Intervista a Luca Lionello
L'attore a Ferrara, sul set del corto Un padre
Ho incontrato Luca Lionello a Ferrara, sul set del cortometraggio Un padre di Roberto Gneo, e poco prima delle riprese, mi ha reso ambasciatrice per il pubblico di Nocturno concedendomi un’intervista. Un’intervista alla persona e non solo al personaggio. Un modo per conoscere esperienze, opinioni e pensieri di un grande attore italiano…
Molto giovane, negli anni Ottanta, hai interpretato Sposerò Simon Le Bon e Diciottanni – Versiglia 1966, prodotti molto freschi, ma non d’autore. Queste esperienze ti sono state utili per la tua carriera? Le ritieni di “formazione”, propedeutiche a imparare come si vive un set?
C’è sempre un autore dietro una storia, dietro ogni quesito interpretativo. In Diciottanni per esempio c’erano cinquanta autori RAI dietro, noi “bimbi, giovani” non potevamo capire e a riprese avanzate un funzionario RAI, mi ricordo ancora il nome, il fantastico Corrado Bigi, ci fece firmare con una x anonima in un riquadretto lillipuziano, a me, a Gianmarco Tognazzi, a Margherita Buy, a Pier Francesco Misasi, la rinuncia ai diritti di replica, e questo significa che c’erano degli autori, dietro, altrimenti non ci avrebbero fatto firmare questa rinuncia. Ma il valore grande è stata l’esperienza. Noi attori, è vero, siamo degli operai senza caschetto, un po’ sparsi nel cantiere ecc. ecc. ecc. Ma adesso che me lo domandi e mi volto indietro… l’inchiappettata fu storica! A non mettere quella x oggi sarei io a intervistare te sul mio giornale.
Quindi un po’ di gavetta, in film leggeri e adolescenziali, fu utile anche al figlio di un grande attore come è stato tuo padre, Oreste Lionello? Per essere precisi, la gavetta la devono fare tutti?
Basta che te ne accorgi, altrimenti è tempo perso. La gavetta, dovrebbe derivare dal gavettino… Una ciotola militaresca, il gavettino dei soldati che conteneva cibo per prendere energie per andare a “sparare”. Ecco, serve ad avere energia e imparare a lavare il gavettino.. Per la mira, però, non c’è suggerimento che valga.
Sei grande amico di Gianmarco Tognazzi, figlio del compianto Ugo Tognazzi, e avete recitato insieme nella serie di cui sopra: siete ancora legati e torneresti a lavorare con lui? Su quale progetto? Hai già in mente qualcosa?
È una cosa complicata, partirebbe la diatriba della vita degli attori, che pure sarebbe interessante ma… Siamo diventati grandi, abbiamo le famiglie, i bimbi… Due a testa; tra un po’ guidano… Teniamo la cosa tiepida, ci sono tanti progetti… Abbiamo condiviso tanto… Sono molto legato a Gianmarco, ma è sempre più difficile anche il solo telefonarsi, figurati il vedersi. Però io posso dire di aver avuto il privilegio di dormire molte lune nel lettone di Ugo Tognazzi ed è una cosa che auguro a qualsiasi attorgiovane.
Tuo padre è stato un apprezzato cabarettista e doppiatore, mentre tu hai sempre scelto ruoli più impegnati, potremmo dire più drammatici. Perché questa differenza? È caratteriale oppure semplicemente un caso, forse è uno specchio dei tempi che cambiano? Oggi c’è meno da ridere?
No no no, se si ride si ride, come se si muore, pure… Lasciamo stare il babbo, please, lui non era di questo mondo. Quella, comunque, è una scelta che io feci più di quarant’anni fa, nonostante abbia fatto tanto cabaret nei locali storici di Roma, proprio da giovanotto, locali dove si suonava musica jazz, botteghe o cantine piene di ballerine, sui testi di mio fratello Fabio Luigi. Io però non ho voluto raccogliere il testimone di mio padre, che ha inventato il cabaret, in contemporanea con il crepuscolo del varietà, e se mai mi giunse il testimone, io ero innamorato del cinema, non per mio padre, ma per mia zia, Irene Cefaro che negli anni ’50 fu una star del bianco e nero… Recitò con Fellini, Petri e De Santis.
Tu sei anche doppiatore, come le tue sorelle Cristiana e Alessia: mi spieghi cosa significa per un attore fare doppiaggio? È un onore oppure una seconda scelta?
Tutti i miei fratelli fanno doppiaggio, che è stato il biberòn di famiglia…Io ho cominciato tardi a capirci qualcosa perché ero una “capra” e anche se a turno ho doppiato tutti i giovani attori di Hollywood ora ho quasi smesso, altrimenti non potrei fare cinema, non come voglio io almeno; adesso mi chiamano solo per cose particolari, perché faccio cose particolari con la voce.
Se non avessi respirato recitazione ancora in fasce, pensi che avresti desiderato fare comunque questo mestiere?
È una cosa un po’ complessa, ma anche semplice, te la faccio semplice. Che devo fare? Fai qualsiasi cosa! Perché qualsiasi cosa può esser la cosa migliore per dedicarsi all’arte, qualsiasi tipo d’interesse o specializzazione. Ovvero, quando da bimbo facevo questo quesito il mio babbo mi rispondeva in quel modo, credo per insinuarmi non il morbo della perfezione, ma della conoscenza. Conoscere un ambiente, un settore, in modo cosmico ti permette di entrare in relazione con tutte le altre realtà, gli altri mondi che formano le costellazioni, l’infinito dell’arte, che è pieno di porte e tu basta che ne apra una, ma devi saperla aprire. Se la apri entri. E poi ti puoi esprimere liberamente con i più grandi spiriti e menti.
Hai mai recitato a teatro? O ti piacerebbe? Pensi che avere il pubblico in sala possa regalare un’emozione più forte?
Non ti ho detto che facevo cabaret alla Chanson o all’ Alexander platz di Roma? Anche nei villaggi turistici, più teatro di quello non c’è! Il teatro contiene il cinema perché viene prima e un attore deve fare teatro perché se no gli manca un pezzo di corpo. L’attore ha bisogno del teatro per suonare le sue note, io se non lo faccio ogni due o tre anni mi ammalo, zoppico, mi scordo fisicamente e psicologicamente. Ti dicevo delle note: nel cinema sono moltiplicate da tante altre mani, un’orchestra. Il teatro sei te, ed è parola, mentre il cinema nasce muto e morirà muto anche se suona bene..
Facendo riferimento alla tua partecipazione al film di Mel Gibson La passione di Cristo dove impersonavi Giuda Iscariota, che cosa suscita in te la parola tradimento?
Baggianate! Dipende dal punto di vista, dipende da dove lo guardi.
Giuda Iscariota si pente e si toglie la vita, tu invece come vivi sentimenti come il pentimento?
Non mi pento e basta!
Ti turba il pensiero della fine?
Ma guarda, sinceramente quando cominci a germogliare vedi, fin da bambino, già che l’altro filo d’erba se n’è andato, a volte è molto serena, a volte è una cosa molto “preoccupevole”, a volte è molto preoccupante, a volte fai l’amore e te scordi… E risparmi.
Come è stato recitare in Aramaico?
Molto semplice, quando si recita nei dialetti si fanno le più grande prestazioni attoriali.
Hai due figli e Maja, la più grande, sta seguendo le tue orme, cosa speri per lei? E che consigli le dai? E il più piccolo Oreste Andrea, detto Ori, pensi sceglierà la medesima strada?
Mia figlia è qua con noi sul set di questo cortometraggio, ha esordito con il teatro, addirittura con il nonno, e ora anche lei ha deciso di “rovinarsi la vita”, perché recitare è una malattia, un mestiere particolarmente insano, “no vaccino”. Mentre Ori se ne frega, per ora sta ultimando gli studi alla Scuola Cinetelevisiva Roberto Rosselini di Roma e si vedrà…
Sei a Ferrara per girare il cortometraggio di Roberto Gneo Un padre, con tua figlia Maja Lionello e l’attrice Cinzia Carrea; sei, quindi, in ottimi rapporti con Maja: quanto è importante per te questo senso di famiglia?
La famiglia è la nostra struttura italica, ogni giorno costruiamo il nido e lo disfiamo, noi italiani abbiamo un senso di famiglia molto forte ma tutto nostro che passa attraverso gli odori, i sapori, sono cose belle anche gli schiaffoni, i nonni i bis e le zie. Il nostro popolo lavora per le famiglie. Diciamo pure che “la famiglia è cosa nostra”. Noi siamo uniti e costruiamo la famiglia, perché ci crediamo, abbiamo un grande senso di essa è la nostra bussola andando in questi mari… E guarda che quella che tu chiami Cinzia Carrea è la mamma di Maja.
Anche la storia narrata nel cortometraggio di Gneo è una storia di famiglia e di ricongiungimento: è per questo motivo che hai accettato d’interpretarlo? Che cosa ti ha appassionato nella sceneggiatura?
Il cinema è un odore, Gneo scrive molto bene sulla carta questo odore in un “tornasole” tutto suo; io faccio sempre i cortometraggi se puzzano di cinema. Odoro… pardòn, adoro le sperimentazioni, perché il cinema vive di questo, ho appena girato il film di un signore di novant’anni che non aveva mai girato un film. Un opera prima quasi postuma… Ho presentato Gneo ad alcuni produttori, ma nessuno accettava il progetto non perché non piacesse ma per povertà, anche io non volevo farlo senza soldi, poi dopo che mi ha annusato per un annetto mi ha detto che non voleva farlo più a Roma, ma a Ferrara ed è il motivo per cui son qui, per cui ho accettato insomma.
Per te che vivi nella capitale come e stato rapportarti con la piccola provincia ferrarese, anche se per pochi giorni?
Io qui a Ferrara ho avuto la mia prima fidanzata da giovinetto e sono venuto, che che ne pensi Gneo, non a girare ma a trovarla.
Comunque voi attori ne incontrate di tutti i colori, che mi dici per esempio di Valentina Nappi nel cortometraggio di Monica Stambrini Queen Kong?
Uno strano arcobaleno.
La cinepresa della Stambrini era eccitante?
Monica Stambrini è un personaggio molto interessante, come Sordi diceva di Fellini: “Ha un capoccione così!”. No, non c’è nulla d’eccitante a fare certe scene, premesso che ognuno si eccita a modo suo, lì andava raccontata una storia e io ho fatto soldatino, ho eseguito gli ordini, ho obbedito, ho “Sparato”.
Perché si accetta di girare un corto ad alto contenuto sessuale, non credo sia solo per soldi?
No, queste sono cose che non si fanno per soldi. Non ci fu nessun compenso e nulla andrà in beneficenza…Sono cose che si fanno per l’arte; si fanno per portare il cinema in luoghi estremi, remoti, sconosciuti. Il sesso cela profondi segreti, anche del cinema, segreti che hanno a che vedere con la vita, la morte… Ai nostri timori, alle nostre paure, alle nostre gioie, ai nostri sogni che siano quel che siano, anche ‘Culinari’. A volte va dato il benvenuto… Perché dire no, perché non svelarli?