I Free Spirits di Fabius De Vivo
Il talentuoso attore (ora anche regista) si racconta: dal set di Juliette Binoche, alla passione per la Nouvelle Vague
Fabius De Vivo, giovane attore rivelazione del film di Marco Pollini, La grande guerra del Salento, ha appena finito di realizzare (come interprete regista e produttore) un corto dal titolo Free Spirits, selezionato su oltre cinquecento progetti per il prestigioso contest internazionale Inside our Soho House Shorts, promosso da Campari e da Soho House. Sono circa cinque, folgoranti minuti, in cui un ragazzo e una ragazza, Nicolas e Julia, nel bel mezzo di un elegantissimo party, si rendono improvvisamente conto di poter agire a loro piacimento in una dimensione dove tutti gli altri presenti appaiono immobilizzati e “ghiacciati”. Il che li porta a dare libero sfogo alle pulsioni più vere e ai più genuini istinti, in un mondo in bianco e nero, cristallizzato e fatto di statue…
Free Spirits, ovvero spiriti liberi… Come libertà di essere se stessi fino in fondo…
Tutta l’idea di Free Spirits è nata dalla riflessione su come percepiamo il tempo e su come le aspettative della società ci influenzano nel nostro essere liberi, nella quotidianità. Volevo cercare di trasmettere che cosa significasse vivere senza quei vincoli e quei limiti che di solito ci auto-imponiamo. E sono soddisfatto, del risultato, veramente molto soddisfatto.
Qual è stata la filiera, nascita e realizzazione di Free Spirits?
Diciamo che l’opera è stata veramente complessa nella sua realizzazione, perché io, di base, ho voluto partecipare a questo contest, che si sta facendo ormai da cinque anni, credo…
Organizzato da Campari…
Da Campari e da Soho House. Tutti i membri, filmmakers, registi della Soho House avevano la possibilità di partecipare al contest. Sapendo che alcuni lavori erano arrivati al Tribeca Film Festival e al Festival di Cannes, negli anni precedenti, mi è venuta questa idea: ho pensato a quanto, per me, fosse importante smettere di porsi dei limiti, e quindi vivere con autenticità, con passione, liberarsi dai costrutti della società. E quindi mi sono detto: “Io provo a inviare questo script e vedo che cosa succede”. Ma non avevo aspettative e non immaginavo, nella filiera produttiva, che tutto dovesse essere esattamente realizzato da me. Quello che sapevo, era che c’era una giuria incredibile, con alcuni membri degli Oscar, e che c’era Andrew Haigh, il regista di All of Us Strangers, un film che avevo visto di recente e apprezzato tantissimo e che mi ha toccato molto. E quindi l’ho considerata come una grande opportunità attoriale. Perché io, di base, sono un attore e un attore voglio essere. In quel momento – ti dirò – non mi sono spaventato che fosse un contest internazionale, perché di recente ho girato un film in Grecia, con Juliette Binoche, The Return. Una fortuna immensa è stata per me girare questo film con la regia di Uberto Pasolini, del quale aveva amato Full Monty e Still Life, ma anche, in particolare, Nowhere Special, l’ultimo suo film sulla storia d’amore tra un genitore e un figlio. The Return racconta il mito classico del ritorno di Odisseo a Itaca e io sono Euriade, uno dei Proci pretendenti alla mano di Penelope. Devo dirti che quando il mio agente mi ha proposto di fare il provino, ci sono andato senza alcun tipo di aspettativa, ho fatto il primo, il secondo, il terzo provino e poi alla fine mi hanno preso. Ho un ruolo secondario, ma ho avuto la fortuna di recitare sia con Juliette Binoche sia con Ralph Fiennes. Ed è stato incredibile girare nel Peloponneso, dove ho avuto modo di mettermi in discussione a 360°. Sono cresciuto proprio con Harry Potter, quindi Voldemort per me era un mito, un miraggio (ride). Vedere come Fiennes si approcciava alla recitazione, era pazzesco: recitava con ogni parte del corpo e, soprattutto, in ogni momento: non si è mai fermato. Era ineccepibile come interpretazione. E ricordo un gesto bellissimo di Juliette Binoche, che fa capire la sua grandezza, nella sua umiltà: eravamo in pausa sul set e stavo leggendo un libro; lei viene da me e mi dice, in italiano: “Buongiorno!”. Alzo lo sguardo e lei “Je suis Juliette…”. Io, senza parole: lei si presenta a me, che sono il nulla in quel momento! Ero estasiato. Ho potuto anche appurare il suo talento di attrice, il modo in cui, a differenza di Ralph, lei si approccia al testo, con una spensieratezza in più. Era molto giocosa, tra un ciak e l’altro. Aveva una scena in cui doveva piangere le migliori lacrime e poi, dopo due secondi, allo stop, sorrideva. Davvero incredibile… Ne ho anche un altro di film in uscita, che si intitola Rumore, in cui sono uno dei protagonisti ed è un’opera prima di Nicola Telesca.
Free Spirits lo hai scritto rispettando dei paletti, dei vincoli che erano stati posti nel contest? Intendo come durata, trattandosi di uno short…
Sì, c’erano tantissimi paletti e infatti la difficoltà più grande di tutto il progetto è stata conciliare la mia idea artistica e le esigenze del contest. Dovevo realizzare tutto nell’arco di cinque minuti, titoli compresi. Non era facile. Poi, dovevo curare la regia e per me era la prima volta, nonché tutta la parte di produzione, addirittura. Perché sono stato anche il produttore di questo corto. Quindi, è stato un privilegio ma anche una grande responsabilità. Prima di realizzare Free Spirits, ho avuto la possibilità di presentare il progetto a Cannes, perché i tre vincitori di questo contest, l’Inside our Soho House Shorts, su circa 500 nel mondo, che eravamo io, una regista inglese e uno francese, avevano questa opportunità, nell’ambito di un evento speciale, di fronte a una platea gremita di persone.
Quando lo hai girato Free Spirits?
Di recente, ho finito tre settimane fa. Lo abbiamo girato alla Soho House, che è proprio l’apoteosi dell’eleganza, della raffinatezza, ed è una location scelta scientemente: in parte scelta obbligata perché si trattava del cofinanziatore del contest, ma era una location perfetta: nella mia visione di questa storia c’erano, infatti, due solitudini che si trovavano a vivere all’unisono una libertà all’interno di un contesto in cui di solito si tende un po’ ad avere una certa allure, in un ambiente un po’ patinato…
C’è questa bella idea che tutto si ghiacci all’improvviso e che i due personaggi si liberino dalle convenzioni e dalle sovrastrutture…
Esattamente. Il concept ha preso poi sempre più forma mentre stavo portando avanti la sceneggiatura. L’idea di base per me era riuscire a fare comprendere come ogni istante potesse essere eterno. Oggi sfuggiamo dal tempo, perché tutto è molto veloce, tutto passa con una velocità estrema. Volevo permettere ai due personaggi protagonisti di esplorare questa libertà, senza preoccuparsi del tempo. Loro fanno cose tipo mangiare con le mani gli spaghetti, che non è qualcosa di estremo dato dall’ubriacatura, visto che hanno bevuto solo un sorso di Negroni. Lo fanno perché hanno la possibilità di tornare a uno stato “primordiale”, non essendo più influenzati dal tempo né dalle persone, che intorno a loro appaiono “congelate”. Per cui non hanno niente da perdere: possono liberarsi, sbottonarsi, possono smetterla di “darsi un tono”. Volevo trasmettere in Free Spirits il mio amore la Nouvelle Vague, che ha influenzato da sempre, completamente, la mia visione del cinema. E devo dirti che il “fuoco” della mia recitazione è nato quando ho visto per la prima volta Fino all’ultimo respiro. À bout de souffle è stavo davvero uno start per me. E per questo ho inserito nel mio corto il gesto di Belmondo che poi fa anche Jean Seberg alla fine del film di Godard, proprio come tributo a questa libertà espressiva, all’innovazione. Quella è stata una corrente cinematografica davvero innovativa e rivoluzionaria e per me è stata il viatico per decidere di fare l’attore.
Hai avuto, e lo si vede, un cast tecnico di supporto, a baluardo dell’operazione…
Sì, certo, io mi sono affidato a un grandissimo direttore della fotografia che è Davide Manca, al quale ho detto che volevo che si percepisse proprio l’idea della Nouvelle Vague e il risultato nella parte in bianco e nero è proprio da Nouvelle Vague. E poi c’è stata Miriam Gagino, la coprotagonista con me in Free Spirits, che è anche una bravissima autrice e il suo punto di vista è stato significativo. Quando eravamo sul set, avendo appunto interpretato il ruolo di Julia, lei mi ha aiutato a veicolare il messaggio che volevo trasmettere. Quindi, anche dal punto di vista dell’acting, è riuscita ad entrare in quel flusso di disinibizione che era necessario per far immergere lo spettatore in questi momenti endless, senza tempo, in cui non c’era nulla che avesse un peso se non la libertà.
Come hai affrontato la sfida della regia? C’era anche questo da affrontare…
Sì, era la mia prima volta. Onestamente, ti dico che la regia non è mai stata nei miei sogni. Anche ad oggi, dopo avere realizzato Free Spirits Chiaramente, sono una persona desiderosa di mettersi in discussione, però quando apro gli occhi la mattina, ho sempre e solo un pensiero: la recitazione.
Però ti sei difeso benissimo alla regia, al di là del fatto che avessi un bravo dop…
Sono stato sempre in apprendimento, sul set, però mantenendo un approccio molto ligio, molto responsabile, perché, chiaramente, chiunque avesse un problema veniva da me. Ero anche il produttore, per cui, dalla comparsa all’assistente di produzione eccetera, tutti quelli che avevano un problema venivano da me. Quindi dovevo sempre mantenere una lucidità costante. Da attore, sono abituato ad andare sul set, mi danno l’azione, io recito e finisce lì. Mi ha aiuto, quindi, molto una cosa alla quale all’inizio non davo molta importanza ma che invece è stata fondamentale, cioè gli storyboards, che sono stati curati da Aldo Iuliano, che stimo molto anche come regista. Lui ha anche supervisionato un po’ il tutto quando io ero in scena come attore e mi ha aiutato in questo senso, mentre ero impegnato e concentrato a dare intensità al mio personaggio di Nicholas. Quindi, credo che la vittoria di questo progetto, sia stata proprio mettere in piedi questo team. Che era pieno di giovani, perché ho coinvolto anche tantissime persone della DAM Academy, ragazzi che avevano proprio voglia di fare cinema. Non avevo dubbi, perché sapevo che sarebbe venuto un piccolo, grande gioiello. E non poteva essere diversamente, per le persone che ho scelto e per la loro passione.
Ora quale sarà il cammino di Free Spirits?
Adesso ci sarà il percorso dei festival e poi cominceremo la distribuzione, prima di tutto attraverso Campari che utilizzerà lo short per i suoi fini di promozione. Ci stiamo anche muovendo per creare un evento speciale durante il Festival di Venezia. Più avanti ci saranno le piattaforme. Ho già contatti da parte di referenti importanti, ma ancora è prematuro dirlo. Quindi, nonostante sia molto fresco il prodotto, sto già avendo dei bellissimi riscontri. Permettimi, infine, di ringraziare due persone, che sono, intanto, la mia acting coach Aurin Proietti, che ci ha aiutato a costruire i due personaggi, perché ci ha fatto immergere in una dimensione animalesca: io mi sono messo un po’ nei panni di un’aquila, pensa, e abbiamo fatto un lavoro molto intenso, affinché potessimo ritornare a uno stato primordiale, in cui non ci fosse il vincolo del vivere sociale. E poi voglio citare la casting director, Flavia Toti Lombardozzi, che mi ha aiutato a scegliere anche Candy, cioè Julia Emilia Granath, la ragazza che interrompe la magia che si è creata, in un modo anche abbastanza “aggressivo”, perché l’idea era proprio quella dire “back to reality!”: “Tornate alla realtà, svegliatevi…”.