Astrid’s Saints
2024
Astrid’s Saints è un film del 2024, diretto da Mariano Baino
Esiste, dunque, ancora la possibilità di concepire e realizzare un “film-mente”, ovvero un racconto che si incarcera e allo stesso tempo si allarga e si apre, dentro uno spazio che appare fisicamente limitato & simbolico e fuori da esso, volando sui vettori di una memoria lacerante e martoriante, lungo quei tragitti infiniti che solo il dolore è in grado di dischiudere? A giudicare dal nuovo film di Mariano Baino, la risposta è affermativa: è ancora possibile strutturare una storia a più livelli, in cui concreto e astratto si compenetrano a formare il miracolo di una cosa sola: ad perpetranda miracula rei unius. In Astrid’s Saints il luogo circoscritto, angusto, soffocante che si apre a tragitti dentro un labirinto interiore, altrettanto infinito e cieco, è una sorta di casa-grotta, stipata di oggetti e di “segni”. Un andito-mente, appunto, in cui una donna, Coralina Cataldi Tassoni, si dibatte alla ricerca di un tempo e di un figlio perduti. Ascetica nell’aspetto, capelli cortissimi, una tunica grezza come veste, eremita & penitente & mistica, questa Astrid vaga per il “mondo piccolo” che la circonda, la gabbia in cui si è ridotta, fuori dalla quale parrebbe dominare il Nulla.
Il film comincia e finisce su Astrid, è saturo fino all’orlo di quel che la donna compie: ogni azione, ogni gesto, ogni fremito sparano in un “altrove” che vibra potentemente di un’assenza presente e incombente. I “Santi” evocati dal titolo e che scandiscono, con sovraimpressioni dei nomi al martirologio, il trascorrere dei giorni, sono tracce e figure disegnate, ovunque ricorrenti nel meandro-casa e nei luoghi viciniori. Ma restano numi silenziosi, enigmatici al pari di tutti gli altri oggetti sui quali la macchina da presa di Baino si fissa e indugia, frammenti interrogativi di un mosaico sparpagliato e ormai impossibile da ricomporre. La “forma” dai colori caldi e vorrei dire flammei, nel senso di un lucore giallo dominante, di candela, opposta ad una sostanza di sembiante plumbeo, mi pare che crei una bella equazione rispetto a ciò che Baino ci andò mostrando nel suo lungometraggio Dark Waters, trentuno anni fa.
La resa della protagonista (alla quale appartiene anche la sceneggiatura: e non potrebbe che essere così, tanto è forgiata su di sé) appare di tale intensità e ferocia, corporea, istintuale ed emozionale, da annichilire. Perché diventa espressione di qualcosa che straborda “dallo specifico filmico”, per così dire, e si fa un universale: sta dentro a questa storia ma tocca e sollecita la risonanza in chiunque si ritrovi attorniato e bloccato tra i sedimenti del Dolore. Spinoso e carezzevole, irto e diretto, iperrealista e visionario, Astrid’s Saints viaggia e trova una propria dimensione specifica su tali opposti. Certamente non si propone come cinema per tutti, ma a tutti finisce per regalare, inevitabilmente, qualcosa di prezioso. Se fa comodo parlare di “horror”, accomodarsi, prego, le etichette magari una remota funzione ce l’hanno, ma a noi pare che il baricentro di un’opera del genere sia al di fuori di colori, odori e categorie cinematografiche consuete, e tolleri, obtorto collo, al massimo, paragoni con esperimenti e avanguardie dei tempi che furono.