L’Uomo Nero al centro del Labirinto
La radici minoiche dei film slasher?
Tra la fine degli Anni Sessanta e i “gloriosi” Anni Ottanta, il cinema horror americano, figlio della fiorente stagione della New Hollywood e in contrapposizione alla precedente tradizione dell’orrore di matrice gotica, crea un nuova filone delle storie di paura, basato più sul gore che sulla costruzione drammatica, e fondato su pochi tropi facilmente identificabili rimasti inalterati nel corso del tempo (il killer di giovani innocenti, la sequenza di morti, tradizionalmente giovani personaggi stereotipati in preda agli ormoni, la giovane eroina che alla fine riesce apparentemente a sconfiggere il mostro, l’inettitudine delle ‘conservative’ forze delle ordine, ecc.). Caratterizzato da produzioni indipendenti a basso costo ma dall’enorme successo commerciale, vivrà una vera e propria golden age tra il 1978 e il 1984, per continuare a sopravvivere (forse purtroppo) fino ai giorni nostri: lo slasher.
Evoluzione di un processo iniziato anni prima con i capolavori thriller Psycho di Alfred Hitchcock e Peeping Tom di Michael Powell, entrambi del 1960, lo slasher rappresenterà il trampolino di lancio o la definitiva consacrazione per alcuni dei grandi maestri del cinema di paura americano della seconda metà del Novecento, come John Carpenter, Tobe Hooper e Wes Craven. Pregno delle nuove istanze di critica sociale care alla Nuova Hollywood, specificamente al New Horror (si pensi al geniale rilettura della figura tradizionale folkloristica dello zombi attuata da George Romero), i film slasher non potevano che esercitare un sicuro fascino su quelle generazioni uscite dagli anni della Contestazione e in aperta critica alla civiltà consumistica e capitalistica degli edonistici Anni Settanta e Ottanta, che vedevano negli stilemi del cinema di paura un’ottima metafora per affrontare le questioni sociali più delicate: ma è tutto qui?
Spregiato e snobbato da molta della critica (accusandolo, di volta in volta, di essere “misogino” e “immorale”, “conservatore” e “liberale”) ma molto amato dai giovani, ha permesso a molte di queste pellicole di diventare dei veri e propri cult movies… Senza nulla togliere alla legittimità della visione ‘socio-psicanalitica’ del genere, troviamo tuttavia riduttivo limitarsi a tale ottica, quasi si volesse ostinatamente ignorare altri rimandi, alcuni piuttosto lampanti ma meno ‘accademicamente accettati’ a destra e manca, perché riesumano il discorso del Mito e della Tradizione…
Perciò, senza l’ambizione di andar a ricercar ad ogni costo dei “magnanimi lombi” per un genere che è sempre stato fieramente popolare e commerciale, quello che ci proponiamo in questo scritto è un confronto diretto tra una delle storie più famose e affascinanti della mitologia classica, il mito del Minotauro e del Labirinto con alcuni dei titoli più celebri del genere, creando una comparazione tra alcuni elementi topici, quali il Labirinto, l’Eroina e soprattutto il Mostro, alla ricerca di quegli elementi che accomunano la creatura cretese ai più feticistici antagonisti del cinema slasher, ovvero il macellaio cannibale Faccia di Cuoio della serie The Texas Chainsaw Massacre [in italiano Non aprite quella porta, 1974-2022], Michael Meyers della serie Halloween [1978-2002], Jason Voorhees della saga Venerdì 13 [Friday the 13th, 1980-2002] e Freddy Krueger della serie Nightmare [1984-1994].
I. Il Mito classico del Minotauro
Secondo il mito, Minosse, figlio della principessa Europa e di Zeus, “voleva diventare re di Creta, ma gli abitanti dell’isola si opponevano. […] Mentre offriva un sacrificio a Poseidone, chiese al dio di far emergere un toro dal mare e promise che glielo avrebbe sacrificato. Poseidone fece apparire per lui un toro bellissimo e Minosse ottenne il regno, ma mandò il toro tra le sue mandrie e a Poseidone ne sacrificò un altro. Minosse fu il primo ad avere il dominio del mare e di quasi tutte le isole. Poseidone, adirato con lui perché non gli aveva sacrificato il toro, rese furioso l’animale e fece in modo che Pasifae [regina di Creta, moglie di Minosse e, secondo alcune varianti del mito, figlia del dio Elio-Sole, NdA] se ne invaghisse. Innamorata del toro, Pasifae si fa aiutare da Dedalo […]. Dedalo costruì una vacca di legno e la pose su ruote, dentro la fece cava, le cucì addosso la pelle di una vacca che aveva scuoiato, la collocò in un prato dove il toro era solito pascolare e vi fece salire Pasifae. Sopraggiunge il toro e si unì a lei come fosse veramente una vacca. Essa generò Asterio (“Quello delle stelle”), detto Minotauro, che aveva la testa di toro e il corpo di uomo.” [Apollodoro, Biblioteca, III, 3-11]
In seguito Minosse, adirato con Dedalo, lo obbligò a costruire un labirinto da cui fosse impossibile uscire, sotto al palazzo reale di Cnosso, al cui interno imprigionò il mostruoso figliastro. Nel frattempo, Creta era in guerra contro la vicina città di Atene: sconfitti i nemici, “Minosse ordinò loro di dare sette fanciulli e altrettante fanciulle ogni nove anni in pasto al Minotauro, per tanto tempo quanto fosse vissuto il mostro” [Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV, 61], fino al giorno in cui Teseo, figlio del re di Atene Egeo, si unì (le fonti divergono se si offrì volontario o venne sorteggiato) ai giovani tributi da offrire in sacrificio al mostro. “Quando Teseo arrivò a Creta, Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui al punto di tradire il fratello per salvare quello straniero. Fu lei infatti a mostrare a Teseo l’uscita dal labirinto [Iginio, Fabulae, 42]” con il celebre stratagemma del filo; “Teseo lo legò alla porta ed entrò tirandoselo dietro. Trovò il Minotauro nella parte più interna del labirinto, lo uccise a forza di pugni, poi, seguendo il filo a ritroso, riguadagnò l’uscita” [Apollodoro, cit., epitome 1,9].
II. Il Mostro, il Labirinto, l’Uomo Nero
[…] era come svuotato; non capiva, non aveva coscienza, non sentiva, anche nel senso più rudimentale, né gioia, né dolore, né male, né bene, né caldo, né freddo. Spaventoso. Un ragazzo di sei anni con una faccia atona, bianca, completamente spenta; e gli occhi neri… gli occhi del Diavolo. Per otto anni ho tentato di riportarlo a noi, ma poi per altri sette l’ho tenuto chiuso, nascosto, perché mi sono reso conto con orrore che dietro quegli occhi viveva e cresceva… il male.”
Dr. Sam Loomis (Donald Pleasance) in Halloween – La notte delle streghe [1978]
Il Minotauro, frutto dell’unione “innaturale” tra Pasifae e il toro “generato” da Poseidone, nella sua triplice natura (bestiale-umana-sovrumana) diventa l’incarnazione di quell’Ignoto, ma anche il simbolo della colpa di Minosse che è venuto meno al suo dovere di onorare gli déi olimpici. Ora, in Non aprite quella porta di Hooper, abbiamo i membri di famiglia della classe operaia texana che dopo aver perso il lavoro presso il locale mattatoio per colpa dell’ “apollineo-solare” progresso industriale, si riadattano a cibarsi degli sventurati malcapitati che finiscono nella loro proprietà isolata nel Texas rurale; in Halloween, Michael Meyers (Nick Castle) viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico dopo aver inspiegabilmente ucciso la sorella maggiore, prima di fuggire per seminare il panico nella sua cittadina di Haddonfield; Jason Vorhees si vendica su giovani adolescenti promiscui che entrano nel suo territorio introno al campeggio abbandonato di Crystal Lake dove rischiò di annegare da bambino; e Fred Kruger (Robert Englund), assassino pedofilo, dopo essere stato linciato da un gruppo di genitori, torna per vendicarsi dei figli dei suoi assassini, tormentandoli e uccidendoli nei loro sogni, di cui è signore e padrone; insieme al elementi propri della vicende di Creta, troviamo anche numerosi punti di riferimento al culto di Dioniso, una delle divinità più importanti che compaiono nelle vicende qui trattate (e onestamente, come si può negare che lo slasher sia un genere intrinsecamente dionisiaco, con tutto quel sesso e gli smembramenti!): il dio amorale, figlio di Zeus e una mortale che viene fatto ucciso dalla “forza conservatrice” di Era, smembrato dai Titani per poi fatto risorgere da Zeus, diventando il simbolo, come acutamente rilevato dal mitografo Kàroly Kereniy, del perpetuo rigenerarsi delle energie primordiali: suona familiare…
Monstrum, nel senso etimologico del termine, significa “di prodigio, fatto o fenomeno portentoso, eccezionale, in senso sia positivo sia negativo, e riferito anche a persona che riveli qualità, buone o cattive, oltrepassanti i limiti della normalità, ma senza le connotazioni deteriori che mostro ha acquisito nell’uso moderno”[fonte: Vocabolario Treccani]: nell’antichità il mostro quindi era sempre associato alla manifestazione di quell’ignoto numinoso, quel Mysterium Tremendum teorizzato da Rudolf Otto nel suo celebre saggio sul Sacro: quasi l’altro volto, l’Ombra, perturbante, della figura dell’Eroe/Eroina (in molti casi, entrambi significativamente speculari se non della stessa radice, come approfondiremo a breve), anche esso caratterizzato dalla caratteristica della dismisura che s’introduce nell’ordine del cosmos; così, nello film, il mostro rappresenta quasi sempre il figlio, frutto malato di una società corrotta, che deve celare la propria empietà [in greco amartìa] ma da cui, paradossalmente, vive in simbiosi e trae sostentamento.
Prima, però, un menzione particolare va fatta alla figura, reale o metaforica, della Madre che riproduce i ambigui connotati di Pasifae: ad esempio, la madre di Jason, Pamela Voorhees (Betsy Palmer), reale villain nel primo film della saga per vendicare l’apparente morte del figlio; la madre (Ronee Blakley) della protagonista del primo Nightmare, Nancy Thompson (Heather Langenkamp), che essendo tra gli assassini di Kruger, causerà la sua vendetta oltremondana e finirà per diventare una specie di inconsapevole carceriere della sua stessa figlia, ma vale la pena ricordare la stessa madre di Freddy, Amanda Kruger, che genererà il figlio dopo essere stata violentata da un “branco” di pazienti psichiatrici (come raccontato in Nightmare III – I guerrieri del sogno [A Nightmare of Elm Street 3: Dream Warriors, regia di Chuck Russell, New Line Pictures, USA 1987] e Nightmare 5: Il mito [A Nightmare of Elm Street 5: The Dream Child, regia di Stephen Hopkins, New Line Pictures, USA 1989]), ma anche la casa della famiglia Sawyer (oramai composta di soli uomini, in molti casi frutto di relazioni endogamiche) in Non aprite quella porta, assume il duplice aspetto di Echidna “madre dei mostri” e il Labirinto.
Lo stesso simbolo del labirinto, luogo di smarrimento e intricato in cui il mostro e le sue vittime sono egualmente prigionieri, compare in varie incarnazioni in quasi tutti i film delle saghe citate: oltre alla già citata Casa Sawyer, possiamo ricordare gli intricati boschi intorno a Cristal Lake nei vari Friday The 13th, i corridoi dell’Haddonfield Memorial Hospital in Halloween II [Halloween II, regia di Rick Rosenthal, sceneggiatura di John Carpenter e Debra Hill, Universal Pictures, 1981], ma soprattutto il intricato e mutevole Dream World nei film di Nightmare (la saga creata nel 1984 da Wes Craven appare essere quella che contiene più riferimenti alla materia cretese): vogliamo far notare che nel sopracitato Nightmare 5, in cui lo scontro finale si svolge all’interno di un vero e proprio “labirinto di Cnosso” reimmaginato da Piranesi e Escher, con al centro la sala caldaie dove Freddy Kruger ha trovato la morte, ormai diventata la sua tana.
Nella stessa figura dell’ eroina, la sopravissuta (Final Girl), d’altro canto, troviamo un interessante sintesi della figure ancestrali di Teseo e Arianna: giovani ragazze virtuose, necessariamente vergini (secondo Robert Graves: “Arianna, che i Greci chiamavano «Ariagne» («Santissima») fu probabilmente l’appellativo della dea-Luna che si onorava con la danza e con i salti nell’arena dei tori […]” [Robert Graves, I Miti Greci, 98.5]), anche loro fatalmente coinvolte nei tributi di sangue per il mostro, si troveranno ad affrontarlo, spesso proprio nella sua tana in seguito a qualcosa di simile a un vero e proprio percorso iniziatico, che spesso portava a una scoperta di un familiarità, una parentela con il mostro stesso : per fare un esempio, l’impopolare scelta di introdurre, ne Il signore della morte, del rapporto familiare tra Micheal Meyers e la sopravvissuta del primo film Laurie Straude (Jamie Lee Curtis), ma che, come vedete, in continuità appieno il mito cretese…II. “Ma allora… Allora è ancora là!”: le resistenze contemporanee dello slasher
L’uomo nero non è morto, |
ha gli artigli come un corvo, |
fa paura la sua voce, |
prendi subito la croce.
(Filastrocca che preannuncia la comparsa di Freddy Krueger nel primo Nightmare [1984])
La saga di Non aprite quella porta, dal 1974, conta nove film (di cui l’ultimo uscito con Netflix nel 2022), che comprendono un reboot/remake, due prequel, uno “canonico” e uno per il remake del 2003; la saga iniziata dal capolavoro di Carpenter del 1978 fino ad oggi ha prodotto tredici film (escludendo l’apocrifo Halloween III), tra cui il dittico remake diretto da Rob Zombie e una “trilogia sequel-revisionista” diretta da David Gordon Green tra il 2018 e il 2022. La saga di Venerdì 13, del canto suo, ha sfornato tra il 1980 e il 2001 dieci film, più un crossover con la saga di Nightmare, che al suo attivo conta otto film, il già citato crossover e un dimenticabile remake nel 2010. È tra l’altro una strana coincidenza, che proprio mentre scriviamo, sia da poco uscito nelle sale nostrane il film Thanksgiving di Eli Roth, vero e proprio slasher festivo “classico” seppur aggiornato ai tempi di Instagram e dei Black Fridays o il postmoderno In A Violent Nature del canadese Chris Nash.
Nel frattempo, per il prossimo futuro, Hollywood promette (o minaccia) nuovi film dedicati ai grandi figure dei franchise del passato.
Anche la saga parodia metafilmica di Scream, creata dal maestro Wes Craven nel 1996, ha raggiunto di recente il sesto capitolo e generato una serie tv antologica di tre stagioni, tra il 2015 al 2019: quasi in una hegeliana negazione della negazione, quando appena due anni prima, nell’intelligente “capitolo finale” Nightmare – Nuovo incubo [Wes Craven’s New Nightmare, regia e sceneggiatura di Wes Craven, New Line Productions, USA 1994], una versione fittizia dello stesso Craven dirà: “Posso dirti di cosa parlano questi incubi. Sono su questa… entità. In qualunque modo vuoi chiamarla. È antica, davvero antica, e ha avuto diverse forme in epoche diverse. La sola cosa che rimane la stessa è il suo scopo, la sua motivazione. […] Uccidere l’innocenza, in un modo o nell’altro. […] Può essere imprigionata, qualche volta […] dai narratori, soprattutto. Ogni tanto immaginano una storia abbastanza buona da imprigionare la sua essenza. Poi resta prigioniero per un po’ di tempo. Nella storia. Il problema è quando la storia muore. Succede in molti modi: la storia diventa troppo familiare, o troppo annacquata da gente che vuole renderla più commerciale, oppure viene etichettato come dannoso per la società e semplicemente vietata. Ogni volta che succede, quando la storia muore, il male è rimesso in libertà”.
A quanto pare, il Mostro che credevamo morto giace ancora nei recessi più profondi del Labirinto, mentre i suoi creatori, come Dedalo, creatore di artifici e labirinti, giacciono prigionieri delle loro proprie creazioni, in attesa dei tributi ad altri Minosse, e la creatura è ancora molto affamata…