La sanguisuga conduce la danza

Così belle, così nude, così sole: il feuilleuton-horror di Alfredo Rizzo

Dal 25 novembre del 1974 cominciava la lavorazione del secondo film di Alfredo Rizzo, che quattro mesi prima aveva esordito dietro la macchina da presa come regista, dopo una vita passata a calcare i palcoscenici dell’avanspettacolo, della rivista e i set cinematografici, da quel formidabile e mercuriale attore brillante che era stato. Rizzo aveva, dunque, appena diretto Carnalità, dal giugno del ‘71, una specie di giallo familiare che non faceva nulla per mascherare la propria natura primaria di film erotico e che era stato girato alla fonte, da Rizzo stesso, con corroborazioni non solo sexy-spinte ma già pornografiche e che come tale venne distribuito sul mercato francese, con il titolo Obsessions Charnelles, dal giugno del 1975. Questa pellicola a seguire aderiva alla medesima filosofia, partendo da uno spunto crepuscolare, per infarcire il racconto di sesso, ugualmente spinto oltre il confine della luce rossa. In origine, il titolo era Così belle, così nude, così sole e Rizzo ne aveva scritto sia il soggetto sia la sceneggiatura, immaginandoselo come una sorta di feuilleuton sconcio. E difatti la struttura occhieggia molto più a quei mélo in costume che tra il 1973 e il 1974 erano sugli scudi nel cinema italiano (tipo La sepolta viva e analoghi), di quanto non faccia con il genere horror o gotico. Tant’è vero che sangue & affini sono pressoché assenti e i tre omicidi per decapitazione che animano l’intrigo, restano fuori scena e se vedono solo le conseguenze (risolte con le teste vere delle vittime, camuffate ad arte). La PAB che curò la distribuzione del film nelle sale preferì venderselo con l’appeal del truce, titolandolo La sanguisuga conduce la danza (bel titolo, tra l’altro, che orecchiava quelli zoologici usuali nell’italico thriller), mentre i francesi, con maggior aderenza al midollo vero della storia, preferirono L’insatiable Samatnha. Rizzo si produceva con la TO.RO. (da “Torino Roma”, perché il socio di Rizzo era torinese), la stessa società di Carnalità, con un intervento produttivo in appoggio da parte di Giuseppe Zappulla, imprenditore siculo-milanese che intervenne con qualche decina di milioni a che il film si potesse concludere – e la sua fidanzata di allora, Susy Ferrara, fu cooptata nel cast con il nome d’arte, ai generici iniziali, Susette Nadalutti.

Krista Nell, Halina Kim, Marzia Damon, Giacomo Rossi Stuart, Patrizia De Rossi

La storia ha luogo nel 1902, in Irlanda. Il conte Mrnak (Giacomo Russi Stuart) si presenta a una compagnia di artisti che stanno smontando il loro spettacolo in un piccolo teatro, e in particolare alla primadonna Evelin (Patrizia De Rossi) dalla quale si dice affascinato e che vorrebbe invitare presso il proprio castello. Complimentata e lusingata, la donna accetta ma un’altra attrice della compagnia, l’esuberante e fringuellante Cora (Krista Nell), ci si infila e insieme a lei anche il trovarobe Samuel (il simpatico Leo Valeriano, un remissivo, innamorato perso di Cora che lei non si calcola) nonché una coppia di lesbiche, Rosalind e Penny, artiste nello spettacolo (la prima è Caterina Chiani alias Marzia Damony sui manifesti, cioè con il nome che si era imposta dopo Byleth, l’altra è la nera Halina Kim, spesso italianizzatasi in Lidia Olizzi, che aveva appena girato come coprotagonista Zelda di Alberto Cavallone). Viene subito da dire che Rizzo metta in scena questo ambiente di piccoli teatranti echeggiando quel mondo che era stato per tanto tempo il suo (il fratello Carlo Rizzo compare per un attimo tra coloro che armeggiano sul palco, smontando gli allestimenti) e con pochi tratti dà subito il polso dei tipi umani, specie di Cora, svampita e infoiata, di Samuel e delle due lesbiche che costui vede amoreggiare, lingue in bocca, su un divano. Dunque, il conte e i suoi ospiti raggiungono su una barchetta l’isola su cui si trova il suo castello, che dall’esterno è Balsorano mentre all’interno è quello di Monte San Giovanni Campano, nel frusinate, stessa locazione usata anche in Nuda per Satana. Il tenore è tutt’altro che cupo, anzi si direbbe che ci troviamo in un contesto da commedia, e per via delle battute brillanti e per via dei personaggi che, una volta nel maniero, incontriamo: a cominciare da un maggiordomo, Jeffer, interpretato da Mario De Rosa, rigido e bigotto, contro il quale si appuntano subito i lazzi di Cora, vieppiù senza freni, dietro alla quale scodizola il povero Samuel. Il conte non ha occhi che per Evelin, che è invece subito vista come fumo in faccia dalla governante Sibilla, Femi Benussi, lei pure austera e tagliente. Si aggiungono alla conta due camerierine, Barbara Marzano e la Nadalutti citata, Myrian e Carol, e il giardinere Grigor (Luciano Pigozzi, come Alan Collins), che subito punta con concupiscenza le due lesbiche che tubano mano nella mano.

Marzia Damon, Halina Kim

Dovendo cominciare a introdurre un po’ di mistero, ecco che nella stanza riservata a Evelin, c’è una foto che ritrae una donna che le somiglia come una goccia d’acqua, ma con i capelli scuri, mentre la Webley è bionda: e alla stessa Evelin il conte rende ragione dettagliata di questo particolare, spiegando che quella nella foto era sua moglie, scomparsa nel nulla tempo prima e che quella stanza da allora è rimasta vuota, come la sua vita. Sui Mrnak, da tre generazioni, ha spiegato Rossi Stuart durante la cena di quella sera, incombe un sinistro ricorrere di eventi: il nonno aveva sposato una cantante che lo aveva cornificato con il medico del villaggio ma, scopertala in flagrante adulterio, aveva decapitato la consorte con un kriss malese, prima di gettarsi da una rupe. Idem sarebbe accaduto con la madre del conte, sorpresa dal marito tra le braccia di un pastore protestante e anch’essa decollata col kriss (che ora è appeso tra una panoplia di altre armi, nel salone del castello), con suicidio del padre a seguire, dopo che la donna aveva dato alla luce un figlio, appunto il qui presente conte Mrnak. Tutto continua ad essere molto leggero e per come Rossi Stuart lo racconta (scherzando anche sul dubbio di poter essere figlio delle corna e non nobile) e per i risolini di Cora a commento. Il registro di Rizzo, questo è, questa è la sua comfort zone, altro che gotico! Così come appartiene alla sua sana erotomania quel che accade la prima notte al castello: Myriam va a portare dell’acqua alle due lesbiche e le trova a letto ad amoreggiare: qualche bacio sotto le lenzuola, nella versione italiana, che diventano quattro minuti di amplesso nella french version, dove la Damon e la Olizzi si scambiano effusioni e toccamenti molto spinti e dove si innestano anche dettagli hard core girati, però, con dei doppi. Quel che è certo è che si tratta, per la maggior parte, di materiali filmati da Rizzo stesso alla fonte, secondo la testimonianza di chi era presente sul set, con il dubbio che qualche cosina sia stata aggiunta oltre la linea Maginot del porno anche dai francesi, quando approntarono la loro versione a cura di André Chelossi (fisso nell’entourage di Jean Marie Pallardy) e con i dialoghi adattati da Yvon Gerauld.

Barbara Marzano, Susette Nadalutti

Grigor spia lo spettacolo dalla finestra e, scaldato ed eccitato, si porta in camera di Sibilla, con la quale ha una tresca e che coinvolge, sebbene lei sia recalcitrante all’inizio, in un rapporto sessuale, anche in questo caso solo mediamente spinto nella copia italiana, diventando a luce rossa, avec penetration, in quella francese. Intanto, quando la camerierina torna in camera e racconta all’amica quello che ha visto tra la Damon e la Olizzi, il regista coglie il destro per denudare le monumentali tette della Marzano e per farle palpare dall’altra ragazza, a saggiarne morbidezza e consistenza, ma la cosa si arresta lì. La mattina successiva, mentre il conte e Evelin vanno a farsi una passeggiata romantica in riva al mare (che è in realtà il lago di Bolsena), Cora, in cerca di qualcuno che spenga i suoi bollori, giunge nella capanna di un pescatore, Mike Monty, e nel giro di tre secondi sono una addosso all’altro, in un’ulteriore lunga sequenza erotica farcita di hard-core. Che Monty non sia controfigurato mentre possiede la partner nei dettagli pornografici, è altamente possibile, visto che a tali cimenti l’attore americano (nato Michael O’Donoghue a Chattanooga, nel 1936) si sarebbe altrimenti e volentieri prestato (un titolo per tutti Clitò, petalo del sesso, di Jean Marie Pallardy). Il fatto che vengano sorpresi dall’arrivo di Margareth (Rita Silva), la zia di Monty, non li distoglie punto dall’amplesso, al termine del quale la Nell, soddisfatta e canticchiante, se ne va, e Monty si trova davanti Grigor, che è assai inverosimilmente suo padre e che lo prende a schiaffi, perché, gli dice, non deve immischiarsi con i castellani, gente ricca e dissoluta, mentre loro saranno pure poveri ma coltivano l’onestà. L’amore per il melò di Rizzo, l’altra faccia del film insieme all’eros, qui si esplicita nel dialogo tra Monty, doppiato da Vittorio Mezzogiorno, Pigozzi e la Silva, che interviene pure lei, rampognando il fratello che fa il puro e virtuoso, ma coltiva una passione per Sibilla, la quale apertamente lo disprezza e lo schifa. E qui è memorabile l’espressione da cane bastonato che assume Pigozzi andandosene a testa bassa, commentata dall’attacco della musica dai toni finanche larmoyants di Marcello Giombini.

Scena hard nella capanna con Mike Monty

A quasi un’ora di film, niente di anche solo vagamente orrorifico si è ancora verificato e quello che avrebbe dovuto essere un sinistro e minaccioso scambio di battute tra il maggiordomo e Sibilla, che vituperavano i licenziosi costumi delle ospiti, si era risolto in una performance macchiettistica di De Rosa, con toni calcati da maniaco religioso. E non è che attore e regista la facessero fuori dall’orinale, è che Rizzo voleva proprio che il tenore fosse questo. Quando avrebbe cercato il tragico e il drammatico cupo (ad esempio in Suggestionata), lo avrebbe ottenuto precisamente, quindi l’idea che nella Sanguisuga il “ridicolo” venga fuori in modo involontario, la lasciamo all’ingenuità degli esegeti. Può piacere o meno, ma questo era Rizzo. Con degli stock-shot in bianco e nero di un mare in burrasca, è introdotto l’isolamento del luogo teatro degli eventi. Cora torna soddisfatta e allegra dalla scopata, e il conte con Evelin, al colmo dell’idillio, si apprestano a passare tra le lenzuola per una sequenza di sesso che, al pari delle precedenti, è montata con aggiunte porno (penetrazioni e masturbazione del maschio, con eiaculazione). Apriamo una parentesi a proposito di un mistero dei crediti iniziali, dove tra i nomi del cast appare quello di una Pier Paola Succi, che nessuno si è mai posto il problema di chi sia nel film, anche se non può essere nessuno, perché tutti i ruoli femminili sono individuati e non avanzano né comparse né figuranti. Neppure può trattarsi di una CSC, aggiunta per motivi burocratici. Un’ipotesi suggestiva potrebbe essere che tale Succi sia stata usata come body-double per le scene ultra-spinte e sarebbe un caso più unico che raro nella storia del bis. Un nome del genere altrove non ricorre in cinema e l’unica Pier Paola Succi di cui si abbia notizia in Italia è legata a un tragico fatto di cronaca, l’abbattimento del Dc9 presso Ustica, nel 1980, tra le cui vittime vi era anche la giovane figlia di una Pier Paola Succi. Probabilmente un’omonimia.

Patrizia De Rossi

Mentre Rossi Stuart e la De Rossi si accoppiano furiosamente e De Rosa eleva una comica preghiera all’arcangelo Michele perché si faccia vindice dei peccatori e dei viziosi, fiocca una morte, quella di Krista Nell, nella cui testa tagliata incappa la Marzano portando un vassoio di frutta nel giardino. Il resto del corpo della disgraziata è adagiato alla finestra della sua camera. Sconcerto, dolore delle compagne e paura serpeggiano. Su un tappeto nei pressi del luogo del delitto sono rimaste impresse delle orme, che non possono essere se non delle scarpacce di Pigozzi. La polizia non è convocabile, persistendo la tempesta marina: nessuno sa che fare, tantomeno il conte; intanto, Pigozzi pare sparito e il maggiordomo ringrazia l’arcangelo appendendo un fiocco nero al suo quadretto. Fiocca la seconda morte, con la nera Penny trovata decapitata nel letto dalla Damon che era scesa di notte in dispensa per mettere qualcosa sotto i denti, insieme a Samuel. Evelin vorrebbe levare subito le tende e si dispera tra le braccia di Mrnak, dopo la tumulazione dei due corpi in giardino: ma ecco che di lì a pochissimo, anche Rosalind è irrintracciabile. Si sparpagliano per cercarla e la rinvengono, la testa tagliata e appesa a un gancio dentro un’attrezzeria (è l’unica immagine realmente gore dell’intera storia). Evelin viene messa alle strette da Sibilla, che le entra in camera e affonda il bisturi accusandola di essere venuta a turbare la quiete del castello e del conte, scatenando quella ridda di morti: in realtà, porta acqua al proprio mulino, nell’umiliare quella che è a tutti gli effetti la sua rivale in amore, essendo Sibilla innamorata da sempre di Rossi Stuart, come già si era ben capito. Il confronto continua la linea da romanzo di appendice, con le svenevolezza della povera De Rossi che si appiglia al letto, in vestaglia, aiutando con la gestualità quella forza di interprete che le manca e venendo messa recitativamente in scacco da una professionista come la Benussi. Insomma, la povera Evelin, nevrotizzata, si mette a correre come una forsennata fuori dalla stanza, per la casa e, non potendo evadere da quel carcere, viene fermata dal conte prima di tentare di gettarsi giù da una finestra. Il tutto condito dalla camminata di qualcuno del quale sono inquadrati solo i piedi. Non stiamo né amplificando né interpretando quello che è andato sullo schermo.

Halina Kim

A un’ora e venti, c’è un salto quantico rispetto a un attimo prima: nel salotto del castello, Samuel è seduto insieme agli altri e sta confessando di essere stato lui a eliminare Cora prima e poi le due lesbiche, per vendicarsi di essere sempre stato “bistrattato, offeso e deriso”. Ma un ispettore di polizia, lì presente, con in mano il micidiale kriss, lo sbugiarda e lo complimenta per le sue doti di attore. Il poliziotto è il regista Luigi Batzella, chissà per quale ragione finito qui dentro. Costui poi mostra a Evelin la fotografia della prima moglie del conte, quella a lei somigliante come una goccia d’acqua che, ora lo scopriamo, era una pazza internata in manicomio, mettendo la cosa a tacere per il prestigio della casata. Viene persino lasciato intendere per un attimo che Evelin sia in realtà la vera consorte folle di Rossi Stuart, ma l’investigatore sfodera subito dopo i suoi assi, la verità vera, contro Sibilla: Grigor si è costituito e ha permesso di mettere con le spalle al muro la Benussi, in possesso di una certa chiave di una segreta del castello, il luogo i cui tutti i Mrank prima del presente si erano impiccati e non gettati in mare: là dentro, Sibilla ha nascosto per anni la contessa fuori di testa, dando ad intendere a tutti che fosse scappata, ma in realtà accudendola e manovrandola, come accaduto negli ultimi giorni, per eliminare chiunque si fosse frapposto all’amore che Sibilla ha sempre nutrito per il conte. La confessione della Benussi pare presa di peso, nel suo eloquio, da un romanzo d’appendice e sigilla perfettamente la natura feuilleutonesca del film, alla conclusione del quale manca ora solo che tutti gli astanti si rechino nel luogo ove la contessa (la De Rossi con i capelli ramati) vive reclusa nella sua miseranda prigionia. Entrambe salgono in carrozza con l’ispettore, dirette verso il loro destino l’una in carcere, l’altra in manicomio. E Rossi Stuart guarda il convoglio allontanarsi.

Patrizia De Rossi, Luigi Batzella, Femi Benussi

Esistono cialtronate nei confronti delle quali si sono spese parole di elogio e che sono, obiettivamente, assai al di sotto della pellicola di Rizzo, diffondersi come abbiamo fatto sulla quale non è per niente tempo perso, anche solo per capire che le radici di un film del genere non affondano affatto nel gotico e che il voyeurismo e l’erotomania hanno attorno le merlettature del feuilleuton e i regesti dell’avanspettacolo. La dimensione vera è questa, con buona pace di chi Rizzo non lo conosce e non conosce i suoi altri lavori. La visione di Rebecca la prima moglie, il film dell’esordio americano di Hitchcock, dovette lasciare qualche sedimento nello sceneggiatore-regista, non fosse altro che per il modo in cui è delineata la terribile Sibilla, laddove evocare come qualcuno ha fatto Il boia scarlatto, semplicemente perché Rizzo era stato parte del cast, lascia il tempo che trova. La sanguisuga conduce la danza esordì al cinema il primo maggio del 1975, al Diamante di Milano, passate che aveva le forche caudine della censura il 29 aprile precedente con l’ovvio vm 18, previa eliminazione della lesbicata tra Damon e Olizzi e alleggerimenti nelle altre congiunzioni tra Cora e il pescatore, Grigor e Sibilla e tra Evelin e il conte. In Francia uscì invece il 25 maggio del 1977, con un metraggio di 2607 mt a fronte dei 2358 della copia italiana.