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Beetlejuice Beetlejuice

2024
REGIA:
Tim Burton
CAST:
Michael Keaton (Beetlejuice)
Winona Ryder (Lydia Deetz)
Jenna Ortega (Astrid Deetz)

Il nostro giudizio

Beetlejuice Beetlejuice è un film del 2024, diretto da Tim Burton.

Dura solo un attimo la gloria. Specie quando diventi, citando i Jethro Tull, “too old to rock ‘n roll and too young to die”. Questo lo sa benissimo anche un conclamato autore come Tim Burton, che dall’alto dei suoi 66 anni appena compiuti, è ormai da almeno un decennio etichettato come finito o quasi. Pur volendosi affrancare da questa pratica così inelegante, come se l’artista e la sua arte avessero davvero una data di scadenza, l’idea di riprendere le fila di un’opera che aveva rappresentato l’inizio del suo percorso autoriale poteva senza dubbio apparire un azzardo o un’operazione fuori tempo massimo. Il Beetlejuice del 1988 era, però, la rappresentazione di un Burton in nuce: una storia più sregolata, scorretta e sporca rispetto a ciò che sarebbe venuto dopo. Così, 36 anni dopo, ci ritroviamo a guardare questo secondo capitolo, scegliendo se volerlo vedere come un ultimo tentativo di ripresa o come la summa di un viaggio che ci ha portato in mondi fantastici ed indimenticabili. Dimenticandoci, a volte, l’essenziale.

Beetlejuice Beetlejuice ha subito il merito di far sentire il peso degli anni: la giovanissima dark Lydia (Winona Ryder) è solo un ricordo, sostituita da una star della cosiddetta real tv a tema occulto alle prese con il travagliato rapporto con la figlia (Jenna Ortega) dopo la morte del compagno, un nuovo fidanzato inetto (Justin Theroux) e con la matrigna Delia (una Catherine O’Hara sempre a grandi livelli) a rappresentare l’unico legame familiare ancora in essere. La tragica scomparsa del padre Charles (nell’originale interpretato da Jeffrey Jones) è l’occasione per riunirsi. Non sembrano passati gli anni, invece, per Michael Keaton che, in modo assolutamente non scontato, riprende il suo Beetlejuice conservandone a pieno l’anarchica e scanzonata energia. Diverse sottotrame si intrecciano all’interno di questo sequel, con anche le new entries Ortega e Bellucci a trovare il giusto spazio, rispettivamente, nel ruolo dell’eroina e della “donna morta fatale”. E il fatto che i personaggi e le storie che li riguardano, alla fine dei conti, funzionino è già un’indicazione non da poco. Soprattutto il trio al femminile (ossia le tre generazioni della famiglia Deetz) diventa il motore più adatto per percorrere questo viaggio nell’ignoto, una volta riaperta la porta che separa i due mondi. Senza poi dimenticare il contorno, dal poliziotto/attore dell’aldilà Willem Dafoe all’assistente tsansa di Beetlejuice Bob, a cui presta il corpo il creature guy Nick Kellington.

Naturalmente questo ritorno di Burton alle origini porta con sé elementi che ne fanno una piacevole quanto confusionaria appendice, tra citazioni (proprie e non) ed effetti visivi in tecnica mista che affrancano immediatamente il film da qualsiasi velleità di costruire un nuovo discorso o di rinverdire i fasti. Un’opera divertita, ben studiata e impacchettata che, nel suo esplicarsi, è però assai lontana dai diversi “musei delle cere” che affollano la produzione cinematografica odierna. Difettoso e imperfetto senza voler essere di più, Beetlejuice Beetlejuice deluderà senza dubbio le aspettative di molti, anche e soprattutto dei burtoniani più indefessi. Doveva essere una dimostrazione di forza, si è rivelata essere una dichiarazione d’amore per il mondo che ha saputo creare in quasi quarant’anni di carriera. Doveva essere un funerale, si è trasformato nella celebrazione (non compiaciuta) di una carriera. Un bel segnale di vita, per chi lo saprà apprezzare.