Under Paris
2024
Under Paris è un film del 2024 diretto da Xavier Gens.
A Parigi La morte corre sul fiume ma, nonostante ben altri echi, stavolta non porta la firma di un pezzo da novanta come Charles Laughton. Si perché, strano ma vero, dietro ad un titoletto apparentemente usa e getta come Under Paris si cela nientemeno che quel laido buontempone di Xavier Gens. Esatto amici, proprio lui: l’ormai ex enfant prodige del grandguignolesco cinema d’oltralpe, capace a suo tempo di sfondare a testa alta la brulicante french horror wave d’inizio Millennio con un sanguigno e sanguinolento gioiellino come Frontiers, prima di vendersi anima, corpo e cinepresa a marchettoni videoludici (Hitman – L’assassino), claustrofobici post-apocalittici low budget (The Divide) e possession movie di dubbissimo valore (Crucifixion). E così, dopo aver mestamente risollevato il pacioso grugno grazie ad un suggestivo esperimento deltoriano – e in parte alquanto lovecraftiano – come Cold Skin, anche il nostro compagnone di Dunkerque non ha potuto resistere al sirenico richiamo del netflixiano algoritmo, imbarcandosi in un curioso progettino le cui premesse paiono, così d’emblée, suscettibili di parecchie grattatine di capo. Se già, infatti, il connazionale Alexandre Aja aveva provveduto qualche annetto addietro a ripescare dai putridi stagni della serie B la mitica figura dell’alligatore assassino, nel men che mediocre tentativo di conferirgli una minima scorza di serietà attraverso l’ansiogeno Crawl – intrappolati, il buon Gens ha scelto di cavalcare stavolta l’onda lunga e ormai piatta di una SharMania sempre più imperante, prendendo di peso un incipit in purissimo Asylum style e, forte di un certo innegabile mestiere e di un più che discreto numero di baiocchi in saccoccia, confezionare un prodotto di puro e semplice intrattenimento; voglioso come non mai di prendersi dannatamente e, forse, un po’ troppo convintamente sul serio.
Il risultato? Beh, tenetevi forte gente, perché, in piena aderenza all’elementare schiettezza del proprio titolo, Under Paris ci narra nientemeno che di una sporca, brutta e cattiva squalona mako che, causa immancabile patatrac genetico gentilmente offerto dal cambiamento climatico e dalle mille schifezze riversate in fondo al mar, dopo essere lievitata come una torta Paradiso ed essersi convertita alle meraviglie dell’acqua dolce, ha ben pensato di seminare morte e distruzione fra i fluviali anfratti della capitale francese; giusto in tempo per l’apertura di un fittizio ed affollato Campionato Mondiale di Triathlon sulla Senna che tanti occhietti strizza alle imminenti francofone Olimpiadi. Toccherà dunque all’impavida scienziata Sophia (Bérénice Bejo) superare l’ancora fresco trauma di un precedente incontro muso a muso con il gargantuesco zannuto Moby Dick e, come una novella Capitana Achab, supportata dal bel tenente della polizia fluviale Adil (Nassim Lyes) tentare di abbattere la propria pinnata nemesi prima che il tutto sfoci in un più che mai letterale bagno di sangue. Si perché, la netto di una CGI il più delle volte ben al di spora del minimo livello della decenza richiesta per un prodotto del genere, Under Paris è un film orgogliosamente ma, alla lunga, forse stucchevolmente elementare; onestamente capace di mantenere ciò che promette a discapito di un livello di coraggio e di spargimento emoglobinico insolitamente basso sia per gli standard della categoria sia, a dirla tutta, pure per lo stesso Gens.
Mutuando, infatti, gran parte degli ormai iconici cliché narrativi codificati dal mitico capostipite spielberghiano – tra cui autorità cieche e sorde al un più che palese memento mori offerto da sibilline pinne a pelo d’acqua e un gruppo di solitari eroi destinati a tamponare alla bell’è meglio l’immancabile fuggi-fuggi a bordo darsena –, uno Xavier diligentissimo ma alquanto anonimo – e, come se non bastasse, pure impegolato in presunte accuse di plagio – sceglie di imbevere la sua filmica creatura di un sotto testo ecologista che, tanto in nuce quanto in un inaspettatamente coraggioso e catarticamente apocalittico finale scevro dai refluivi del solito accomodante happy ending, sembra in più occasione voler ribaltare le carte di una tavola ormai da tempo pregna delle follie in zona retrocessione dei vari Sharknado, delle smargiassate testosteroniche di The Meg e, più recentemente, pure dell’eco-esoteric-vengeance di The Black Demon. Un film schizofrenico, insomma: indeciso su quale affluente percorrere tra la pura disimpegnata violenza e, di contro, un ben più “impegnato” messaggio che qualche goccia di consapevole e autoironico trash avrebbero forse contribuito a rendere meno fine a sé stesso. Ma in fin dei conti che cos’è, dunque, Under Paris? Beh, né più né meno di un godibile seppur anemico divertissement estivo da pop corn e aria condizionata, nel quale un molesto pescione con la medesima distruttiva cazzimma di King Kong ed obrobriosamente mutato quanto il rettiliano cuginetto Godzilla, fregandosene altamente delle pur buone intenzioni dei giovani sprovveduti seguaci dell’astiosa Greta Thunberg si prepara a dedicarsi a ciò che meglio gli riesce: sbranare ed ingollare umane frattaglie come se non ci fosse un domani. Si perché, se è pur vero che nel 2024 il mostro di turno più che accopparlo di santa ragione tocca ricacciarlo gentilmente nel proprio habitat naturale, quando il gioco si fa duro anche il duro Jaws della Senna torna più che volentieri a giocare al ritmo della Marsigliese.