Intervista a Stefano Sollima dopo il successo di Suburra

Aspettando Gomorra 2 intervistiamo la promessa e la conferma del noir italiano
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Cosa c’è in più in Suburra rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Ogni lavoro che si fa dovrebbe rappresentare un piccolo passo in avanti. Sicuramente chi ha amato i miei lavori passati troverà delle cose che gli sono piaciute, ma anche altre diverse, inaspettate forse: d’altronde il lavoro di un regista è soprattutto evolversi.

Quali libertà ti sei concesso nel trasporre in immagini il libro di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo?
Rispetto al romanzo, la storia è sicuramente sintetizzata. Il libro aveva una narrazione esplosa: tantissimi personaggi, tantissime situazioni che erano legate insieme dall’indagine svolta da un carabiniere. Io ho preso alcuni di questi personaggi e li ho legati tra di loro, in parte utilizzando il materiale del libro e in parte no. Diciamo che abbiamo tradito la struttura e la forma del romanzo, ma soltanto per mantenerne il cuore e l’anima. Mi sono, in questo caso, concentrato sui personaggi che per me rappresentavano l’anima del racconto: ovvero dimostrare come in un unico luogo coesistono dei mondi apparentemente distanti che invece sono segretamente e intimamente collegati. Quindi, ti trovi in un’unica città dove passi dal Vaticano, ai palazzi della politica, alle periferie, fino ad arrivare al mare. Hai mondi anche visivamente diversi, ma che sono collegati tra loro: cose cui non pensi ma che sono sotto i tuoi occhi.

Lo stesso non era successo nel trarre una serie tv da Gomorra di Saviano?
Con Gomorra – La serie c’è stato un passaggio più ardito: addirittura abbiamo riadattato solo una piccola frazione presente nel romanzo, ampliandola, ma anche in questo caso sempre d’accordo con Roberto (Saviano, ndr). D’altronde, cinema e tv sono mezzi diversi rispetto al libro. Sulla carta puoi stare appresso a 20/30 personaggi importanti, in un film non ce la fai perché ti perdi e cala l’attenzione dello spettatore.

Corre voce che da Suburra verrà tratta una serie prodotta da Netflix. Ci racconti come è nato l’interessamento degli americani verso il tuo film?
Lì il meccanismo è stato diverso rispetto a Romanzo criminale o Gomorra. Netflix ha visto il film, che gli è piaciuto moltissimo, hanno comprato i diritti e l’hanno messo sulla loro piattaforma, in Canada e negli Stati Uniti, in contemporanea con l’uscita italiana. Da lì loro vogliono farne una serie di 10 episodi. Questa è un’operazione nuova rispetto ai miei lavori precedenti. Di solito scrivi un libro, esce il film e aspetti di sapere come va, per beneficiare del brand; qui invece le cose viaggiano insieme, senza sapere se il film ha fatto successo o meno, se è piaciuto. In Romanzo criminale avevi, per esempio, un film di successo, decidevi di trarne una serie facendo esplodere la materia narrativa in chiave inedita, mentre qui è diverso, perché fai tutto contemporaneamente. Netflix cercava contenuti per lanciare la sua piattaforma in Italia ed è rimasta folgorata da Suburra: da qui l’idea della serie che avrà un richiamo anche internazionale. Comunque, per vederla, ci vorranno due anni. Ora sono soprattutto concentrato sul film.

Come spieghi il successo di Gomorra all’estero? Stiamo parlando, d’altronde, di una serie parlata per lo più in dialetto partenopeo, con una storia che ha radici nella nostra cronaca…
Gomorra è piaciuta moltissimo all’estero. È una serie che, d’altronde, ha una specificità di genere rassicurante, vive due anime: è, da una parte, un gangster-movie che si muove su canoni classici, confortevoli, ma dall’altra riesce a fare emergere una realtà strana, sicuramente esotica per l’estero. È un mix che ha funzionato soprattutto per questo, perché ha incuriosito gli spettatori non italiani.

Che registi saranno coinvolti nella seconda serie di Gomorra?
Io girerò i primi tre episodi, poi ci saranno Francesca Comencini, Claudio Cupellini e la new entry è Claudio Giovannesi.

Ti trovi meglio a girare film o fiction per la tv?
Io non trovo nessuna differenza tra i due mezzi, a parte il tempo che ho a disposizione per raccontare una storia. Secondo me sono due mezzi identici, cambia solo il formato e l’approfondimento possibile al personaggio. Un film è più facile da gestire narrativamente, la serie è enorme, più lunga da elaborare, da sviluppare, da preparare, da girare. La tv è comunque cambiata da quando io ho iniziato, sono cambiati i modelli. Fino a cinque anni fa aspettavi davanti alla tv la serie di successo dall’America, ora basta un click, quando vuoi tu, anche in contemporanea con l’estero! E si parla di cinque anni fa, non di vent’anni. Io penso di aver fatto tv come la vedevo fare agli altri, come avrei voluto che fosse una bella serie tv, penso a The Shield o a The Wire, un modo di intendere televisione che abbraccia molto il cinema, uno sguardo internazionale. Nel fare Gomorra e Romanzo criminale ci siamo messi soltanto al passo col mercato internazionale, non abbiamo fatto niente di più. Ho fatto, da regista, quello che mi sarebbe piaciuto vedere come spettatore. In Italia non si faceva, prima, è vero, ma è successo per una serie di coincidenze, anche a livello di network. In quel periodo Sky è entrato nel mercato televisivo con un approccio aggressivo e voleva un prodotto più forte e incisivo di quello che davano i suoi naturali competitor e mi sono trovato a poter avere tutti gli strumenti per poter fare quello che avevo visto e amato in serie tv straniere. C’è sempre una serie di eventi che porta a un cambiamento.

Che serie tv segui con più interesse?
True detective sicuramente è una di queste, una serie unica dove c’era un’armonia incredibile tra regia e narrazione, un matrimonio perfetto. Purtroppo lo stesso non è successo con la seconda serie, meno articolata, meno interessante, e l’ho abbandonata a metà. Anche in America, comunque, c’è più interesse verso la tv che il cinema. Certo, escono i cinecomix, i seguiti dei seguiti, ma alla fine le cose più interessanti, quelle che hanno colpito l’immaginario globale, sono il più delle volte uscite dalla tv. La televisione ha assorbito quell’intrattenimento intelligente, di massa, che un tempo era il cinema di serie B, sfornando prodotti con l’anima della serie A. Non è che non escono film interessanti, anzi; solo che alla fine si parla di più delle serie.

Un ricordo di tuo padre…
Lui mi ha cresciuto quando mia madre è morta e ha saputo farmi da padre, mamma, zia… ha fatto quello che umanamente era possibile. Quello che sono me l’ha insegnato lui.

Una serie tv ipotetica tratta da un poliziesco italiano classico.
Bella domanda. Forse Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto o La banda del gobbo, ma forse nessuno. A quei tempi il racconto era davvero minimale e questo forse è il limite, l’impossibilità di sviluppare la sceneggiatura in più puntate. Penso che nessuno di questi polizieschi o poliziotteschi avesse un tale respiro da poter essere sviluppato in una serie tv. Devi avere un racconto gigantesco alle spalle, neanche Milano calibro 9, pur se bellissimo, ce l’aveva. Prendi Romanzo criminale: alle spalle aveva un libro che nel comprimerlo in due ore certamente ci perdeva, ma che, comunque, funzionava sia al cinema che in tv.

Cosa ne pensi di Willian Friedkin?
William Friedkin è un genio totale. Credo che se io avessi la possibilità di girare Vivere e morire a Los Angeles, dopo entrerei in crisi perché girare qualcosa di talmente bello, di talmente unico nella storia del cinema poliziesco è un bel problema: dopo ogni cosa sembra brutta, per forza, non puoi più arrivare a quei livelli, dovrei smettere di girare, mi metterei in pensione.

Dal paradiso all’inferno: un pensiero su Michael Bay.
Michael Bay non mi dispiace, io li vedo i suoi film, ma sono mondi diversi rispetto a Friedkin, ma anche rispetto a quello che concepisco come bel film. Tu vedi i suoi film, tecnicamente è bravo, ma a un certo punto si perde, gli manca la narrazione che possa supportare i grandi mezzi che ha. Vedere l’esplosione, l’improbabile virtuosismo della macchina da presa, anche solo per riprendere una tazza di caffè, alla fine stanca, perché non ha personaggi abbastanza forti. In Bad Boys 2 ci sono scene spettacolari, il carrello circolare che gira intorno a Will Smith durante la sparatoria con la parete in mezzo, cose che ti lasciano a bocca aperta, però, alla fine del fattore puramente estetico… Anche per fare il kolossal o il cinecomix devi avere personaggi della Madonna, come nel caso di Batman di Nolan, ineccepibile sotto il livello spettacolare eppure con una storia che riesce a prenderti davvero. Penso che si possa fare il cinema spettacolare e super adrenalico, ma facendo attenzione al personaggio, perché se ti innamori di una storia è perché ti piace anche il personaggio, sennò è aria fritta, solo fumo. A me personalmente piace l’equilibrio tra narrazione e regia. Pensiamo ad Alien di Scott: c’è una storia e una regia, bellissimo film, ma Aliens segue quella storia e ha una regia totalmente diversa, bellissimo film comunque, e anche in questo caso ci sono personaggi che si ricordano e che restano impressi.