Nonhosonno
Tutto quello che avreste voluto sapere su Trauma di Dario Argento
«Erano anni che desideravo tornare al giallo. Al giallo “preciso”, a una storia che fosse rigorosamente “matematica” nei suoi sviluppi. Così ho scritto Nonhosonno, che rappresenta il primo capitolo di una trilogia gialla che ho intenzione di completare nei prossimi anni». Questo affermava Argento nel dicembre del Duemila, un mese prima dell’uscita nelle sale del suo tredicesimo film. Nonhosonno è la prima opera dell’abbandono e del “tradimento” della nuova Musa del regista, la figlia Asia (che se inizialmente si era appoggiata al padre per far lievitare la sua carriera, ora era diventata un ingrediente indispensabile al regista per poter ottenere i finanziamenti necessari per la produzione). Forse sarebbe meglio dire: primo film dell’abbandono, ma non del tradimento, visto che, come un fantasma, Asia aleggia in gran parte della storia con la sua filastrocca sulla fattoria degli animali («è arrivata mezzanotte/ con il letto faccio a botte/ ora inizia la mia guerra / con le bestie della Terra») scritta appositamente. Il tradimento arriverà dopo, quando rifiuterà di prendere parte a Il Cartaio, a dispetto degli accordi iniziali, perché troppo impegnata nella scrittura del suo secondo film da regista (The Heart Is Deceitful Above All Things tratto da J. T. LeRoy), provocando una rottura tra padre e figlia che durerà qualche anno. Argento ripiega su Chiara Caselli, ma non è la stessa cosa e il suo personaggio viene ridimensionato per dare spazio a Stefano Dionisi, perdendo, come spesso accade nei film di Argento dove i protagonisti sono uomini (eccezion fatta per Profondo rosso), di spessore. All’attrice non interessa e dichiara di essere felice di prendere parte a un film del terrore: «Ho accettato senza neanche leggere il copione e quando l’ho fatto ero sola in casa e l’ho finito verso mezzanotte. Quando l’ho chiuso non sono riuscita più a prendere sonno».
Sul set, però, tra la Caselli e il regista non sono state sempre rose e fiori, anzi. Argento per motivi produttivi tendeva a cambiava le scene a piacimento provocando le ire dell’attrice che doveva, di volta in volta, prepararsi per suonare l’arpa, come richiesto dal suo personaggio, nel modo corretto («Non è come il pianoforte dove puoi staccare dal primo piano tuo alle mani di un altro: con l’arpa sono inquadrate sia le mani che la faccia… non puoi fingere»). La lavorazione a Torino del film si è svolta in un clima non particolarmente teso e a parte un piccolo incidente iniziale che poteva trasformarsi in tragedia, con Dionisi che stava rischiando di investire con la macchina l’attore Diego Casale steso sull’asfalto, il resto delle riprese si sono svolte senza intoppi. Argento continua il suo cammino di riflessione sul cinema del passato (che lo porterà a completare la trilogia delle Tre Madri) e sul recupero della violenza espressiva che lo contraddistingueva (alcuni omicidi, come quello iniziale sul treno, sono tra i più selvaggi che abbia mai girato). E se è pur vero che l’incipit e la struttura guardano a L’uccello dalle piume di cristallo (di cui in passato Dario aveva dichiarato di voler fare un remake in chiave omosessuale), la mise en scène ricorda (a differenza di La sindrome…) le pellicole degli anni Settanta (Suspiria in primis con quella freddezza di colori), senza però possedere lo stesso rigore visivo.
Sembra quasi che il regista di Nonhosonno sia volutamente un Dario Argento più selvaggio, rozzo e di grana grossa, capace di intuizioni tecniche che non fanno parte di un quadro prefissato ma che accadono giusto perché in quel momento gli andava di farle (significativo il dolly senza soluzione di continuità sulla casa dei delitti). Scelte discutibili ma personali, che in alcune situazioni rendono epidermicamente il malessere del film e del suo autore. La scelta di riunificare il gruppo dei Goblin (con una colonna sonora prevalentemente rock) al posto di Morricone sembra, poi, voler proprio sancire il passaggio dal vecchio al nuovo, come trent’anni prima. Eppure questo nuovo cammino cinematografico di Argento continua a non convincere fino in fondo appassionati e pubblico che spesso diserta la visione, nonostante il nome del suo autore continui a essere d’attualità dopo la rivalutazione dei Cahiers. Forse il problema è che il tentativo di crearsi una nuova carriera mischiando gli ingredienti del passato e spacciandoli per novità non funziona. Forse il cinema è andato troppo avanti e la modernità di Argento è rimasta al palo. Difficile da dirsi. Ostinatamente, Argento continua a dichiarare che il suo cinema è in perenne evoluzione e ogni volta, anche questa volta, affermava: «Con Nonhosonno sono tornato al giallo classico dei miei primi film». Bisognerebbe chiedersi quando mai abbia abbandonato questa strada. Sul motivo del titolo Nonhosonno, Argento ci illumina: «Ho deciso di intitolare il film così perché, in un certo senso, è una storia che parla dell’infanzia, infatti il protagonista è stato testimone oculare di un omicidio quando era bambino. Ho voluto raccontare questo fatto come fosse una fiaba, una fiaba “nera”, una di quelle che si dicono ai bambini per convincerli a dormire quando loro invece dicono appunto: “non ho sonno!”».
Poco prima dell’uscita del film sui giornali era trapelata la notizia che Nonhosonno fosse ispirato a un fatto di cronaca nera: l’assassinio di Suor Rosangela. «Ho letto anch’io quella notizia ed è assolutamente falsa. Il film è frutto della mia fantasia, di quella di Franco Ferrini e di Carlo Lucarelli». Nonohosonno è stato girato interamente a Torino città e sulle colline vicine (una delle location era una villa di proprietà della famiglia Agnelli, disabitata da anni, che si è trasformata nel luogo ideale dove commettere efferati omicidi): «Conosco Torino meglio di un torinese. C’ho ambientato tanti di quei film che la conosco meglio di Roma, perché quando una città la visiti per lavoro entri anche nelle case della gente per trovare le location giuste. Per Nonhosonno sono entrato in centinaia di case e ho sempre preteso di farmi vedere la stanza da letto. Questa è una mia fissazione. Mi faccio accompagnare nella stanza da letto e mi stendo sul letto. Quando sono sdraiato in un ambiente nuovo mi capita di captare l’energia delle persone che c’hanno vissuto nelle varie epoche storiche. Una notte sono rimasto chiuso in una scuola antica e questi fantasmi sono venuti a contatto con me, attraverso i loro spiriti, raccontandomi in un dormiveglia, che sembrava sonno ma non lo era, le loro storie, alcune delle quali terribili. Quando, per esempio, all’epoca di Due occhi diabolici, andai nella casa di Poe, fui colto da una di queste manifestazioni in maniera molto violenta, e quando voglio trovare ispirazione per le mie storie mi basta aprire una finestra, affaciarmi e aspettare che i pensieri della gente mi vengano a cercare!».