Sole cuore amore
2016
Sole cuore amore è un film del 2016 scritto e diretto da Daniele Vicari
La storia è quella di Eli (Isabella Ragonese), moglie di Mario (Francesco Montanari) e madre di quattro figli. Insieme vivono ad Ostia. Mario è senza lavoro ed Eli è costretta ad accettare un impiego da barista in una caffetteria di Roma. Questo lavoro, per giunta mal pagato, la impegna sette giorni su sette e per raggiungerlo è costretta ad una biblica traversata di due ore sui mezzi pubblici della capitale. Eli è costantemente in lotta con Nicola (Francesco Acquaroli), suo datore di lavoro. La sua migliore amiche e vicina di casa è Vale (Eva Grieco), ballerina e performer, con l’animo tormentato dell’artista e una madre borghesotta e troppo bigotta per accettare il suo stile di vita. Sole cuore amore gode di una potenza irruenta, drammaticamente reale e lucidamente intimidatoria. Vicari ce l’ha comunicato più volte: a lui non interessano i grandi eroi e le vicende extra-ordinarie, il suo focus sono i piccoli eroi, quelli silenti, quelli di cui nessuno conoscerà mai la vera storia. La storia che si imbatte nella scomoda e graffiante realtà. E la sua realtà non è mai melodrammatica, non c’è pietismo. Eli è l’inconsapevole e anonima eroina di Sole cuore amore, dotata di un’inesauribile senso del dovere, che, nonostante i suoi problemi di salute, nonostante la stanchezza, nonostante lasci tutti i giorni i suoi figli ancora a letto e li ritrovi a letto rientrando la sera, con stoico coraggio non si concede il tempo di pensare se può farcela o meno. Lo fa.
Impeccabili le performance degli attori protagonisti, trascinati dalla dirompente sensibilità artistica della Ragonesi, forse nella sua migliore – fino ad ora –interpretazione. Ma l’attenzione sulle due storie è mal distribuita. Le vicende di Vale, più che essere una vera storia da raccontare sembrano un espediente cinematografico volto a un duplice scopo: fungere da potenti intermezzi dotati di un semplice ma lodevole influsso scenico-fotografico; ed esemplificare il concetto di assenza, quella di Eli nella vita della sua migliore amica. Sappiamo ciò che accade nella vita di Vale, ma solo nelle poche volte in cui incontra Eli comprendiamo cosa la sua amica stia provando. È come se l’autore volesse fornirci un punto di vista interno, più che onnisciente. In questo modo lo spettatore ha davvero la possibilità di scoprire tutto ciò che Eli si sta perdendo della vita di Vale, dei suoi figli, di suo marito, della propria. I suoi occhi sono il filo conduttore dell’intera storia, instancabilmente indagati; così lo spettatore dimora nello sguardo di Vale ed è attraverso quest’ultimo che percepisce il decadimento della protagonista e avverte il suo spirito che va lentamente estinguendosi. Vicari non concede altri primi piani se non quelli di Eli, non appaiono i volti dei bambini, raramente quello del marito, il pubblico è ostaggio di una intelligibile coercizione ad empatizzare con il lento distaccarsi di Eli dalla sua stessa vita.
L’autore osa nel conferire a Sole cuore amore l’andamento ciclico della vita di Eli e forse forza la mano con il finale, anche se questa volta il finale non coincide con l’ultimo minuto di ripresa, ma con qualche istante prima. Quando la donna finalmente realizza che la sua vita non le appartiene più, quando decide di non salire sul treno che la riporterebbe a casa, in quel momento – per la prima volta – ritorna in se stessa: non è più moglie, né madre, né dipendente, cede alla sua debolezza psico-fisica e con un coraggio dalle sfumature nichilistiche, non più stoiche, prende l’ineluttabile decisione di abbandonarsi, esausta, sulla banchina della metropolitana. Il risultato è l’impressione che Daniele Vicari non abbia cercato una storia da raccontare e che non sia sia preoccupato di fare un film impeccabile. È come se avesse sentito l’urgenza di doversi assumere la responsabilità di allertare il mondo e di inviare un messaggio forte e chiaro, lasciandolo giacere su una panchina della metro Lucio Sestio.