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I Can’t Have Sex

2024
Titolo Originale:
No puedo tener sexo
REGIA:
Bel Gatti
CAST:
Bel Gatti

Il nostro giudizio

I can’t have sex è un film del 2024, diretto da Bel Gatti.

Who says? (It’s good to be alive?)
Richard Hell

Presentato al Tallin Black Nights Film Festival nella sezione Rebels with a Cause, I can’t have sex (No puedo tener sexo) l’opera prima di Bel Gatti è una tragedia in tre atti (plus epilogo) che ti lascia la stessa sensazione di straniamento che ti può lasciare un giro sulle montagne russe dopo essersi calati qualcosa. Inevitabilmente, alla fine del film, ti chiedi: WTF? Ma questo accade se scivoli sulla superficie delle cose (come insegnava il buon Bret Easton Ellis), se ci si sofferma sugli effetti grafici da Windows Media Player, gli emoji, i filtri, gli stickers, il montaggio schizofrenico, l’uso del selfie come pronome personale visivo, l’iniziale e demenziale dialogo con gli strap-on. In realtà I can’t have sex è la pazza storia di una vita, di Bel Gatti (affascinante bellezza androgina), che non può fare sesso fuori dalla dimensione della finzione, dei girati dove si cala nei panni della drag king, perché il sesso non è reale e ogni volta che sta per venire sopraggiungono le lacrime, e quelle sono reali. I tre atti diventano una sorta di quaderno di terapia in formato video dove Bel, attraverso le sue avventure, il suo lavoro e il rapporto con sua madre prova a capire cosa c’è di sbagliato in lei, sempre se ci sia qualcosa di giusto o sbagliato, sano e normale in termini assoluti. La camera o, per meglio dire, il cellulare conferisce a questo auto-biopic una dimensione moderna (sembra di vedere una diretta TikTok) in quello che si appresta a essere una narrazione più classica nella seconda parte del film.

I can’t have sex non ricorda nessun film – questo è il migliore complimento si possa fare – se non in una certa misura di auto-testimonianza di sé, della voglia di aprirsi e sanguinare in maniera amatoriale, a Tarnation di Jonathan Caouette (anni fa scoperto da Gus Van Sant). Bel ha un master in teatro, fa la baby sitter e l’attrice, passa il periodo della pandemia interrogandosi sulle cause a monte del suo cortocircuito sessuale, e le scene più strane sembrano suggerire un rapporto madre e figlia che viaggia su una linea completamente disfunzionale. La madre viene introdotta in una scena dove Bel fa il bagno, dove si parla di terapia e la regista si chiede se sua madre sarebbe disposta a una orgia con lei; e, ancora, vediamo la madre nelle vesti di cosplay di una scolaretta, consumare – mentre parla con la figlia e di fronte alla camera – svariati hentai come se fossero rumore bianco alla pari di una edizione del telegiornale, oppure quando tenta di regalare alla figlia un vecchio vibratore rotto. Ci sono insinuazioni all’incesto, come quando Bel afferma davanti alla madre di aver ricevuto troppi baci e carezze da lei. Spesso e volentieri il termine edipico torna come un leitmotiv nel film fino a quella domanda che, forse, molti si pongono nell’arco di una vita, ma è stato sintetizzato magnificamente da Philip Roth in Pastorale americana col bacio tra padre e figlia in macchina.

“Mamma perché non posso fare sesso con te?”, chiede Bel verso le battute finali di questo flusso di coscienza. Non fatevi ingannare: non è una storia di sesso, benché non manchi nel film, proprio perché in una società iper-sessualizzata il sesso come l’amore sono scarti del Novecento, è l’epoca del porno o “del desiderio del desiderio”, tanto che Bel dice che il sesso è una finzione, un’illusione da cui, però, non vuole essere escluso. I can’t have sex è una storia di madri e figlie, della ricerca disperata di un amore puro (e in questo ricorda Tarnation) di una figlia considerata difficile da una madre problematica, e lo stesso vale per quest’ultima i cui conflitti con la nonna di Bel – che muore durante la lavorazione del film – vengono al pettine rileggendo una vecchia lettera. Forse I can’t have sex suggerisce l’immagine della famiglia come portatrice sana di dolore che ci passiamo di generazione in generazione, e ognuno di noi riadatta questo dolore a propria immagine e somiglianza. Impossibile fare una recensione canonica per un film così apocrifo – anche nelle scene in Chiesa -, si rischia di fare diversi sbagli: di (s)cadere nella sovra-interpretazione, di lasciare qualcosa di importante tra un fotogramma e l’altro, di essere vittime inconsapevoli di un grande scherzo di 80 minuti, di essere tra i testimoni di una straziante confessione dove Bel è riuscita a trasformare tutto il suo dolore in bellezza.