Movie Icons: la mostra
Gli oggetti dai set di Hollywood in mostra al Museo Internazionale del cinema di Torino - Incontro con Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo
Delle due precedenti mostre allestite al Museo del Cinema, prima quella dedicata in esclusiva a Dario Argento, poi la più personale di Tim Burton, se n’era parlato più dettagliatamente anche in questa sede. Sia Argento sia Burton, entrambi insigniti del premio Stella della Mole, che il Museo è solito conferire alle più rappresentative eccellenze del panorama cinematografico internazionale contemporaneo, erano stati in grado di mostrare grande apprezzamento per la suggestiva location del Museo (e come poteva essere altrimenti) e la modalità espositiva delle opere in mostra atte a celebrarne in modalità deferente i rispettivi lavori. A questi due eccezionali eventi – eccezionali in più di un senso – la nuova mostra Movie Icons si lega con una certa naturalezza, poiché anche stavolta sono i materiali di scena, gli stessi che compongono e rendono immortale il mondo di celluloide, a riconfermarsi protagonisti; quegli stessi oggetti, ancora, senza i quali un determinato film o una determinata saga (evitiamo di parlare più nello specifico di “serie”, per un momento), non avrebbero ottenuto lo stesso grado di apprezzamento o popolarità.
Come sarebbe, per esempio, un film come Profondo rosso, visto che ne abbiamo citato il regista, senza quella particolare cura e quel risalto conferito ai vari feticci dell’assassino, oppure a oggetti quali l’inquietante pupazzo ideato dal maestro Carlo Rambaldi, che come sappiamo introduce l’efferato omicidio del Professor Giordani? E cosa sarebbe l’universo fantascientifico creato da George Lucas per Star Wars, spostandoci su lidi visivi decisamente diversi da quelli argentiani, senza l’apparizione della “ligthsaber”, l’iconica arma a laser usata nella saga? La citazione di questo specifico oggetto ha qui un senso particolarmente marcato, dato che – sorprendentemente, diremmo – se ne può visionare un prestigioso reperto proprio qui al Museo del Cinema, percorrendone la rampa lungo la quale sono esposte le tante e prestigiose opere di Movie Icons. Un corpus di materiale che si confà ai gusti di un pubblico ampio e variegato, in particolare per chi predilige il cinema fantastico-avventuroso e le scene di azione più spettacolari. Volendo partire dai supereroi, si va dal costume di Superman del 1978 (indossato da Christopher Reeve) alle vesti dello Spiderman di Sam Raimi e del Batman di Joel Schumacher (e non solo). Dal guanto di Robert Englund in Nightmare 6, alla bacchetta magica di Harry Potter. Dal piccolo squalo usato in scene di simulazione nello Squalo 4, al modello di Mohawk di Gremlins 2. E ancora: dallo stop motion puppet di Pennywise (IT), alle pistole stunt impugnate da John Travolta e Samuel L. Jackson sul set di Pulp Fiction. Dal teschio del T-700 di Terminator 2 al costume da extraterrestre impiegato da Spielberg (e ideato, tra l’altro, dal già citato Rambaldi), nel capolavoro a tematica ufologica Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo.
E dunque chi, meglio di Dante Ferretti e della compagna di vita e di lavoro Francesca Lo Schiavo, potrebbe doverosamente rimarcare l’importanza che riveste da sempre, nel cinema, l’oggetto di scena. Intervenendo come ospiti alla preview della mostra presso l’Aula del Tempio del Museo, i due membri della coppia Premio Oscar hanno regalato più di un sorriso ai presenti (in larga misura minori, stavolta, rispetto al precedente incontro con Burton), raccontando con piglio comico, particolarmente il Ferretti, a proposito del loro rapporto artistico, definito “alchemico” dalla Lo Schiavo, da cui le collaborazioni con i grandi registi, in special modo Martin Scorsese. Dopo aver messo in chiaro di preferire un’ipotetica “Deficienza Artificiale” alla sempre più invasiva AI, ponendo in risalto il fatto che, in buona sostanza, l’essere umano deve poter sbagliare per migliorarsi e continuare a essere creativo, Ferretti ha ricordato i suoi toccanti inizi con Pier Paolo Pasolini e il Vangelo Secondo Matteo, citando quindi i sei film fatti insieme a Fellini, passando per Il Nome della Rosa (di Jean-Jacques Annaude) e Le Avventure del Barone di Munchausen (Terry Gilliam), il tutto come preludio al suo successo internazionale. Ferretti ci ha però tenuto a precisare che ogni film è in sé speciale e merita di essere curato nel dettaglio e secondo il proprio gusto visivo, che si tratti di storie realistiche o con un impianto più surreale.
Il senso più profondo di questa mostra – un bilancio della preview
Movie Icons è in sé una stratificazione di racconti: dalla semplice memoria del film e della sua storia fino al backstage e alle diverse professioni del cinema. Non è, tuttavia, un più semplice censimento di memorabilia, quanto più un viaggio tra le opere, ognuna delle quali, particolarmente in riferimento ai costumi, reca in sé una precisa ricerca artistica (tutti i pezzi esposti provengono sia dalle collezioni del Museo del Cinema, sia dalla collezione di props del co-curatore Luca Cableri, direttore della Galleria Theatrum Mundi). Qualcosa che, in un mondo odierno sempre più malato e immateriale, ci riporta alla purezza e alla bellezza di ciò che è tangibile, di ciò che, prodotto da mani e cervelli umani, continua a trasmettere emozioni e significato a distanza di tempo.