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Thriller

2018
Titolo Originale:
Thriller
REGIA:
Dallas Jackson
CAST:
Jessica Allain (Lisa)
Mitchell Edwards (Ty)
Jason Woods (Chauncey)

Il nostro giudizio

Thriller è un film del 2018, diretto da Dallas Jackson.

Thriller: genere cinematografico il cui scopo principale è quello di creare tensione nello spettatore. Semplice, chiaro e pulito. Scegliere dunque d’intitolare il proprio battesimo del fuoco a ventiquattro fotogrammi al secondo con la stessa etichetta del mood che si intende cavalcare fa quantomeno presumere una ferrata conoscenza e dimestichezza con la materia in questione. E, in effetti, il buon Dallas Jackson di film di suspense deve certamente essersene pappati a quattro palmenti fin dalla culla, venendo su a pane, John Carpenter e quanto di più noto e succulento gli anni ’80 possano mai aver offerto ai golosi palati dei cinefili che si rispettano. E cinefilo Jackson lo è di sicuro se sceglie di esordire con uno slasher grondante citazionismo pop fino al midollo con tutti i codificati canoni del caso, riciclando a piene mani oggetti contundenti, assassini incappucciati in fondo ai vialetti, giovinastri body count e sempreverdi score imbottiti di ritmati sintetizzatori. Tutto come da manuale, insomma. Salvo che, così come in cucina non bastano dei buoni ingredienti per sfornare un ottimo soufflé, così sul grande e piccolo schermo non serve a un fico secco avere gli occhi e la mente imbottiti di pellicola se poi, a conti fatti, non si è in grado di cavarne fuori qualcosa degno di essere visto.

Intendiamoci subito: Thriller non è affatto una ciofeca, ci mancherebbe altro. Semplicemente manca di sostanza e sapore, come una bella galletta di riso ricoperta di marmellata che, comunque la si voglia condire e rigirare, sempre insipida rimane. In primo luogo, la storiellina imbastita dal caro Dallas assieme al compare Ken Rance è quanto di più ritrito ci possa oggi essere sulla piazza, presentandoci un misterioso serial killer incappucciato intento a seminare morte e terrore fra gli sbarbatelli liceali della Compton High School, in uno dei quartieri più all Black degli States. Ma chi è questo oscuro e mastodontico flagello che si diverte a risolvere il gravoso problema della sovrappopolazione scolastica? Non sarà mica il dolce e candido – negli intenti, non certo nell’epidermide – Chauncey, bonario sfigatello di periferia, rinchiuso per quattro anni in un carcere minorile per aver causato l’accidentale dipartita di un coetaneo durante un goliardico scherzo ordito ai suoi danni? Sembra proprio di sì, tenendo conto che le vittime designate a cadere come foglie in autunno sono proprio i membri, ormai cresciuti, della fu banda di allegri burloni, prossimi a vedersi inzuppare di emoglobina i vesti, lucidati e stirati per il ballo di fine anno. Sentendosi sulla spalla la bonaria pacca produttiva di Jason Blum e vedendosi spalancare le porte della distribuzione dalla magica chiave di Netflix, non c’è dubbio che il caro Jackson sia andato abbondantemente su di giri, credendosi, chissà, persino alla pari del collega Jordan Peele.

Ma è forse il caso che il Nostro, smaltita la sbornia e rientrato nei ranghi, si renda conto che non basta inzuppare le inquadrature di pelle brunita, rappate e blandi discorsetti di ingiustizie razziali per creare un buon film, a maggior ragione all’interno di un raccontino che vorrebbe evocare brividi e tensione impastando ben ben l’Halloween carpenteriano con grosse croste di sporcizia trasudate direttamente dal So cosa hai fatto di Gillespie. Ciò che ne viene fuori da Thriller è una ratatouille senza alcun mordente, dove il sangue, la violenza, la suspense stessa e soprattutto la recitazione appaiono abbondantemente al di sotto del livello di guarda, riducendo il tutto a uno scialbissimo teen movie nel quale i soliti adolescenti dementi e iperormonizzati, tra una birra, una sniffata e parecchie copulazioni, si ritrovano a dover difendere la pellaccia da un vendicativo babau rispolverato dalle torbide ragnatele del passato, nel mentre in cui le tamarrissime note di RZA  ci riempiono le orecchie senza un attimo di respiro. C’è poi anche il famigerato colpo di scena finale che, a posteriori, ci lascia forse ancora più interdetti della visione stessa, inducendoci a domandarci come avremmo potuto meglio impiegare l’ormai perduta ora e venti della nostra breve e affannosa vita.