The Evil Within
L'horror che visse due volte
Fermi tutti! Qui c’è una storia da raccontare. La storia di Andrew Rork Getty, The Storyteller e The Evil Within. Una storia di passione, follia e delirio cinematografico. Ma che dico una? Due… Due storie, che diventano una sola, inscindibile e imprescindibile: il film e la sua realizzazione. Un po’ come The Room (2003) di Tommy Wiseau (alzino la mano i tre che sanno di cosa sto parlando…), ma molto meglio.
L’antefatto: J. Paul Getty ne aveva fatti di soldi coi pozzi di petrolio. Ne aveva fatti a badilate…
Il fatto: suo nipote Andrew Rork Getty, erede di una fortuna di oltre 2 bilioni di dollari, invece, amava il cinema della paura, e stipava la sua modesta villa di Hollywood Hills (stimata 2.6 milioni di dollari) di memorabilia di film dell’orrore e pupazzi animatronici creati da lui stesso. Era un geek con l’ambizione di diventare regista. Regista di film dell’orrore, naturalmente. Più che un sogno, per lui era un’ossessione, un bisogno irrefrenabile che con tutti quei soldi avrebbe potuto soddisfare. Così, nel 2002, dopo un centinaio di copioni scritti e mai realizzati, che si impilavano nelle ampie stanze della magione accanto all’invidiabile collezione di film horror e pornografici, Andrew, con la sua propria casa di produzione, la Rork Productions, decise di finanziarsi il debutto alla regia. Il film si chiamava The Storyteller e la sceneggiatura l’aveva scritta lo stesso Andrew Getty, basandosi, a suo dire, su alcuni vividi incubi che aveva avuto da ragazzino. Incubi talmente sconvolgenti da fargli credere che a ispirarglieli fosse stata una presenza esterna. Una presenza demoniaca. Da qui la storia del film.
Dennis è un ragazzo “diversamente-abile”, che vive solo con il fratello maggiore, John, in qualche modo responsabile della sua menomazione. John cerca di farsi una vita normale con la fidanzata Lydia, ma la convivenza con Dennis è tutt’altro che semplice; anche se, a dire il vero, il ragazzo passa la maggior parte del tempo chiuso in camera sua a guardarsi allo specchio. E proprio attraverso lo specchio, come una goffa Alice in caduta libera nel paese delle meraviglie, Dennis precipita in un’altra dimensione. La dimensione del “Narratore”, un essere mostruoso, glabro e unghiuto, che comincia a ossessionarlo, con storie di morti atroci. In bilico tra sogno e delirio, il ragazzo si scopre una cerniera sulla schiena, una zip che una volta aperta permette al “Narratore” di penetrare nelle sue viscere e indossare la sua pelle come una muta subacquea. Le notti di Dennis sono popolate da incubi terribili, ma le sue giornate sono ancora peggio, soprattutto quando è la sua immagine allo specchio a parlargli e a suggerirgli una via di fuga dalla prigionia e dalla sofferenza. Prima sono piccoli animali, che Dennis uccide a sangue freddo e poi impaglia alla maniera di Norman Bates; ma poi passa ai bambini e, infine, agli adulti. Dennis è ossessionato e paranoico: ha paura dei ragni che si materializzano, giganti, nella sua stanza, perché i ragni sono una specie infida che si nutre dei propri familiari. Quando la creatura con le sembianze di Dennis riesce a intrappolarlo oltre lo specchio e a prendere il suo posto nel mondo reale, John e Lydia dovranno affrontare il peggiore dei loro incubi…
The Storyteller gioca la carta dell’ambiguità, camminando a corda tesa tra soprannaturale e reale. Esiste davvero il mostro nello specchio o è tutta una proiezione della mente malata del Dennis? La risposta non è importante, quel che conta è qualcos’altro, anche se quel qualcos’altro è difficile da codificare. Ciò che colpisce allo stomaco come un maglio non è tanto la storia (comunque malsana, che richiama alla memoria cose da un altro mondo come The Sinful Dwarf), ma la confezione. A un primo sguardo parrebbe infatti una di quelle produzioni indipendenti destinate al mercato home video. Difficile stabilirne l’epoca. A tratti, forse per la presenza di un Michael Berryman che, già vecchio da giovane, sembra appena uscito da Le colline hanno gli occhi, parrebbe qualcosa vomitato dagli anni ’80, altre volte si ha l’impressione di trovarsi nel pieno degli anni ’90, con un’estetica da videoclip stile Tarsem Singh dei poverelli. L’effetto è straniante, non solo per la collocazione temporale, ma anche e soprattutto per la confusione di linguaggio e per le pretese narrative. Se per certi versi infatti è facile ridere della cialtronaggine di certe scene e inquadrature, per altri non si può non rimanere stupiti dalla cura maniacale (e per niente banale) di molte soluzioni tecniche, come, per esempio, il finto piano sequenza circolare durante l’incontro tra John e l’assistente sociale, con la prospettiva di campo che cambia in continuazione.
Sembra l’opera di uno squinternato genialoide che non conosce la grammatica ma si lancia in azzardate quanto spericolate sperimentazioni. Un susseguirsi caotico di fortuite alzate di genio e clamorose cadute di tono. Per non parlare poi degli effetti speciali, così presuntuosi ma allo stesso tempo artigianalmente realizzati da fare tenerezza. C’è un ragno gigante che si intrufola nella cameretta di Dennis che sembra spuntato fuori da un film di Jack Arnold e persino la trasformazione di una donna (sempre in ragno) che più che alla parabola della nuova carne di Cronenberg, sembra ispirarsi alle mutazioni antropomorfe di Yuzna. La maggior parte delle creature, Berryman escluso, sono fantocci animatronici realizzati dallo stesso Getty e il risultato finale sembra un video dei Tools diretto da Jean Rollin. Paradossalmente sta proprio qui il bello di Storyteller, un film che non ti aspetti… Il culmine lo si raggiunge quando Dennis, dopo aver trapanato il cranio di una donna, la trasforma in un pupazzo per ventriloqui alla maniera di Dead Silence di James Wan. Peccato che il film di Wan sia però di cinque anni più vecchio. Più o meno…
Fatti collaterali: la lavorazione di Storyteller è stata quanto mai tormentata e dispendiosa. Nonostante il risultato, Andrew Rork Getty, c’ha pompato dentro qualcosa come 6 milioni di dollari di tasca propria… e non gli sono bastati. Le riprese sono durate 6 anni (dal 2002 al 2008), cosa che spiegherebbe e, in parte, giustificherebbe, il ritmo sconclusionato della vicenda, ma poi le finanze sono finite e anche la famiglia gli ha chiuso i rubinetti. Mancavano sostanzialmente i soldi per la post-produzione. Ma dove sono finiti i 6 milioni spesi? A sentire i collaboratori del miliardario, Getty avrebbe speso la maggior parte del budget nell’acquisizione dei costosissimi macchinari (dai camion per i generatori elettrici alle macchine da presa) che solitamente vengono noleggiati. Macchinari che tra l’altro, a detta di alcuni membri del cast, non sapeva nemmeno come usare. Così i tempi si dilatavano e le tensioni crescevano. Sul set, poi, non è che Getty desse l’idea di sapere cosa fare e per di più il suo atteggiamento risultava ai più parecchio scostante. La maggior parte dei collaboratori lo ricorda come un nevrotico cocainomane che sul set se ne andava in giro armato.
Le tensioni sfociarono in una causa legale nel 2003, quando Getty fu denunciato dall’assistente di studio Ingrid Jacobs, per un mancato pagamento di 500 dollari. Parlando di lui, la Jacobs, davanti ai giudici, disse: «Tutti noi vivevamo nella paura dei suoi oscuri umori. Una volta mi ha urlato: “ti prendo a calci nei reni così forte da farti soffocare”. Non si preoccupava di spendere migliaia di dollari a settimana in prostitute di alto bordo, ma era tirchio come l’inferno con tutti gli altri» (fonte DailyMail). Il protrarsi all’infinito delle riprese finì inevitabilmente per far perdere i pezzi un po’ alla volta. L’attore Matthew McGrory, il “gigante storto” lanciato da Rob Zombie in La casa dei mille corpi, ad esempio, è scomparso strada facendo (nel 2005) e nel film figura (uncredited) solo in una scena. Nonostante la tormentata lavorazione, il resto del cast, che comprende, tra gli altri, un bravissimo Frederick Koehler nel ruolo di Dennis, Sean Patrick Flanery (The Boondock Saints – Giustizia finale) in quello del fratello John, Dina Meyer (Starship Troopers – Fanteria dello spazio) in quello della fidanza di quest’ultimo, e la Kim Darby del cult tv anni ‘70 Don’t Be Afraid of the Dark, in quello della psicologa, rimase bene o male appiccato al progetto per tutto il tempo.
Il fattaccio: persa ormai ogni speranza di portare a termine il suo primo e unico film, Andrew Getty tornò alla solita vita fatta delle solite cose: coca e figa. Il suo comportamento disordinato fu anche materia di cronaca quando riuscì ad ottenere un mandato di ordinanza restrittiva per la sua ex-ragazza, Lanessa DeJong, un’aspirante attrice di 32 anni, secondo il quale non si sarebbe potuta avvicinare a più di 300 metri da casa sua. La motivazione? A dar retta all’ordinanza, il medico avrebbe riscontrato gravi rischi per la salute di Getty: una qualsiasi litigata sarebbe potuta risultare fatale! Di The Storyteller nessuno sentì più parlare (come se qualcuno ne avesse mai sentito parlare…), salvo riappare improvvisamente all’American Film Market del 2016, con il titolo mutato in The Evil Within e una locandina (con Michael Berryman in primo piamo come in uno slasher anni ’90) che, nella sua inquietante banalità d’antan, rende onore allo spirito del film. Difficile dire quale potrebbe essere la sua destinazione finale. Di certo, non la sala… Qualunque essa sia, però, una cosa è certa: Getty non lo saprà mai. Il 31 marzo del 2015 il suo corpo nudo e privo di vita fu rinvenuto in una pozza di sangue nel bagno della sua villa da 2.6 milioni di dollari, la stessa nella quale aveva girato il 90% di The Evil Within. Getty aveva 47 anni, lasciava una cospicua eredità al suo stesso genitore, Gordon Getty, qualche puttana dal cuore infranto e un film che non avrebbe mai visto montato.
A dare l’allarme fu la DeJong. Il medico legale riscontrò nel decesso cause naturali. Getty se n’era andato per un’ulcera mal curata (da qui il sangue fuoriuscito per via rettale che aveva inzaccherato il corpo e la tavoletta del water), insufficienza cardiaca e un massiccia presenza di metanfetamina nell’organismo. Rock ‘n roll! Già questo basterebbe a creare per The Evil Within la fama di “film maledetto”… ma la storia non finisce qua. Il 3 marzo del 2013, il co-produttore del film Robert Stark Hickey, fu rinvenuto cadavere in circostanze se non misteriose per lo meno bizzarre. Anche in questo caso non si trattò di omicidio, ma di un banale “incidente domestico”. Praticamente, Hickey si sparò accidentalmente al petto con un fucile da caccia che stava caricando sulla macchina di fronte a casa sua, a Templeto. Fu ritrovato riverso nel vialetto nell’immancabile pozza di sangue. Aveva 48 anni. Oltre all’eredità lasciata da Andrew Getty al padre, stimata in circa 14.5 milioni di dollari e le 55 opere d’arte che gli aveva prestato, Gordon Getty pretese dal tribunale anche il rimborso di alcune spese sostenute per il figlio, parte delle quali erano state impiegate per regalare al mondo quell’oscuro oggetto, curioso e inquietante, che oggi si chiama The Evil Within.