Un urlo dalle tenebre
1975
Un urlo dalle tenebre è un film del 1975, diretto da Elo Pannaccio
L’11 novembre 1974, la Manila Cinematografica batte il primo ciak di L’esorcista nr. 2… “e il mio grido giunga a te”, che entrava proprio apertis verbis, così, nella scia del film di Friedkin, uscito nelle nostre sale nemmeno due mesi prima. Negli incartamenti del Pubblico registro soggetto e sceneggiatura di quel che sarebbe poi diventato nel titolo definitivo Un urlo dalle tenebre, sono attribuiti ad Aldo Crudo, un vecchio giallista e sceneggiatore che metteva mano in quel mentre anche al copione di un altro esorcistico italiano, Chi sei? Ma ai generici, accreditato come soggettista è, sorprendentemente, un direttore della fotografia che nulla c’entra con il film, Giulio Albonico, mentre la sceneggiatura risulta cofirmata da Crudo con Elo Pannaccio e Franco Brocani. Sempre sulle carte ministeriali, regista sarebbe Franco Lo Cascio, sebbene l’opera finita porti la firma di Pannaccio. La Manila era di certo Elia Giangiacomo al quale subentrò Luigi Fedeli, che cedette, quindi, parte dei diritti alla Colosseum Film. L’inizio è cinema verità, con riprese in Piazza San Pietro durante un’omelia papale, ovviamente doppiata, sul potere che il Grande Nemico va assumendo oggigiorno. Viene intercalata ex abrupto la figura dell’indemoniato di turno, che è Jean Claude Verné [Corrado Leveghi, bolzanese, già uomo di Orchidea De Sanctis e quindi datosi alla ristorazione], il quale si agita legato a un letto, in smanie. Pannaccio gira la prima delle sue integrazioni coreografando una messa nera officiata da quello che si capirà essere stato il fomite dell’arrivo del Maligno su questa Terra, nel Settecento, un prete reprobo, Iohannes, che ha la faccia di Franco Garofalo, di fronte al quale, su un altare, è stesa nuda Mimma Monticelli, che è appunto il diavolo, mentre in disparte, vestita di bianco, c’è Elena Svevo, cioè Elena Fusco, compagna e musa di Pannaccio. Tra gli astanti incappucciati, Salvatore Baccaro, Maurizio Streccioni e Cesare Barro, a livello di figurazioni speciali.
La storia girata da Lo Cascio muove dall’invasamento di Verné, che è cosa attuale. La sorella Elena (Patrizia Gori), una suora, non appena lo vede, capisce che c’è puzza di zolfo, ma il medico che ha in cura Verné (Giuseppe Tallarico) da questo orecchio non ci sente e lo vorrebbe internare (Pannacciò, nella sua limpida politica del riutilizzo, coglie la palla al balzo per riciclare pezzi dalla Casa delle mele mature, di Tosini, che aveva prodotto, ambientato in un manicomio). La Gori va da un sacerdote (Filippo Perego) onde averne consigli e qui comincia un flashback in cui è ricostruita la traversia diabolica di Verné, iniziata il giorno in cui, a Monte Gelato, vide tra le cascatelle la Monticelli nuda che lo adescava e poi spariva, ritrovando però un piccolo medaglione con una croce rovesciata e la scritta Tahal. Verné è fidanzato con Sonia Viviani e durante una festa le spara in faccia il tappo di uno spumante, come prima stranezza. Va quindi errando per un paesino diroccato inseguendo chissà cosa e, infine, ha la malaugurata idea di appendersi al collo il medaglione di Monte Gelato, che gli imprime sul petto il marchio infame di Tahal. E qui il baccanale infernale si scatena sul serio. La Monticelli si materializza in casa di Verné, che vive con la madre Françoise Prevost e quando il ragazzo balza addosso alla diavola per sgozzarla, per vie preternaturali le conseguenze le paga la povera Viviani, che mentre balla in discoteca piomba a terra con la gola squarciata. Aggredita safficamente dalla Monticelli, anche la Prevost si rompe l’osso del collo giù dalle scale. Con il rientro in famiglia della Gori suorina (l’attrice si rapò a zero per il ruolo, tant’è che per il film dopo, Calore in provincia, dovette mettere una parrucca), la trama si rinsalda all’inizio: sfilza di esami per Verné al fine di escludere che sia solo schizofrenico e non invasato, tentazioni lesbo-demoniache per la sorella e conclusione, infine, che l’unica strada da percorrere sia chiedere l’intervento di un esorcista. Non prima, però, che in un’altra aggiunta a firma Pannaccio, vengano riperticati i fatti che nel Settecento portarono Elena Svevo a restare incintata del canonico infame Garofalo, con il mercimonio dell’ubiqua Mimma Monticelli, sgravandosi di Tahal, il figlio di Satana, prima di venire arsa viva come strega.
Il primo nome ai generici, che è quello di Richard Conte, si giustifica con il quarto d’ora finale del film, quando il prete esorcista sbarca da un traghetto Tirrenia e si porta nell’abitazione di Verné, predisponendosi al cimento di liberarlo. Il che avviene, ma il marchio di Tahal passa alla Gori che, nel sottofinale, come Carras in Friedkin, si ammazza gettandosi da una rupe. Il fulmine in coda è un bimbetto che rinviene sempre nel ruscello di Monte Gelato l’infame medaglione. Niente affatto pessimo, posto che venga visionato nella versione completa. Quanto rifletta Pannaccio e quanto Lo Cascio, che ne diresse, obiettivamente, la maggior parte, nonostante sia poi uscito a firma del primo, è complesso stabilirlo. Sembra che nel progetto inziale fosse meno orientato all’erotismo e che, a sentire la Gori, Verné subentrò a un bimbo settenne che doveva essere lui la vittima della possessione, ma uno di vent’anni o giù di lì agevolava l’inserzione del piccante (grazie all’alter ego satanico della Monticelli). E se così fosse, questo arrivava per certo dall’ideario di Pannaccio. Gli interpreti, bene o male, funzionano tutti, soprattutto la Gori e Mimma Monticelli, al suo ultimo ruolo in cinema (come Conte: lui morì, lei fece altro in tv), che in precedenti incarnazioni cinematografiche si era chiamata Mimma Biscardi (vero nome) e Gely Genka/Genni Genca. Prima proiezione pubblica il 23 agosto 1975, al cinema Arlecchino di Palermo, dopo un passaggio in censura il 26 giugno precedente e nullaosta con divieto ai minori di 18 anni, condizionato a diversi tagli e alleggerimenti (1: Scena dell’accostamento del calice con l’ostia e movimento sessuale della Monticelli; 2) Scena in cui la Monticelli si scopre il pube nella camera di Verné; 3: Alleggerimento del rapporto sessuale di Verné con la Prevost; 4: Alleggerimento del rapporto sessuale di Verné con la Gori; 5: Eliminazione delle scene che riguardano il ricordo di Verné, durante il funerale della madre, con rappresentazioni di accoppiamenti di gruppo).