Il trono di spade 8
2019
Il trono di spade 8 è una serie tv del 2019, creata da David Benioff e D.B. Weiss.
Il Trono si è spezzato. Lunga vita al Trono. Il trono di spade è finita. La serie targata HBO tra le più seguite, vendute, spacciate anche odiate, dopo otto anni si è conclusa. Non staremo qui a narrare le gesta dei cavalieri; l’armi; le morti e gli amori, perché la storia è conosciuta: famiglie in guerra per il dominio di un regno. Sulla falsariga della Guerra delle Due Rose, dove due famiglie, York e Lancaster, si sterminano per il possesso di una corona, anche le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco vedono una guerra civile tra nobili, principalmente tra due famiglie (Stark e Lannister), sconvolgere un regno per il possesso di un Trono, quello di Spade. La serie ha una singolare vicenda, perché è forse la prima ad aver superato il testo scritto da cui è tratto e ancora in fase di scrittura. L’autore, George RR Martin, ha da qualche settimana rilasciato una dichiarazione sulla ancora lontana fine dei due testi mancanti: Winds of Winter e Dream of Spring e dati i tempi biblici dello scrittore era necessario mettere un punto alle vicende di Westeros, almeno dal lato mediatico visivo. Martin è un venditore di storie e sa dosare bene attesa, punizione e ricompensa. L’HBO non è da meno e proprio sfruttando questa formula la serie è stata traghettata lungo tutta la narrazione durata ben otto stagioni. Sicuramente non tra le serie più longeve, ma di sicuro tra le più popolari. Quando si parla di fenomeno mediatico è bene sempre andare cauti, eppure di questo si tratta, nel bene e nel male. Le pubblicità, i modi di dire e persino le situazioni sono state assimilate e riutilizzate dalla cultura popolare che le ha fatte proprie, le ha assurte a icone, marchi e persino a nomi di battesimo. Molti gli infanti a cui è sono stati affibbiati i nomi dei personaggi della saga. Ma non è certo la prima volta, nei lontani anni Ottanta comparvero i vari Bobby e Sue Hellen, di un’altra serie che appassionò milioni di spettatori: Dallas.
L’ultima stagione ha suscitato un’ondata di rabbia e giubilo, isteria ed euforia tali che si è arrivati addirittura a creare una petizione per fare in modo che gli sceneggiatori riscrivessero parte della trama, perché gli spettatori erano troppo scioccati e infastiditi da alcune pieghe della storia. I fan si sono scissi tra coloro che hanno approvato le scelte narrative e registiche e coloro i quali invece aspettavano l’happy ending. Ma a Westeros raramente il sole splende sui giusti e sempre più difficilmente gli eroi sopravvivono. Nonostante tutto, la storia ha avuto una conclusione. Che sia peggiore o migliore da quello che ci aspettavamo è un pensiero del tutto soggettivo, l’ultima stagione possiede lati negativi e positivi, punti deboli e punti di forza. Critici del Guardian e di Entertainment Weekly ne hanno tessuto le lodi; altri ancora hanno parlato letteralmente di serie “Così-così”, come il New York Times. Da notare sono l’accuratezza delle scenografie, opera ancora di Deborah Riley e delle musiche affidate nuovamente a Ramin Djawadi. Interni e location sono sempre ben curati, come tutte le altre delle serie precedenti del resto: vessilli e stendardi, ma anche oggetti di scena, concorrono a rendere tridimensionale la scena. I costumi ricercati riescono a mantenere una verosimiglianza con la base della ambientazione: un fantasy medievale del XV secolo. Discorso a parte la fotografia, in tutte le sequenze definisce e scolpisce personaggi e scene perfettamente e in un episodio è addirittura interattiva (Episodio 3 – The Long Night), nel quale Fabian Wagner, il direttore della fotografia, ha spiegato l’uso della scarsa luce, come volontà degli showrunner, del regista e di lui stesso, nella concezione visiva non di una serie, ma di un film che, in quanto tale, deve essere visto non su pc, tablet o peggio ancora su cellulari, ma su uno schermo al buio.
Ottimi come sempre gli attori, a parte elementi come Kith Harrington (Jon Snow) che presenta sempre la stessa espressione e lo stesso tono di voce; altri invece come il machiavellico Peter Dinklage (Tyrion Lannister) mantengono la qualità, a volte superandola. Le figure femminili sono quelle che spiccano più di tutte, nel bene e nel male. Attraverso un percorso fatto principalmente di dolore, perdita e sconfitta, le eroine raggiungono una maturazione e in alcuni punti anche delle vittorie. Ogni personaggio ha avuto ciò che doveva avere, ogni storia è andata così come doveva andare, tutti i cerchi vengono chiusi. Uno su tutti il duello finale tra i fratelli Clegane sulle scale in fiamme del castello. Eppure in tutta questa sontuosa e ricercata messinscena è il tempo pesare. La fretta di voler concludere una storia complessa si è dimostrata azzardata, perché si avverte l’immediatezza e la necessità di voler mettere la parola fine a tutti i costi. L’arco narrativo intero ne risente, perché accade tutto con sorprendente velocità: i vessilli di guerra chiamati a raccolta per l’assedio e la battaglia alle porte della capitale subito dopo, si risolve in un bagno di Fuoco e Sangue, come il motto della famiglia Targaryen, nella persona di Daenerys (Emilia Clarke). Epicità e dolore, tragedia e amore, sono gli elementi che scorrono in tutta la stagione finale, ma tutto è lanciato a sprone battuto verso l’epilogo. E quando sembra che ci sia ancora molto da dire, ci si accorge che il tempo a disposizione è breve e si ricorre alle dissolvenze, preferendo allungare alcune scene a discapito di altre. La cosa più inquietante de Il trono di spade 8 è il finale aperto, che potrebbe dare adito ad uno spin off.