamenti cinematografici: non esistono le immagini estive e cangianti del Mediterraneo, solo rocce minacciose, nuvole scure, ombre cupe. La città costiera di Atrani sembra più malevola che pittoresca. Gli scatti in bianco e nero sono così artistici che si continuano ad ammirare le immagini quasi dimenticando che vi sarebbe anche una trama. La serie descrive dettagliatamente anche i viaggi da e verso l’Italia: viaggi in treno, viaggi in autobus, corse in taxi, attesa del prossimo mezzo di trasporto. Ciò continua anche per quanto riguarda i passaggi specifici che Ripley deve intraprendere per organizzare e poi mantenere la sua frode su larga scala: viaggi costanti agli sportelli di banche, uffici, società di carte di credito, società di noleggio barche, società di noleggio auto.

A livello visivo, Zaillian fa di tutto: gioca abilmente con luci e ombre, con il supporto eccezionale del geniale direttore della fotografia Roger Elswit (premio Oscar per Il Petroliere), che utilizzando prospettive inclinate, porta la bianca e idilliaca cittadina costiera di Atrani in un taglio quasi hitchcockiano, traducendo il famoso chiaroscuro dei dipinti di Caravaggio (che è oggetto di diversi episodi) e i contrasti chiaro-scuro spaziali della pittura rinascimentale in immagini di una bellezza mozzafiato e tuttavia deliberatamente ermetiche da film noir che evocano abissi oscuri e commentano la confusione di identificazione di Ripley in inquadrature speculari composte con precisione: sono ovunque, queste dure ombre di dannazione. Ciò che distingue maggiormente questa nuova variante di Ripley dalle precedenti è il design formale estremamente elegante. Qui, come nella sua miniserie poliziesca The Night Of, che vale la pena vedere, Zaillian, supportato da Elswit, veste il viaggio italiano di Ripley da Napoli a San Remo e da Roma a Venezia in un bianco e nero così lucido che non si sa mai se si sta guardando un sogno o un incubo turistico. Il cast è eccezionale, sia nei ruoli principali che in quelli secondari, come l’amica/fidanzata di Greenleaf Marge (Dakota Fanning), una mediocre scrittrice di viaggi. Marge è l’unica che diffida di Ripley fin dall’inizio. Quando entra in gioco l’ispettore di polizia italiano Ravini (adorabile Maurizio Lombardi, calato al massimo nel suo ruolo di commissario, già distintosi in serie di qualità tra cui The New Pope), Ripley diventa un emozionante gioco del gatto col topo in cui non siamo mai del tutto sicuri di chi sia il gatto e chi sia il topo, perché Tom Ripley nonostante la sua efferatezza non si lascia mai catalogare come un cattivo, piuttosto un antieroe per il quale il pubblico fa segretamente il tifo. La hit di Mina Il cielo in una stanza corre come un filo conduttore attraverso gli episodi della serie, mentre la sessualità repressa emerge qua e là. Tom Ripley viene letto come queer da Dickie  e dalla sua ragazza Marge, senza che il regista Zaillian ce ne mostri alcuna prova nemmeno una volta. Nello spettatore si insinua quindi anche il dubbio se il rifiuto di Dickie per i sentimenti di Tom, in qualsiasi modo si vogliano interpretare, sia causa del punto di non ritorno. Ripley gioca infatti a anche con le sfumature omoerotiche già presenti nei libri. Il protagonista è quasi ossessionato da Dickie, tuttavia non è chiaro se desidera lui o la vita che conduce, e sarà proprio questa mancanza di chiarezza la costante di questo show, che attraverso il chiaroscuro visivo mette in scena un’emblematica rappresentazione dei chiaroscuri dell’animo umano.